giovedì 2 giugno 2011

Il finale de La Reina del Sur trionfa negli USA; Pérez Reverte contro la versione spagnola

La Reina del Sur, la coproduzione di Telemundo e Antena 3, tratta dall'omonimo libro di Arturo Pérez Reverte, è finita lunedì, sia in Spagna che negli Stati Uniti. Negli States è stato un trionfo, il miglior risultato mai ottenuto da Telemundo nei suoi 19 anni di storia, con una media superiore ai 4 milioni di telespettatori e con dati impressionanti, come che è stato il programma più visto degli Stati Uniti, a prescindere dalla lingua, nella fascia tra i 18 e i 34 anni, e il più visto a Los Angeles, Chicago e Miami. In Spagna il finale ha ottenuto una media del 12% ed è stato battuto solo dalla serie di TVE1 Los Misterios de Laura. Negli Stati Uniti la telenovela è stata di 63 puntate, relativamente corta rispetto alla tradizione del genere, in Spagna è stata riassunta in 11 puntate. E questo spiega probabilmente la diversa accoglienza tra i due Paesi (in 4 puntate in Spagna erano già arrivati più o meno a metà telenovela, cioè, si erano persi la metà del significato delle cose che succedevano).
Siccome Telemundo ha reso disponibili le puntate nel web, ho visto la versione andata in onda negli States (ma se Telemundo non l'avesse fatto, avrei visto la telenovela grazie ai numerosissimi forum che nella Rete mettono a disposizione le produzioni di lingua spagnola: non avevo la minima intenzione di perderla). E mi è molto piaciuta. Ho interrotto la visione varie volte per questioni logistiche e di tempo, e ogni volta che sono tornata alle avventure di Teresa Mendoza mi sono vista varie puntate in pochi giorni. Per esempio, lunedì scorso, nel giorno del gran finale, ero indietro di una quindicina di puntate. Le ho recuperate in due giorni, perché La Reina del Sur engancha, ti prende, e vuoi sapere come continua.
Non è la classica telenovela di ragazza-povera-si-innamora-di-ragazzo-ricco-tutto-il-mondo-cospira-contro-lui-crede-a-chiunque-salvo-svegliarsi-all'ultima-puntata. No, è una produzione con molto ritmo, realizzata con mezzi economici e tecnici all'altezza delle serie nordamericane, con cui deve concorrere per convincere il pubblico ispanico e bilingue, ricca di panorami e scene d'azione all'aperto. La protagonista, Teresa Mendoza, non è la classica bellissima ma sfigata che si passa la metà del tempo a piangere. E' una giovane donna messicana di umili origini, abituata a cavarsela come può, che si innamora dell'uomo di fiducia del narcotrafficante Epifanio Vargas, e che, al suo assassinio, è costretta a fuggire dal Messico, aiutata da Vargas; ripara a Melilla, dove lavora come cameriera in un bar-bordello, si innamora di Santiago, piccolo trafficante di hashish, finisce in prigione, dove conosce la ricca e viziata Patricia O'Farrell, esponente dell'alta società andalusa, che si innamora di lei, e con lei inizia la sua ascesa nel mondo del narcotraffico, sempre protetta dal narcotrafficante russo Oleg; in poco tempo si converte nella regina dei traffici del Sud, controlla le rotte della droga dalla Colombia e dal Marocco, fa affari con gli italiani, i russi e i turchi e si libera della concorrenza dei galiziani (i dialoghi dei suoi negoziati sono piuttosto elementari e molte cose sono affidate alle espressioni di Kate del Castillo e dei colleghi, ma ok, succede in tante serie); e in questa sua ascesa europea non perde un'abitudine messicana, comprese le bevute di tequila, le nostalgie per i piatti piccanti di casa, la passione per i mariachi e i boleros (Si nos dejan è la sua canzone di riferimento, perché le ricorda il primo marito): le sue conversazioni cariche di malinconia con il Pote, la guardia del corpo messicana disposta a morire per lei, dopo aver tentato di assassinarla, sono tra le cose migliori della telenovela e di sicuro avranno fatto spargere una lacrima a tutti i messicani degli Stati Uniti, lontani dalla patria. C'è molto Messico in questa telenovela, anche se è in buona parte ambientata nella mafia della Costa del Sol. La patria di Teresa torna sul finale, quando scopre la verità sulla morte del primo marito e corre in Messico, per frenare la carriera politica di Epifanio Vargas (uno splendido, come sempre, Humberto Zurita) ed evitare che il suo Paese diventi un narco-Estado.
Questa la storia in un riassunto molto sintetizzato, che fa fuori personaggi come Conejo, l'amica conosciuta in carcere che ha sempre parole di grande saggezza e ironia, Willy, l'agente della DEA ossessionato da Teresa e in fondo suo grande ammiratore, Nino, il poliziotto corrotto, caratterizzato da quel disincanto che non manca mai nei libri di Pérez Reverte. Sono tutti personaggi costruiti bene e interpretati meglio: non si può rimanere insensibili al fascino di Oleg e di Patricia, forse i due personaggi migliori della telenovela (Teresa Mendoza gioca in un campionato a parte, come si direbbe in spagnolo); Oleg, per quanto sia un gangster russo spietato e crudele con i suoi nemici, conserva tracce di umanità nel rapporto con Teresa, di cui non si capisce mai se si è anche un po' innamorato, e regala perle di saggezza, guidandola in un mondo che non concede una seconda chance a nessuno, meno che mai a una donna; Patricia è una giovane donna bellissima e abituata a ottenere quello che vuole, vive tra feste, droghe e letti stranieri, il suo slogan è "non importa se uomo o donna, mi prendo quello che mi piace", e il suo disordine, che nasconde ovviamente vuoti emozionali e fragilità enormi, non le impedisce di rimanere disperatamente fedele e leale a Teresa, di cui è innamorata senza speranze. Forse né Oleg né Patricia sarebbero così affascinanti se non fossero interpretati da Alberto Jiménez e Cristina Urgel, due attori spagnoli, notissimi al pubblico spagnolo, ma sconosciuti negli USA. Così come è notissima negli USA ispanici (gode di notorietà anche negli USA anglossasoni), ma è semi-sconosciuta in Spagna, Kate del Castillo, la splendida protagonista della telenovela. I suoi sguardi duri, le sue espressioni dolci, i suoi sorrisi e la sua bellezza orgogliosamente messicana, fanno sì che d'ora in poi non ci si possa immaginare Teresa con un altro volto. Non la può immaginare, probabilmente, neanche Arturo Pérez Reverte, che ieri ha commentato su Twitter il risultato della traduzione televisiva del suo libro e si è scatenato contro la versione di Antena 3, definendola bazofia, schifezza. Questo il testo in italiano delle sue parole:
"La Reina del Sur è finita negli USA e in Spagna. Continuano ad emetterla in tutta Ispanoamerica, ma non c'è più bisogno che stia zitto. Avevo promesso di non pregiudicare la serie durante la sua emissione in Spagna. E mi è costato rispettare la promessa, ma ho mantenuto la mia parola. Adesso che è finita in Spagna, posso parlare senza danneggiare nessuno.
Chiariamo le cose: ci sono due serie. O due versioni della stessa. L'americana con 63 episodi e la spagnola con 7 o 8. La versione spagnola, ridotta con taglia e incolla, è stata un'assurdità inguardabile. E mi sorprende che abbia avuto un numero di spettatori più che ragionevole.
Una telenovela classica, con gli stereotipi del genere, per 63 puntate, non può essere presentata come una serie di prime time e supposta alta qualità. E' una truffa ai telespettatori e alla stessa opera. Non dico al libro, ma alla telenovela originale. Senza contare errori e dettagli che in America non importano, ma qui in Spagna colpiscono e infuriano. Ignoranze, tergiversazioni, accenti, ecc. Questa serie dà vergogna agli autori e ai lettori del libro.
Riassumendo: la versione spagnola è stata una schifezza come il cappello di un picador. Alcuni attori spagnoli sono distrutti da quello che si è visto qui (tra i più critici Ivan Sanchez, che interpreta Santiago e invita a vedere la versione di Miami NdRSO). La versione americana è un'altra cosa: telenovela lunga, classica, con i limiti, difetti, virtù ed efficacia di un genere lì classico. La telenovela lì è quello che è. Il suo pubblico, ampio, diverso, a volte di cultura limitata. Fargli arrivare qualcosa richiede un trattamento elementare. Lì non importa com'è vestito un poliziotto, l'onorabilità di un poliziotto o la casa di un mafioso russo a Marbella. Il rigore puntuale li trova lontani. In una telenovela americana tutto è (deve essere per regola) più semplice, elementare, efficace. Sono le regole del genere. Da sempre.
In questo senso La Reina del Sur in versione completa, americana, è una telenovela perfetta. Straordinariamente efficace, nonostante le sue moltissime limitazioni ed errori inevitabili. Questi poliziotti o doganieri sono intollerabili in una serie che si emette in Spagna, occultando l'origine specifica.
In Ispanoamerica è diverso, come ho detto. La prova è che in America continua ad avere successo da un capo all'altro e si parla della serie per gli Emmy. Lì, inoltre, ha spinto di nuovo alla lettura del libro. E porta la storia della Reina del Sur a gente che non leggerebbe mai niente. D'altra parte Kate del Castillo e gli altri buoni attori sono splendidi. E la serie lunga, anche guardandola con occhio critico, prende.
Se avessi saputo della versione volgare che avrebbero trasmesso qui, non avrei permesso che si vedesse in Spagna. Come nei film, l'autore non interviene. Approvato il progetto su carta, dati i diritti d'autore, rimane solo da sperare che lo facciano bene.
Avrebbero dovuto, e l'ho raccomandato senza successo, trasmetterla integra, in orario adeguato, senza manipolarla. Come altre telenovelas conosciute. Ma Antena 3 ha imbrogliato. Ha venduto una telenovela di lusso come una teleserie di lusso, invece di presentarla com'era, americano duro e puro.
Una serie volgare, presumibilmente e falsamente spagnola, fatta male, piena di errori intollerabili. Che dà vergogna all'autore e ai lettori del libro. Volevo fosse chiaro, adesso che non danneggio nessuno"