giovedì 2 giugno 2011

Cinque giorni alla scoperta di Cagliari

La Sardegna non è spiagge dalle acque cristalline, colline arse controllate da costruzioni enigmatiche o piatti da consumare golosamente. La Sardegna è la famiglia, gli zii dall'accento inconfondibile, le parole in una lingua incomprensibile scappate nei momenti di emozione al papà, i vassoi di candelaus e pardulas portati dai parenti in visita. L'unico modo in cui riesco a guardare l'isola è dall'affetto di chi non ci è nato, ma sente di avere qualcosa in comune con quella lingua e si riconosce in certi lineamenti.
E' stato con questi occhi che sono tornata da poco in Sardegna. Non so quanti anni erano che non visitavo la terra di mio padre ed è anche per questo che sono voluta tornarci con lui. Siamo stati a Cagliari, la città in cui non è nato, ma ha vissuto parte della sua gioventù. Se non vivete nella terra dei vostri genitori e siete sufficientemente adulti, regalatevi un viaggio con loro, nella loro terra. E' più emozionante perché è come un ritorno a casa anche per voi.
Cagliari è la tipica città che fa impazzire un torinese per due ragioni essenziali: non è in pianura e non è concepita con vie rette e perpendicolari. I primi giorni a vedere le salite che si inerpicavano verso i bastioni prendeva male, manco fosse Lisbona, alla fine, quando ti dicevano che via Sonnino è in salita, guardavi come a dire: "Scusa, ma quella tu la chiami salita?!" L'unica salita rifiutata sono state le scalinate della Basilica di Bonaria, fatte esclusivamente in discesa un paio di volte, entrambe al tramonto, quando la facciata bianca del tempio assume un colore arancionato, il mare è madreperlaceo e peccato che Su Siccu, il lungomare prospiciente, sia così breve e così abbandonato. La sua pineta è deliziosa, i pescatori con le loro canne, le navi gigantesche attraccate nel porto lontano e il mare madreperlaceo fanno pensare all'ora che volge il disio ai navicanti e 'ntenerisce il core lo dì c'han detto ai dolci amici addio. Meriterebbe maggiore cura e sarebbe uno dei posti imperdibili, a pochi passi dal porto, davanti al golfo di Cagliari, con tutta la serenità che regala il mare.
L'unica zona in cui un torinese sente che sta giocando in casa e non ha bisogno di alcuna cartina è La Marina, il delizioso quartiere che sorge alle spalle del porto; ricorda i caruggi genovesi, ma è concepito come se fosse il centro di Torino: tutto vie rette e perpendicolari; le vie perpendicolari al mare si inerpicano sulla collina e al guardarle dal basso chiudono quasi sempre con un campanile o una cupola. Ma quante chiese ci sono, a Cagliari? La Marina è tutto ristorantini, negozi di artigianato e souvenir, in un'architettura ottocentesca, troppo spesso trascurata, tra decine di accenti diversi. Cagliari è molto più cosmopolita di quanto si possa pensare da lontano. Ci sono folte comunità di cinesi e africane. A un semaforo, nei pressi di via Roma, la lunga via che affianca il porto, su cui si affacciano il Comune e la stazione ferroviaria, mi si è avvicinato un ragazzo nero, con la sua bigiotteria, e ha iniziato a parlarmi, chissà perché, in spagnolo, cercando di convincermi di avere collane belle y baratas, economiche. L'ho rivisto poco dopo in piazza Yenne, probabilmente la piazza più bella di Cagliari, con i tavolini all'aperto, frequentati dai sardi e dai numerosissimi turisti francesi e anglosassoni, le pasticcerie sarde, gli alberi con le reti, per non far cadere al suolo le foglie, e il mare, sullo sfondo. Se ci si sposta un po' si vede l'impressionante bastione incombere sulla piazza (ma la forza dei bastioni è sempre addolcita dalla presenza di una palma, che sa di oasi rassicurante). Intorno alla rotonda di piazza Yenne girano gli autobus turistici e scoperti e, nei giorni in cui ho visitato la città, anche le auto che promuovevano la candidatura di Massimo Fantola, l'aspirante sindaco del centro-destra. La campagna elettorale del PdL è stata quasi ossessiva: se uno avesse voluto sarebbe tornato a casa con chili di volantini, giornalini, foto, senza contare i banchetti all'aperto lungo via Garibaldi, la via della passeggiata serale e dello shopping (in realtà ha la stessa funzione anche via Manno, che, però, è decisamente in salita, dunque si capisce che i volontari di Fantola si piazzassero più volentieri su via Garibaldi), e senza dimenticare i balconi con le bandiere e i cartelloni in favore del candidato del centro-destra (ma quante sedi ha il PdL, a Cagliari?). Fantola aveva squadre di giovanissimi, Massimo Zedda, il candidato del centrosinistra, contava su volontari di ogni età, che porgevano i loro volantini e se gli dicevi che non votavi a Cagliari, ma forza, speriamo che ce la facciate, ti facevano un sorriso grande così e ti davano lo stesso il loro volantino, "così convince qualche parente ad andare a votarlo" (no te preocupes, che i parenti non avevano bisogno di essere convinti). Il 30 maggio, già a casa, la vittoria di Massimo Zedda si è festeggiata più di quella di Pisapia o De Magistris e peccato aver lasciato Cagliari il giorno prima e non aver potuto raggiungere piazza del Carmine, per celebrare con il giovanissimo neosindaco.
Ai balconi, comunque, non solo le bandiere di Fantola. Torino in quest'anno del 150° dell'Unità d'Italia è piena di tricolori, si potrebbero contare i balconi che non sono dotati di bandiera; a Cagliari i tricolori sono pochissimi e fanno loro concorrenza le bandiere con i 4 Mori. Probabilmente ho visto tante bandiere regionali, a sostituire quella nazionale, solo nelle Asturie, che però non vantano una lingua autoctona, come la Sardegna. I 4 Mori sono ovunque, ai balconi, nei locali, sulle T-shirt per i turisti, sulle cartoline, qualcuno li vedrà come un'affermazione del nazionalismo sardo, io, che ho un colpo al cuore ogni volta che li vedo da lontano, li ho guardati sempre con simpatia e allegria.
Cinque giorni a Cagliari sono pochissimi, soprattutto se sono accompagnati da un caldo estivo che invita ai pomeriggi all'ombra, in attesa che il sole perda forza e volga al tramonto. Però si fa in tempo a innamorarsi della città, della gentilezza essenziale dei suoi abitanti, degli scorci che guardano verso il mare, dell'architettura elegante e ottocentesca, dei piatti che mescolano il mare e la montagna. Se non fosse così trascurata, Cagliari potrebbe essere una vera e propria capitale turistica della storia italiana: conserva la più importante necropoli fenicia e la più importante costruzione romana, l'anfiteatro, della Sardegna, mescola tutte le culture che l'hanno attraversata e che le hanno regalato gli straordinari bastioni in cui si trova la città vecchia, le deliziose piazze con i tavolini all'aperto, le chiese silenziose e buie, che appaiono all'improvviso, le vie che salgono ripidamente verso l'interno e nelle quali ci sono squadre di ragazzini che riescono anche a giocare al pallone. Tengo per me una passeggiata sul monte Urpino, con la vista sullo stagno e sui fenicotteri che, raccontano i quotidiani locali, sono quest'anno più numerosi che mai; alcune viste dei bastioni e della Cattedrale trecentesca  che, in certi momenti, verso il tramonto, mi facevano pensare all'Alhambra, e un atardecer a Su Siccu. Se andate in Sardegna, non perdetevi Cagliari.