lunedì 18 giugno 2007

Gli anni d'oro del Real Madrid e l'addio di David Beckham

Gli anni d'oro del grande Real. Mi viene in mente questo verso della canzone più bella degli 883, Gli anni, vedendo le immagini deliranti di Madrid che rimbalzano da tutti i canali televisivi. 
Mi fanno pensare a tante cose. Prima di tutto a quella folla immensa ed euforica che poco più di un anno fa aspettava al Circo Massimo i campioni del mondo appena tornati a casa da un trionfo inaspettato e per questo ancora più entusiasmante. E mi viene tanta nostalgia e un briciolo di invidia.
Poi alla storia di questa squadra che deve rispondere continuamente della propria grandezza e del proprio prestigio ai tifosi, che sono anche i suoi principali azionisti, alla stampa e alla Spagna. Se il Real non vince la Liga per quattro anni, serpeggiano inqueitudine, sorpresa e insoddisfazione in tifosi, stampa e Spagna. Non deve essere facile guidare una squadra con un tale carico di storia e prestigio. Con il palmares più ricco che un club europeo possa vantare. 
Da quattro anni il Real Madrid non vinceva la Liga e, come ha notato David Beckham nella sua ultima conferenza stampa madridista, sono passati "cinque presidenti, sei allenatori e quattro case" per riuscirci. Il Real campione di Spagna ha un suo rituale per celebrare la vittoria: ieri e oggi è stato seguito per la 30° volta. Prima il bagno di folla alla Cibeles, la piazza che è come San Giovanni a Roma perché non c'è avvenimento importante per la capitale che non sia festeggiato lì. Meglio: un avvenimento è davvero importante solo se viene celebrato da una folla che dalla Cibeles arrivi almeno alla Puerta de Alcalá. Ieri quella folla c'era ed era tutta merengue
Il sindaco Alberto Ruiz Gallardón aveva già dato il permesso, in caso di vittoria, di rivestire la Cibeles con i colori merengues. E ieri notte, calato da una gru, capitan Raúl, uno dei giocatori più carismatici e più amati del Paese, nonostante i continui infortuni e una parabola di molti alti e bassi (mi fa sempre pensare ad Alessandro Del Piero), ha rivestito la statua della dea con la bandiera del Real, mandando in delirio le migliaia di persone che non aspettavano altro da quattro anni. L'autobus scoperto che portava a passeggio per Madrid i nuovi campioni di Spagna, si muoveva lentamente, nell'euforia dei tifosi: vincere la Liga battendo sul filo di lana l'odiato Barça e la nuova stella, quel Sevilla due volte consecutive campione della UEFA, dà ancora più gusto e goduria. 
Oggi le feste istituzionali, con i politici a farsi belli della 30° Liga merengue. Con Alfredo Rubalcaba, Ministro degli Interni, che prendeva beatamente in giro José Luis Rodriguez Zapatero perché, accesissimo tifoso del Barça, ha riacceso il telefono solo ore dopo la sconfitta dei blaugrana. Con Esperanza Aguirre, presidente della Comunidad de Madrid che festeggiava con i campioni di Spagna con un sorrisone che manco fosse stata in campo lei, ieri sera, ma la si può capire. Sotto, la Puerta del Sol era inevitabilmente paralizzata dai tifosi merengues, che si rimandavano il We are the champions dei megafoni con l'orgoglio e l'entusiasmo di chi, in fondo, è sempre campione, grazie a una storia di prestigio e antichità che pochi possono vantare.
Gli atti di ringraziamento, andati avanti per tutto il giorno, sono terminati in un altro dei posti indispensabili della Madrid di sempre: la Cattedrale dell'Almudena. Lì Raúl, ormai competamente afono, ha offerto la Coppa della Liga alla Vergine, patrona della città. E' stato un po' il rompete le righe dopo un campionato di molti alti e bassi, che ha tra le sue vittime più illustri David Beckham e Roberto Carlos. Lasciano entrambi perché non è stato rinnovato loro il contratto; per il brasiliano ci sono anche sopraggiunti limiti di età e l'ingratitudine che colpisce sempre le squadre quando il peso degli anni dei campioni inizia ad essere una voce del bilancio; per l'inglese c'è la superbia di Capello che non ha saputo utilizzarlo, prima di trasformarlo in uno degli artefici della formidabile rimonta madridista e di pentirsi dell'adiós più incomprensibile dell'anno. 
Sarà per questa ragione che della festa madridista tengo per me l'immagine di David Beckham, che saluta commosso il Santiago Bernabeu con la bandiera inglese sulle spalle, i tre figli per mano e il sorriso timido di sempre; quello striscione che è il pensiero odierno di mezza Spagna "David, divorzia e rimani con noi", perché nell'addio del biondo numero 23, lo sanno tutti, non ci sono solo gli errori del Real, ma anche le ambizioni hollywoodiane dell'insopportabile Victoria; la commovente bandiera verdeoro che ha sempre il potere di richiamarmi il dolce ricordo di altri tempi e di un altro campione che la sventolava dalla sua monoposto dopo ogni vittoria e che ieri Roberto Carlos teneva sulle spalle per ricevere l'ultima ovazione del Santiago Bernabeu, impazzito all'ascoltare il suo nome nella lista dei nuovi campioni di Spagna. L'hanno tenuto per ultimo insieme a quello di Beckham, per lasciare ad entrambi l'ultimo tributo madridista, il più grande e il più emotivo che potessero sognare. 
Oggi, nelle feste istituzionali, David e Roberto Carlos non c'erano.