venerdì 6 settembre 2013

40 anni dopo il golpe, i magistrati cileni chiedono perdono per non aver impedito la violazione dei diritti umani

I 40 anni dal colpo di Stato di Augusto Pinochet sembrano essere diventati un'occasione per una catarsi nazionale nel Cile. Il Paese eleggerà il nuovo Presidente poche settimane dopo l'anniversario dell'11 settembre e lo farà, per la prima volta nella storia, scegliendo tra due candidate donne, Michelle Bachelet ed Evelyn Matthei, entrambe figlie di generali, che, proprio nei giorni del golpe, assunsero posizioni diverse, marcando il proprio destino, uno con l'ascesa alla Giunta Militare e l'altro con la discesa agli inferi delle carceri e della tortura. Un programma televisivo, Las imágenes prohibidas, condotto da uno dei giovani attori più popolari del Paese, Benjamin Vicuña, ha incollato i cileni agli schermi per quattro settimane, raccontando gli anni della dittatura con immagini inedite e con le testimonianze di chi visse quel periodo.
Nel Cile convivono anniversari dolorosi e salti in avanti sorprendenti e c'è questa sorta di autoanalisi collettiva, che in questi giorni si arricchisce dalla richiesta di perdono presentata dai magistrati. In un comunicato pubblicato nella propria pagina web, la Asociación Nacional de Magistrados del Poder Judicial de Chile ammette che i magistrati avrebbero potuto fare di più per difendere i diritti umani e non lo hanno fatto. "Senza ambiguità né equivoci, stimiamo sia arrivata l'ora di chiedere perdono alle vittime e alla società cilena, per non essere stati capaci, in quel momento cruciale della storia, di orientare, interpellare e motivare la nostra istituzione e i suoi membri, in modo da non desistere dall'esecuzione dei doveri più elementari e irrinunciabili" scrive l'associazione.
L'annichilimento dei diritti umani ha prodotto in Cile, nei vent'anni di dittatura, oltre 3mila morti e un migliaio di desaparecidos, il cui destino continua a essere sconosciuto. I giudici cileni sentono "la responsabilità storica" di questi numeri. "L'inammissibilità o il rifiuto da parte dei nostri tribunali di migliaia di ricorsi di protezione, molti dei quali interposti in nome di compatrioti la cui sorte è sconosciuta, il rifiuto sistematico a indagare le azioni criminali perpetrate da agenti dello Stato e la rinuncia a presentarsi personalmente nei centri di detenzione e tortura ha contribuito, senza dubbio, al doloroso bilancio che in materia di diritti umani è rimasto dopo quel periodo grigio" scrivono ancora nel sito web della loro associazione.
L'ammissione di responsabilità non si limita al mea culpa e sembra voler coinvolgere l'intero potere giudiziario: i magistrati invitano infatti alla riflessione anche i giudici della Corte Suprema, il massimo tribunale cileno. 
Ed è stato il portavoce della Corte Suprema Hugo Dolmestch a parlare in televisione di una sorta di patto del silenzio tra i responsabili delle violazioni dei diritti umani e a invitare la società a riflettere, in tutte le sue componenti, sul "perché sono successe le cose", per arrivare a una "necessaria riconciliazione nazionale".
Una riconciliazione che sembra non ci sarà in occasione dei 40 anni dal golpe: il Governo di Sebastián Piñera, con la candidata presidenziale Evelyn Matthei, e l'opposizione, guidata dalla candidata Michelle Bachelet, stanno preparando atti diversi, per ricordare quell'11 settembre 1973, che ha cambiato la storia recente del Cile.