sabato 9 febbraio 2008

15 minuti con Kate del Castillo, alla Berlinale 2008

Kdc Che intervista si può realizzare in 15 minuti ad un'attrice bella e famosa, abituata fin da bambina a dare risposte confezionate e convenzionali, seppure con molta grazia?
Figlia di Eric, una delle leggende dello spettacolo messicano, Kate del Castillo è stata per molti anni una delle star delle telenovelas di Televisa. Ne ha girate nove, di cui due, Ramona e La mentira, note anche in Italia: la prima trasmessa da Rete4 perché interpretata da Eduardo Palomo, indimenticato Juan del Diablo di Cuore Selvaggio, la seconda da TVE Internacional, seguita dalle fans del coprotagonista Guy Ecker, apprezzatissimo in Aroma de Café. "Sono molto grata alle telenovelas, mi hanno insegnato tantissimo, mi hanno dato le basi necessarie per questo mestiere, la disciplina e l'amore per la professione" mi dice sorridendo in un salottino del Grand Hyatt Berlin, subito dopo la conferenza stampa di Julia, il film in concorso alla Berlinale di cui è protagonista con Tilda Swinton. Di persona è molto più bella che in televisione: gli occhi felini si addolciscono in un volto dai lineamenti minuti e in un sorriso luminoso. Alla statura, non proprio da modella, cerca di rimediare con poco invidiabili tacchi da 12 cm su cui si muove con disinvoltura.
Quando le dico che in Italia molti la ricordano per Ramona sgrana gli occhi. "E' stato tanti anni fa!" commenta con un gesto della mano. Quasi una vita fa, a giudicare la sua carriera.
La nuova vita di Kate è a Los Angeles. Un bel giorno si è stufata di essere la protagonista bella e piangente delle telenovelas messicane, ha chiuso casa e matrimonio con un calciatore locale e se n'è andata negli USA. In tasca aveva il contratto per 10 puntate nel serial American Family. Da lì, poco a poco, ha costruito la sua carriera americana. Che non è facile, anche se sono di moda Salma Hayek e Penélope Cruz. "Penso che per noi ispaniche sia difficile come per tutte, c'è molta concorrenza, ma sono convinta che con perseveranza, studio e talento un'attrice latina possa ritagliarsi un proprio spazio anche a Hollywood". Lei se lo è ritagliato nel cinema indipendente, anche se giura che è un caso: "Non dico di no a priori agli studios, mi piacerebbe lavorare anche con loro. E non voglio neanche generalizzare. Ma è vero che le migliori proposte finora mi sono arrivate dal cinema indipendente".
Nei suoi tre anni hollywoodiani, attentamente seguiti dalla stampa messicana, Kate del Castillo è stata la moglie sottomessa di Antonio Banderas in Bordertown, una rivoluzionaria cilena in The Black Pimpernel e una trafficante di esseri umani in Trade, con Kevin Kline. Il ruolo che l'ha però lanciata è stato quello di una prostituta in American Visa, una produzione messico-boliviana con cui ha vinto il Premio per la miglior attrice al Festival del Cinema Latinoamericano di Huelva, in Spagna, e che è stata selezionata dalla Bolivia per l'Oscar come Miglior Film Straniero e candidata al Premio Goya per il Miglior film in lingua spagnola. Colpisce che la protagonista buona e santa di tante telenovelas si sia trasformata in tante donne inquiete e spesso pericolose: "E' esattamente quello che volevo!" commenta lei compiaciuta "Volevo storie, personaggi complessi, che mi sfidassero come attrice e mi costringessero a mettermi alla prova. Non mi interessa essere bella, perfetta e glamour, lo sono stata per anni nelle telenovelas. Non posso e non voglio parlare male di questo genere, ma è chiaro che l'attrice protagonista non deve mai creare niente, mentre io ne avevo bisogno". Anche in Julia ha un ruolo un po' borderline: "Sono Elena, una donna schizofrenica e alcolizzata che ha un bambino e convince Julia, interpretata da Tilda Swinton, a rapirlo. In realtà appaio solo nella prima parte del film, ma è un ruolo importante nella dinamica della storia". Quest'ultima frase è la chiave, perché Kate sta costruendo la sua carriera americana con intelligenza: non le importa essere la protagonista a tutti costi (se volesse questo potrebbe tornare a fare telenovelas in Messico o a Miami, dove l'aspettano a braccia aperte), però è sempre nel cast di film che vengono lodati dalla critica o che propongono temi rilevanti, accanto ad attori di fama internazionale. Ha già lavorato con Antonio Banderas, Jennifer Lopez, Danny Glover, América Ferrara e nel suo prossimo film, Solitary Birds, sarà accanto ad Alec Baldwin. E i suoi personaggi, anche quando sono minori, condizionano gli sviluppi della storia.
Mentre lei racconta della sua passione per il cinema di denuncia e per l'ansia di personaggi "complessi" dopo tanta "schematicità" delle novelas, mi viene in mente Alejandro Fernandez, che, sbarcato in Spagna, ha dovuto dimenticare le folle messicane deliranti e iniziare tutto daccapo, con le interviste nelle radio a spiegare chi era e cosa faceva. "Una bella lezione per l'ego" aveva commentato divertito. Le chiedo se le passa lo stesso a Los Angeles nei casting che a Città del Messico non ha mai fatto. Sorride e resta un attimo pensierosa: "Vivere a Los Angeles è un grande vantaggio per la privacy che offre e che in Messico è impossibile. Ma credo che sia vero, fare i casting obbliga a tornare con i piedi a terra, è un colpo all'ego, chiaro. Ma è anche salutare, a me piace rimettermi alla prova, sentire che sono continuamente sfidata".
Il suo manager fa segno che rimane il tempo per un'ultima domanda. Le chiedo allora che cosa è di quel progetto di una mininovela per Internet che sta studiando da tempo con Guy Ecker: "Siamo a buon punto, abbiamo appena avuto i finanziamenti, ma non voglio dire di più, davvero. Solo che presto ci sarà la prima mininovela per Internet". Ma una telenovela vera tornerebbe a interpretarla? "No!" esclama senza dubitare. Che Televisa, Miami e fans si mettano il cuore in pace, le sofferenze a cui Kate vuole dare adesso il volto sono altre.