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mercoledì 6 agosto 2014

La riapparizione di re Juan Carlos, al giuramento del presidente colombiano

Dov'è il re? Dov'è il re? E il re è finalmente riapparso, a oltre un mese dalla sua abdicazione. Re Juan Carlos è arrivato a Bogotà, per partecipare, il 7 agosto, alla cerimonia di insediamento di Juan Manuel Santos, il presidente riconfermato alle elezioni di maggio.

La Zarzuela aveva già ipotizzato nelle scorse settimane che Juan Carlos avrebbe rappresentato la Spagna agli insediamenti dei Presidenti latinoamericani, prendendo il posto di Felipe. Il re emerito, come adesso lo chiama parte della stampa spagnola, ha una fitta rete di rapporti personali con i dirigenti di Latinoamérica e persino Hugo Chavez vedeva in lui un punto di riferimento imprescindibile, arrivando a chiamarlo una volta, scherzosamente, 'il nostro re'. Del resto, molti latinoamericani parlano della Madrepatria, quando si riferiscono alla Spagna. Per Juan Carlos, questo ruolo latinoamericano è come un ritorno a casa, in fondo, alla grande politica internazionale, che lo appassiona, ai rapporti stretti con il subcontinente, che sono sempre stati uno dei suoi obiettivi.

Il re è tornato, dunque. Lo ha fatto scendendo le scale dell'aereo con l'inseparabile bastone, da cui continua a sperare di allontanarsi. E' stato ricevuto dal Ministro degli Esteri colombiano María Ángela Holguín, e per lui è stato preparato un ricco calendario di incontri non solo istituzionali ma anche social-economici. Avrà un incontro con Juan Manuel Santos, si riunirà con alcuni rappresentanti della colonia spagnola in Colombia, visiterà le installazioni di Wayra, una controllata di Telefónica, cenerà con i numerosi presidenti latinoamericani che parteciperanno all'insediamento di Santos (hanno già annunciato la loro presenza il messicano Enrique Peña Nieto, il guatemalteco Otto Pérez Molina, l'honduregno Juan Orlando Hernández, il panamense Juan Carlos Varela, l'ecuadoriano Rafael Correa, il venezuelano Nicolás Maduro, il peruviano Ollanta Humala, il paraguayano Horacio Cartes).

Re Juan Carlos si muove ancora con il bastone e, raccontano i media, il suo obiettivo è poter tornare a camminare in modo indipendente. I medici gli hanno assicurato che è possibile e lui non ha smesso di crederci, concentrando tutto il suo impegno, una volta lasciato il trono, sul recupero fisico. Se in queste settimane è letteralmente sparito di scena, tanto che 'dov'è Juan Carlos?' è diventata una delle domande preferite a ogni conversazione sulla Monarchia, si deve non solo al fatto che vuole dare il dovuto protagonismo al figlio Felipe. Ma anche al suo impegno per tornare in buona forma fisica: da solo, alla Zarzuela, si sottopone a lunghe sedute di lavoro fisioterapico, per lasciare finalmente il bastone. E' questa una delle ragioni, assicurano i royal watchers, per cui quest'anno non lo vedremo in vacanza a Palma di Maiorca.

Nella foto, dal web spagnolo, l'arrivo di re Juan Carlos a Bogotà.



domenica 23 marzo 2014

Spagna: la Marcia della Dignità di Madrid finisce in disordini, feriti e decine di arrestati

E alla fine l'unico che ha osato dare i numeri è stato El Pais, citando fonti della Polizia: ieri, le manifestazioni che hanno percorso Madrid nel nome della Dignità, hanno raccolto 50mila persone, poi fatte scendere a 36mila dalla Questura. Difficile da credere che fossero così poche, dato che quando le Associazioni Cattoliche riempiono la plaza de Colón, allo stesso modo, si parla di almeno mezzo milione di persone, ma queste sono le cifre ufficiali e tutti i media parlano di decine di migliaia di persone.
Sono arrivati in tanti da tutta la Spagna, prima attraverso colonne partite giorni fa da vari punti del Paese, per raggiungere la capitale a piedi. Poi attraverso autobus, treni, mezzi propri. Alla fine si sono trovati ad Atocha, davanti alla stazione e l'arrivo di ogni colonna era salutato da grida, applausi, emozioni. "Il sostrato della protesta sono state le colonne che hanno seguito il tracciato delle sei strade nazionali che confluiscono nella capitale. Ma la vera materia prima della concentrazione sono stati i madrileni e quelli arrivati in treno, auto e autobus da tutto il Paese. Ad Atoche tutte el colonne si sono unite in un braccio, che ha avanzato fino alla plaza de Colón, dove è stato letto un manifesto" ha scritto El Pais.
La Marcia della Dignità aveva in testa uno striscione con su scritto Dignità in tutte le lingue di Spagna (bella idea, in questi mesi in cui si parla di indipendentismo, nazionalismo e spinte centrifughe); dietro famiglie, giovani, anziani, gente di ogni generazione che ha avanzato in un clima festivo e che ha raccontato, attraverso i cartelli, la propria rabbia e il proprio dolore. Dignità è avere un tetto, un lavoro e la sanità pubblica, hanno detto in tanti alle televisioni.
Nella plaza de Colón si stava ancora leggendo il manifesto finale, quando la Polizia ha iniziato le prime cariche. La cronaca è di eldiario.es, il quotidiano digitale che ha seguito da vicino tutta la manifestazione, sin dall'avvicinamento delle colonne a Madrid: "Le cariche sono iniziate all'incrocio della calle Génova con la plaza de Colón, introno alle 20.15, Un gruppo di manifestanti si concentrava al lato di alcune transenne, che proteggevano la strada in cui si trova la sede del PP, sull'altro lato c'erano gli agenti anti-sommossa, pronti a intervenire. Dopo le prime scene di tensione, alle transenne, gli agenti hanno ricevuto l'ordine di uscire dal perimetro protetto, dopo il lancio di qualche oggetto dal lato dei manifestanti, incontrandosi davanti il gruppo di manifestanti che li aspettava sull'altro lato della linea di sicurezza. La Polizia ha allora iniziato a caricare in modo indiscriminato, quando c'erano ancora migliaia di persone per strada. Molte di loro non erano neanche vicino alle transenne, e non formavano neanche parte dei gruppi che avevano tirato gli oggetti. Tutto dopo una manifestazione massiccia e pacifica, che nel suo zenit ha occupato 2,5 kmq di estensione". Mentre dal palco, in cui si stavano leggendo gli ultimi documenti degli organizzatori, ricordavano alla Polizia che stava caricando in zone in cui c'erano anziani e bambini.
Gli scontri sono poi proseguiti nella zona di Recoletos, tra la plaza de Cibeles e la plaza de Neptuno, dove un centinaio di manifestanti è rimasto per far fronte alla Polizia. Secondo ABC, che ha scritto un articolo pittoresco, descrivendo Madrid come una città in stato di guerra, assaltata da gruppi di facinorosi e anti-sistema, si è trattato "'dei peggiori incidenti della legislatura', come li ha descritti il Ministero degli Interni. I gruppio antisistema sono arrivati da tutta la Spagna e hanno sviluppato in modo organizzato una battaglia campale senza senso sull'asse di Recoletos, distrutto al loro passaggio. Questo è stato lo scenario della loro inspiegabile azione, senza argomenti né ideologia, senza rivendicazioni; una selvaggia sommossa come non si era vista negli ultimi tempi".
Il risultato finale sono stati 88 feriti e 24 arrestati, tra cui 3 minorenni.
Su abc.es una galleria fotografica dei disordini e del vandalismo, da youtube, un video diffuso da numerosi media digitali spagnoli, in cui si vedono le cariche della Polizia, piuttosto violente, considerando che c'erano ancora anziani e bambini per le strade.
PS aggiornamento interessante da @AcampadaPalma, su Twitter: 'la manifestazione ha occupato 295.030 m2, con perimetro de 7,42km. A 4 pers/m2, sono 1.180.120 persone'. L'immagine dello spazio occupato è su ; è che 36mila o 50mila persone presenti è davvero un po' difficile da credere, avendo visto le immagini di plaza de Colón e dintorni affollatissima come quando ci sono oltre mezzo milione di persone nelle marce per la Famiglia o contro l'ETA organizzate dalle associazioni vicine al PP.

venerdì 21 marzo 2014

Madrid pronta per la Marcia della Dignità: attese per il 22 marzo almeno 50mila persone (ma anche un milione)

Stanno già arrivando da tutta la Spagna, in sei grandi colonne, partite da Galizia, Asturie, Paesi Baschi, Catalogna, Comunitat Valenciana e Andalusia. Il 22 marzo (domani), sarà una giornata di mobilitazione, partecipazione e preoccupazione per Madrid, presa di nuovo d'assalto da collettivi, piattaforme e associazioni che proprio non ci stanno alle ricette dell'austerità e che continuano a non arrendersi ai tagli della spesa pubblica e dei diritti portati avanti da Mariano Rajoy. Hanno battezzato il loro appuntamento 22-M Marchas de la Dignidad e non c'è bisogno di traduzione. A questo titolo della manifestazione, bisogna aggiungere i quattro slogan principali; No al pagamento del debito, Neanche un taglio in più, Fuori i governi dalla troika, Pane, lavoro e tetto per tutti e per tutte.
Sono tornati gli indignados, quasi tre anni dopo la prima grande manifestazione alla Puerta del Sol? E' presto per dirlo, anche se il Prefetto di Madrid Cristina Cifuentes, terrorizzata da possibili occupazioni del suolo pubblico in pieno stile 15-M, alle porte delle elezioni europee, ha già blindato la capitale. Elconfidencial.com sostiene che la Delegación del Gobierno (la Prefettura) abbia deciso di "mobilitare 40 gruppi dell'Unità d'intervento della Polizia, cioè, circa 1600 effettivi anti-disturbo, e sei gruppi dell'Unità di Prevenzione e Reazione, che significa altri 180 agenti con funzioni anti-disturbo. Sono stati chiamati anche 240 funzionari (e altri 180 di riserva) della Brigata Mobile, incaricata di controllare gli spostamenti dei manifestanti fino a Madrid e nella stessa capitale. In totale ci saranno 2020 poliziotti nelle strade della città, a vigilare l'evoluzione delle marce, senza contare i membri dei servizi d'informazione, gli agenti del Servizio dei Mezzi Aerei e gli effettivi della sicurezza cittadina, anch'essi convocati". Il sito web nota come la manifestazione di domani batta ogni record per presenza di poliziotti in strada: finora il numero più alto era stato 1500 per le marce degli indignados e i tentativi di circondare il Congresso del 2013.
E' evidente il timore del Governo conservatore davanti alle manifestazioni popolari e, soprattutto, davanti al rischio che una piazza simbolica della capitale possa di nuovo essere occupata con tende e assemblee, durante la campagna elettorale europea.
Dalle sei colonne, arrivate già alle porte di Madrid, però, il messaggio è pacifico e non violento. "Il manifesto che abbiamo firmato insieme parla della profonda crisi politica ed economica attraversata dalla democrazia spagnola. Rivendichiamo la disobbedienza civile, ma sempre in modo non violento. Però siamo convinti che cercheranno di criminalizzare tutto il collettivo, come fanno ogni volta che qualcosa va contro gli interessi del PP o del PSOE. Curiosamente, i disturbi iniziano sempre perché prima la Polizia carica, senza alcun motivo” dice David, portavoce di Democracia Real Ya Madrid, a elconfidencial.com. Per essere pronti a ogni evenienza, gli organizzatori hanno annunciato la consulenza di 30 avvocati, che assisteranno le persone eventualmente fermate e arrestate durante la manifestazione.
Le cifre probabili dei partecipanti al 22-M sembrano quelle di Questura e organizzatori dopo un corteo italiano. Si aspettano circa 50mila persone, ma da Democracia Real Ya, facendo i conti degli 800 autobus già affittati, di treni, madrileni e manifestanti vari, assicurano che si potrebbe arrivare tranquillamente a mezzo milione di persone nelle strade della capitale, pronte a confluire in plaza de Colón. C'è anche chi parla di un milione di persone. Mancano poche ore per verificare il potere di convocazione degli indignados, a quasi tre anni dal 15-M.


venerdì 7 marzo 2014

Carlos Baute lancia il video di Intenta respetar, per chiedere pace nel Venezuela

Il volto dipinto con i colori della bandiera venezuelana, l'espressione seria e grave: così Carlos Baute guarda la telecamera e canta Intenta respetar, la canzone che ha scelto per proclamare la propria solidarietà al Venezuela, il suo Paese. Da tempo residente in Spagna, Baute è uno degli artisti più attivi su Twitter, in sostegno delle manifestazioni dei venezuelani e del dialogo per un Venezuela diverso.
Nel video di Intenta respetar alterna le sue immagini a quelle prese dalle strade venezuelane di quessti giorni, con i giovani che manifestano, con i cartelli e gli striscioni che chiedono un Venezuela in pace, sicuro e non violento, con la repressione e le violenze che hano causato morti e feriti. Un paio di giorni fa il cantante ha pubblicato il video di Intenta respetar su youtube e lo ha lanciato su Twitter con l'hashtag #venezuelamueretucallas (il Venezuela muore, tu stai zitto), invitando i fans a diffonderlo tra i politici e le persone più influenti del proprio Paese.
Qui il testo e la traduzione della canzone, poi il video, da youtube.

Intenta respetar
Al que ves que es diferente, / Al que piensa algo distinto, / Al que juzgas duramente y no se lo dices de frente, / No merece ser tu amigo , / Hoy culpaste a tu pie izquierdo, / Y mañana es el estrés, / Tal vez ese que hoy atacas, / Puede ser tu gran amigo, / Y en tu guerra no lo ves, / Intenta, / Tratar a los demás como lo harías contigo, / Con solo otra sonrisa todo es mas bonito, / Olvídate el rencor que te hizo andar perdido, / Intenta, / Tratar a los demás como lo harías contigo, / No culpes a los otros por pensar distinto, / Cuidado, / Contigo, / Te digo, / Amigo, / No estás siendo razonable, / No sé lo que te ha ocurrido, / Vas jugando al tiro al blanco con el que se te atraviese, / Sin haberle conocido, / Te lo digo por voz propia, / Yo he pasado por lo mismo que tú, / Porque mientras no critico, / Juzgo menos y respeto, / El camino se ilumina de luz, / Intenta, / Tratar a los demás como lo harías contigo, / Con solo otra sonrisa todo es mas bonito, / Olvídate el rencor que te hizo andar perdido, / Intenta, / Tratar a los demás como lo harías contigo, / No culpes a los otros por pensar distinto, / Cuidado, / Contigo, / Te digo, / Que importa las creencias, / Religiones, / Diferencias de colores, / Respetemos, / No hay abismos con amor, / Somos lo mismo, / Respeta, / Respeta, / Intenta, / Querer, / Respeta, / La vida, / Intenta, / Reír, / Respeta, / Intenta, / Tratar a los demás como lo harías contigo, / No culpes a los otros por pensar distinto, / Cuidado, / Contigo, / Te digo, / Amigo, / Intenta, / Respeta, / Intenta, / Respeta, / Intenta, / Respeta, / Intenta, / Respeta, / Intenta, / Respeta.

traduzione in italiano
Cerca di rispettare
Chi vedi diverso / chi pensa in modo diverso / chi giudichi duramente e non glielo dici in faccia / non merita di essere tuo amico / oggi hai dato la colpa al tuo piede sinistro / domani sarà lo stress / forse chi oggi attacchi / può esere un tuo grande amico / nella tua guerra non lo vedi / cerca / di trattare gli altri come faresti con te / con solo un altro sorriso è tutto più bello / dimentica il rancore che ti rende disoreientato / stai attento / ti dico / amico / non sei ragionevole / non so cosa ti sia successo / giudichi facilmente chi incroci nel cammino / senza conoscerlo / te lo dico per esperienza / ho fatto lo stesso come te / ma mentre non critico / giudico di meno e rispetto / il cammino si riempie di luce / cerca / di trattare gli altri come faresti con te / con solo un altro sorriso è tutto più bello / dmentica il rancore che ti disorienta / cerca / di trattare gli altri come faresti con te / non dare la colpa agli altri per pensare in modo diverso / Attento / ti dico / cosa importano le credenzze / religioni / differenze di colore / rispettiamo / non ci sono abissi con l'amore / siamo la stessa cosa / rispetta / rispetta / cerca / di amare / rispetta / la vita / cerca di / ridere / risptta / cerca / di trattare gli altri come faresti con te / nond are la colpa agli altri perché pensano in modo diverso / attento / ti dico / amico / cerca / rispetta / cerca / rispetta / cerca / rispetta / cerca / rispetta / cerca / rispetta

lunedì 3 marzo 2014

Venezuela: dal carcere Leopoldo López pensa all'organizzazione della lotta non violenta

Leopoldo López è in una cella di isolamento del carcere di Ramo Verde a Los Teques, nello Stato venezuelano di Miranda, e non ha alcun contatto con l'esterno, se non attraverso le visite della moglie Lilian, dei genitori e dei suoi avvocati. Il leader di Voluntad Popular, formazione dell'opposizione radicale al Governo di Nicolás Maduro (l'opposizione 'moderata' è guidata da  Henrique Capriles, sconfitto alle elezioni presidenziali di un anno fa) ha però rilasciato un'intervista scritta al quotidiano El Nacional, in cui invita i venezuelani a continuare a protestare in manifestazioni non violente. Ma non solo, per López è tempo di passare all'"organizzazione della lotta non violenta".
Di sé dice che sta bene, "isolato in un carcere. Sono forte e consapevole di quello che sta succedendo. Da tempo sapevo che sarebbe potuto succedere. Nicolás Maduro mi sta minacciando con il carcere da un anno, stava aspettando la scusa per realizzare il suo desiderio insicuro e autoritario e il 12 febbraio c'è riuscito. Quello che sto vivendo in prigione, non è conseguenza delle manifestazioni del 12 febbraio né della Procura. Ogni giorno è più chiaro che è stato un piano realizzato dal Governo". Così spiega che Juan Montoya, uno dei leaders delle squadre armate chavistas, morto in circostanze non ancora chiarite durante gli incidenti del 12 febbraio, è "stato ucciso dagli stessi collettivi. Abbondano prove, foto, video e testimonianze. Sono innocente e rimarrà chiaro davanti alla storia. Adesso, assumo tutta la mia responsabilità per aver convocato la manifestazione, lo rifarei. La risposta massiccia ratifica che avevamo ragione nel chiamare la gente, affinché si apra un camino per il cambio sociale e politico, che potrà venire dalla mano di milioni di venezuelani in strada, in pace e senza violenza. E come io mi assumo le mie responsabilità e rispondo davanti a una giustizia ingiusta, anche Nicolás Maduro, circondato dai simboli del potere e della debolezza del suo governo, assuma le sue".
López assicura di non essersi pentito di essersi consegnato "volontariamente a uno Stato carnefice, che non solo è diventato mio carceriere, ma è anche carnefice del futuro di tutti i venezuelani". Non teme che le proteste possano terminare, essendo lui in carcere, perché sono "espressione di un popolo guidato da giovani a cui è stato espropriato il futuro e calpestato il presente. Le proteste sono massicce in tutto il Paese, nonostante la violenza e la repressione del Governo, sono continuate e continueranno. Come ho letto in uno striscione del 12 febbraio: "Ci hanno tolto tanto che ci hanno tolto persino la paura"".
Dal carcere il leader politico invita a pensare al futuro delle proteste o, come dice lui, "dare una direzione, che per me, in concreto, significa tre cose. La prima cosa da fare è definire obiettivi a breve termine, che siano raggiungibili. Sono d'accordo con i miei compagni circa l'unità. Di lì, la prima cosa concreta è giustizia per i colpevoli di repressione, morte e carcerazioni. Due, la ricomposizione dei poteri, che si sostituisca chi ha le cariche scadute, che si designino nuovi magistrati e nuovi rettori del CNE. Non è concessione, è giustizia ed è rispettare la Costituzione. Tre, che si faccia giustizia per la truffa da 30 miliardi di dollari rubati da Cadivi e ammessa da tutto il Governo". La strada, aggiunge Lopez, "è il principale scenario della lotta, ma non l'unico. Le aule di scuola, i posti di lavoro, le code per comprare gli alimentarie  anche le famiglie devono essere scenari di lotta non violenta. E, infine, bisogna assumere disciplinatamente l'incorporaizone permanente di nuovi settori e movimenti alla lotta non violenta".
Le ultime parole sono per Papa Francesco, a cui López ha inviato una lettera prima di consegnarsi alla Giustizia; la lettera è stata pubblicata sul sito web di López (www.leopoldolopez.com), pubblicizzata da sua moglie Lilian su Twitter e ripresa da buona parte dei media latinoamericani. Per risposta, il Papa, "grazie a Dio, ha già parlato del caso venezuelano e della necessità del riconoscimento reciproco".
Nel carcere, commenta El Nacional, López si vede poco. Giovedì gli è stato permesso di giocare con suo figlio Leopoldo Santiago (che ha anche compiuto i suoi primi passi proprio nel carcere in cui si trova il padre), in un edifizio annesso a quello in cui si trova. Mentre l'aveva sulle spalle e camminava con lui, chi andava a visitare gli altri carcerati, principalmente donne e bambini, si avvicinava per salutarlo".


venerdì 21 febbraio 2014

Venezuela: dopo l'arresto di Leopoldo López, sua moglie Lilian Tintori conquista il Paese

L'immagine della folla che la solleva, per dare un ultimo bacio al marito, pronto a consegnarsi alle autorità venezuelane, ha fatto il giro del mondo (se vi siete persi la sequenza, potete vederla su panorama.com.ve). Da allora la giovane Lilian Tintori, moglie del 42enne leader di Voluntad Popular Leopoldo López, è diventata una delle donne più popolari del Venezuela e i media del Cono Sur parlano già di lei e di Leopoldo come la nuova coppia stella della politica venezuelana. Perché a volte sono i gesti, che rimangono in testa, più delle promesse, delle minacce, del dibattito politico. E quell'ultimo bacio, quell'ultimo segno di lealtà, non è passato inosservato.
Lilian Tintori è giovane e bella, ha due bambini in tenera età e, come le mogli thirty-and-something di tanti politici (la peruviana Nadine Heredia, per esempio), sa usare abilmente le reti sociali. Su Twitter e Instagram abbondano le sue immagini familiari, con il marito e i figli, e professionali, di educatrice, coach e motivatrice. Un volto giovane e sicuro, un fisico scattante, una passione per lo sport e per la bellezza, come molte donne venezuelane, Lilian è una di quelle donne in cui è facile identificarsi per migliaia di connazionali.
E da quando suo marito è in carcere è diventata anche una sorta di sua portavoce, l'icona che vuole impedire al chavismo di mangiarselo e ai media di dimenticarlo. "Ha agitato le strade e dov'è adesso Leopoldo López?! Dove avevo promesso che sarebbe stato: in carcere" ha detto, smargiasso, il presidente Nicolás Maduro, che, a quanto pare, precede qualunque verdetto della Giustizia.
"Ho fiducia e non ho alcun dubbio che Leopoldo sia innocente, il Governo o vuole controllare" ha detto Tintori alla colombiana RCN la Radio. La Colombia, anche per questioni di vicinato e di una frontiera di migliaia di chilometri, è uno dei Paesi che guardano con maggiore attenzione all'agonia del chavismo senza Hugo Chávez. Numerose le interviste ai leader dell'opposizione, numerosi gli articoli d'opinione, numerosi gli aggiornamenti su quello che succede a Caracas.
Leopoldo López è accusato di terrorismo e omicidio, perché considerato istigatore delle violenze che finora hanno causato sei morti, decine di feriti e centinaia di arresti. "Ieri ha passato la notte nel carcere di Ramo Verde. Non ho dubbi che non abbia niente a che vedere con le accuse e spero che esca… Ha fatto tutto con molto coraggio, molto sforzo e sacrificando molte cose" ha detto la moglie alla radio colombiana. Mentre a CNN en español, ha spiegato di avere paura, soprattutto dopo la perquisizione subita in casa, alla presenza dei suoi due piccolissimi bambini, poco prima che suo marito si consegnasse alle autorità: "Vediamo che non rispettano i nostri diritti, che non abbiamo giustizia, che non ci difendono. Sì, abbiamo paura. Io ho paura per i miei figli. Le ultime ore sono state molto difficili, hanno perquisito la nostra casa con i volti coperti e le armi in mano, mi sono spaventata moltissimo".
Ieri ha pubblicato su Twitter un'immagine in cui la si vede con in mano una statua della Vergine di Coromoto, la patrona del Venezuela, che ha portato a Leopoldo, nella prima visita in carcere (al termine dell'udienza che doveva confermare o rifiutare la carcerazione, è stato annunciato che l'accusa ha chiesto per lui 10 anni di carcere e che il leader politico rimarrà in carcere per altri 45 giorni). Su Twitter ha raccontato come è andata e dimostra tutto il suo coraggio di donna impegnata politicamente e di moglie leale al poprio matrimonio:
Leopoldo vi manda molta forza e molta fe! Non arrendetevi!!
L'udienza di ieri è terminata alle 7am, è durata 11 ore e l'hanno lasciato in carcere senza giustificazione!
L'ho visto sereno e forte. Rispondendo per ognuno di noi!
Seguiamo con la Non violenza+organizzazione+disciplina. @leopoldolopez Forza e Fede!
Giorno per giorno mi accompagnerete in questa cosa così forte, triste e ingiusta per la mia famiglia. Vi voglio bene e grazie per stare con me
In una delle interviste concesse in questi giorni racconta le ultime parole di suo marito, davanti a migliaia di militanti, con gli occhi delle telecamere che raccontavano i suoi ultimi minuti di libertà: "Mi ha detto 'abbi cura dei nostri bambini' e così farò". E prendersi cura dei suoi bambini significa anche impegnarsi per un Venezuela senza violenza, senza insicurezza e dotato di tutti i beni elementari che le sue ricchezze naturali dovrebbero garantirgli. Ma Lilian ha già escluso qualunque coinvolgimento politico: non sarà una Cristina Fernández o una Nadine Heredia. Sogna solo di tornare alla sua vita di madre, moglie, educatrice e coach, in un altro Venezuela.
Dalla lunga galleria fotografica del colombiano elespectador.com, una foto di Lilian Tintori, presa, come le altre, dal suo profilo su Twitter.



mercoledì 19 febbraio 2014

Venezuela in fiamme: l'attesa per Leopoldo López, i cortei nelle città, il dolore nelle reti sociali

Cosa succede nel Venezuela è difficile capirlo, da lontano. Il Paese sudamericano suscita tanta passione ideologica, che nei media e nelle reti sociali è difficile discernere il reale dal desiderato, l'immaginario dall'accaduto. Per dare un'idea: un paio di giorni fa, il quotidiano digitale spagnolo eldiario.es pubblicava tutta una serie di foto rilanciate su Twitter, e spacciate come immagini delle violenze in corso nel Paese, dimostrando che in realtà erano fotografie scattate altrove, alcune addirittura in Siria. Non si aiuta a capire cosa succede in un Paese manipolandone la realtà. Dunque, attenzione, sempre, a quello che viene pubblicato nelle reti sociali.
Ma questo non significa affatto che il Venezuela non stia vivendo ore drammatiche e violente.
I cortei che lo infiammano da giorni non sono cessati e per Caracas si preannuncia una giornata agitata. Una giudice dovrà stabilire se Leopoldo López, uno dei leaders dell'opposizione, che ieri si è consegnato alla Guardia Nacional Bolivariana, accompagnato da migliaia di persone, rimarrà in prigione o potrà uscire. López è accusato di aver organizzato le rivolte e le violenze dei giorni scorsi, 'terrorismo' e 'omicidio' sono i capi di accusa; prima di consegnarsi ha diffuso un video in cui dichiara di essere innocente, di non aver niente da nascondere e di non avere alcuna intenzione di lasciare il Venezuela, la sua terra. Per il presidente Nicolás Maduro, una spina nel fianco, ma lasciarlo in prigione, in questi giorni di tensione, con Caracas paralizzata da cortei e barricate (leggete su eluniversal.com il resoconto delle avenidas bloccate dai manifestanti), con le autorità che bloccano il trasporto pubblico tra la capitale e i suoi dintorni, per cercare di frenare l'arrivo dei manifestanti, potrebbe non essere una buona idea. Esponente dell'opposizione più radicale a Maduro, opposto al più moderato Henrique Capriles (che infatti è riuscito a riunire intorno a sé la borghesia e la classe media venezuelane, grazie ai suoi toni moderati e socialdemocratici), se rimanesse in carcere, Leopoldo López potrebbe offrire all'opposizione una ragione d'unione e potrebbe addirittura radicalizzare lo scontro nelle strade venezuelane. Senza pensare che potrebbe esacerbare anche la lotta di potere per l'eredità di Hugo Chávez, mai venuta meno, tra il presidente della Repubblica Nicolás Maduro e il presidente dell'Asamblea Nacional Diosdado Cabello, che non ha mai digerito la nomina di Maduro a proprio successore fatta pubblicamente da Hugo Chávez, prima dell'ultimo viaggio a L'Avana.
Difficile, dunque, prevedere cosa deciderà la Giustizia venezuelana sul destino di López, sotto le pressioni di una popolazione stanca e di una società più polarizzata che mai.
Stiamo assistendo alla fine de chavismo? si chiedeva stamattina lo spagnolo elconfidencial.com. Sarà Leopoldo López, il simbolo della rivolta conto il chavismo? La risposta non è così netta. Il sito web spagnolo cita il post Spoiler Alert del blog anti-chavista Caracas Chronicles, in cui l'autore, Francisco Toro, scrive in inglese: "Ho già visto questo film in passato e so più o meno come finisce. (...) Proteste della classe media in quartieri della classe media, di gente per la classe media, non sono una sfida per il sistema di potere chavista. Sono parte del potere del sistema chavista".
Niente di nuovo, dunque. E addirittura una preoccupazione: che queste manifestazioni studentesche diventate rabbia e furore di popolo, finiscano con il sottrarre voti e credibilità a Henrique Capriles, impegnato a unire e a offrire il volto gentile e credibile, ma anche fermo e risoluto, dell'opposizione. C'è anche il rischio che il movimento chavista si veda rafforzato, richiamando a sé chi si sentiva deluso, visto il rischio di un 'colpo d Stato fascista'.
"Può essere che il Governo di Maduro non sia a rischio di un collasso imminente, ma la governabilità del Paese è diventata spinosa. Con maggiori proteste all'orizzonte, i problemi stanno aumentando per il presidente venezuelano: l'inflazione fuori controllo, la svalutazione della moneta, la scarsità di prodotti essenziali, la criminalità allarmante. Senza nessuna elezione nei prossimi 18 mesi, i venezuelani hanno perso il sollievo elettorale, che hanno periodicamente usato, per scaricare la pressione sociale. Forse per questo Leopoldo López è convinto che la sua carcerazione possa essere la goccia definitiva che inizia a perdere il chavismo" scrive elconfidencial.com.
Di fronte al sostanziale disinteresse della stampa e degli organismi internazionali, colpisce la passione con cui nelle reti sociali si vivono questi giorni drammatici per il Venezuela. Si rincorrono i messaggi di venezuelani in patria e all'estero, di famosi e anonimi, di chavistas e anti-chavistas, entrambi a dirsi che la patria è di tutti e di smetterla di considerarla solo propria. Sono scesi in campo anche i giocatori della Vinotinto, la bella nazionale di calcio che sorprende e si fa amare. Il messaggio più struggente è quello di Salomón Rondón. Su Instagram ha pubblicato quest'occhio con lacrima al bordo e una scritta, che tradotta suona Venezuela, mi fai star male nell'anima! E come didascalia, poche parole: Ti amo, Venezuela. Che Dio ti benedica. E che così sia.



sabato 1 febbraio 2014

I Treni della Libertà a Madrid: oltre 20mila persone contro la restrittiva Legge sull'Aborto del PP

Sono arrivati in oltre 20mila, con i Treni della Libertà, da tutta la Spagna, per dire di no alla proposta di Legge sull'Aborto e per chiedere le dimissioni del Ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardón, che la firma. Sono la marea violeta, un nuovo colore alle maree che percorrono la Spagna, per difendere i diritti conquistati durante la democrazia e lo Stato Sociale spogliato dall'austerità e dal Governo conservatore. 
Tutto è nato nelle Asturie, ancora una volta. Dal Principato è partita la riscossa. Come nel Medio Evo, quando furono i re asturiani a dare il via alla Reconquista, fermando i Mori a Covadonga. Come negli anni delle lotte dei lavoratori, quando furono i minatori asturiani a denunciare le loro dure condizioni di vita e a esigere il riconoscimento dei loro diritti, aprendo la strada al movimento operaio. Le Asturie, ancora una volta faro di Spagna. 
Il tren de la libertad è nato a Gijón, quasi per caso, il 26 dicembre, in un pomeriggio di conversazioni della Tertulia Feminista les Comadres e delle Mujeres por la Igualdad de Barredos. Il progetto di Legge sull'Aborto era appena stato presentato da Alberto Ruiz-Gallardón e aveva già suscitato reazioni sdegnate e preoccupate: non solo cancellava la nuova legge del 2010, che garantiva l'aborto libero fino alla 14° settimana di gravidanza, ma negava l'aborto in caso di malformazione del feto, permettendolo solo in caso di violenza sessuale o di pericolo di vita della madre. Le conversazioni indignate per quel progetto di legge hanno prodotto il Tren de la Libertad, la decisione di prendere il treno per portare a Madrid rabbia e preoccupazione. 
"Abbiamo comprato 150 biglietti per Madrid, il massimo permesso da RENFE. Speravamo di coprire tutti i posti, ma era complicato, così abbiamo iniziato a promuovere l'iniziativa sulle reti sociali. In pochi giorni i biglietti erano esauriti" racconta Begoña Piñero, la presidente di Tertulia Feminista Les Comadres di Gijón, a eldiario.es. E non solo sono andati esauriti i biglietti dalle Asturie, ma altre regioni spagnole hanno voluto unirsi all'iniziativa. Così oggi, alle 11.30 sono arrivati ad Atocha treni provenienti da Andalusia, Asturie, Catalogna, le due Castiglie, i Paesi Baschi. La Spagna che è stata disposta a spendere i suoi 60-90 euro di biglietto, che in questi anni di crisi non sono pochi, per andare nella capitale e dire che sull'utero delle donne, decidono solo le donne. E, siccome la proposta di legge spagnola sta preoccupando anche l'Europa, manifestazioni di sostegno sono state annunciate in diverse città d'Europa e persino a Buenos Aires. 
Erano in oltre 20mila, si è già detto. Ma quello che ha sorpreso i media spagnoli e che racconta come questo Paese abbia nel proprio DNA la difesa dei diritti e la voglia di libertà, nonostante i regimi che lo governano, è che non c'erano solo donne, ma anche moltissimi uomini.  Perché la difesa del diritto all'aborto, del diritto di decidere sul proprio corpo, non è una questione femminile. E' una difesa che parte dal tipo di società in cui si vuole vivere. "Dobbiamo manifestare quando si restringono diritti come questi, sia uomini che donne, perché i figli sono di entrambi" dicono due manifestanti uomini a El Pais.
Non c'erano solo volti noti e meno noti della Spagna progressista, ma anche le donne di Cattoliche per il Diritto di Decidere, guidate dalla loro presidente, Mar Grandal. "E' una legge che ci toglie il diritto di decidere e ci obbliga a essere madri quando non vogliamo", "Quello che vogliamo è la libertà di decidere, in una società democratica nessuno ti può obbligare a essere madre se non vuoi e non possono criminalizzarci per difendere ed esercitare i nostri diritti", "Quelli che fanno questa legge sono figli di quelle che andavano ad abortire a Londra" dicono alcune delle voci raccolte da El Pais durante la manifestazione, una delle più grandi che si siano viste in Spagna, in difesa dell'aborto.
Come sempre succede nella Spagna di Mariano Rajoy, la manifestazione, che aveva in programma un percorso breve, da Atocha fino alla plaza de Neptuno e, quindi, deviazione fino al Congreso de los Diputados, si è mossa tra grandi misure di sicurezza. Il popolo che manifesta il proprio disaccordo e la propria protesta guardato a vista, tenuto a bada, come se fosse un nemico e non il punto di riferimento da servire. Non ci sono state incomprensioni né provocazioni: il clima è stato piuttosto festivo e il messaggio è arrivato chiaro. Adesso bisogna vedere quanto il Governo sarà in grado di raccoglierlo, ricattato dai settori più conservatori, legati alla Chiesa Cattolica, e indebolito dalle clamorose marce indietro fatte dal PP di Madrid sulla privatizzazione della Sanità e di Burgos sulla costruzione di un parcheggio sotterraneo, che aveva spinto un intero quartiere a sollevarsi.
Noi donne decidiamo, lo Stato garantisce, la società rispetta e la Chiesa non interviene. E' il titolo di un editoriale di publico.es e mi sembra una magnifica sintesi di quello che dovrebbe essere. Che la Spagna possa ottenerlo.


martedì 28 gennaio 2014

Vincono la marea blanca e i cittadini: Madrid rinuncia alla privatizzazione della Sanità

Che la vittoriosa rivolta del quartiere di Gamonal, a Burgos, abbia segnato un prima e un dopo, l'inizio della controffensiva popolare contro la restrizione dei diritti e all'impoverimento dello stile di vita? A pochi giorni dalla resa del sindaco di Burgos, che ha sospeso definitivamente i lavori nella calle Victoria, arriva una resa molto più importante dal punto di vista politico e sociale: il presidente della Comunidad de Madrid Ignacio González ha annunciato la rinuncia al piano di privatizzazione di sei ospedali madrileni, cioè al maggior piano di privatizzazione della Sanità pubblica mai preparato in Spagna.
E' la vittoria della marea blanca, della marea di personale medico e paramedico, di pazienti e cittadini, che per mesi, insieme ad altre maree, di altri colori, ha percorso Madrid, protestando contro le riforme promesse dallo Stato. E' una vittoria ampiamente aiutata dalla Giustizia, bisogna anche dirlo. Ieri il Tribunal Superior de Justicia di Madrid decideva di mantenere la sospensione del processo di privatizzazione, già in atto da settembre, in attesa di vederci più chiaro su possibili irregolarità nel processo di aggiudicazione e di modifiche delle condizioni del concorso, pochi giorni prima della sua scadenza. E González, senza molte altre opzioni davanti, ha preferito rinunciare al progetto. Una rinuncia che è anche costata il posto all'Assessore alla Sanità della regione, Javier Fernández-Lasquetty, sostituito con Javier Rodríguez Rodríguez, dottore (è cattedratico di Patologia Generale e responsabile dell'Unità di Ipertensione all'Ospedale Gregorio Marañón, uno dei più importanti di Madrid) e portavoce della Sanità del PP nel Parlamento regionale di Madrid.
Ma è giusto che la politica la faccia la Giustizia? si chiedono i media, preoccupati da come siano le inchieste per corruzione a espellere dalla politica, a far traballare istituzioni, a cancellare progetti politici. Ma è giusto, allora, che i politici siano corrotti, che i loro progetti continuino a considerare poco i diritti dei cittadini e molto gli interessi di pochi, che alla testa delle istituzioni ci siano persone dai comportamenti poco etici? La Giustizia, uguale per tutti, non dovrebbe intervenire quando chi non rispetta la legge agisce in politica? Pure queste sono domande.
Il progetto di privatizzazione dei sei ospedali madrileni è stato contestato sin dall'inizio sia dai cittadini che dai medici. Sono stati loro, con ben cinque scioperi a tempo indeterminato in due anni, con le loro manifestazioni in piazza, cno i sit-in davanti agli ospedali a tenere desta l'attenzione. Patricia Alonso, della direzione dell'Asociación de Facultativos Especialistas di Madrid (Afem), l'organizzazione che ha promosso la maggior parte delle proteste, ha spiegato a El Pais: "Non è una questione ideologica, è professionale. Non ci hanno mai consegnato studi, né a Madrid né a livello internazionale, che dicano che con la gestione privata si possono offrire gli stessi servizi sanitari con meno denaro. Non ci sono stati rapporti economici né scientifici di peso. Noi chiedevamo solo che ci presentassero i loro numeri, m non li avevano. E quando noi offrivamo i nostri, non avevano risposte. E' che il denaro non si crea è si produce e non parliamo di pochi soldi. La comunidad spende in Sanità 7 miliardi di euro, la metà del suo bilancio. Ed è chiaro che quello che si dà all'impresa privata si sottrae alla Sanità pubblica".
Ma è tutta la gestione del sistema sanitario della Comunidad de Madrid che è stato concepito in modo superficiale, con l'idea di un denaro pubblico da distribuire facilmente agli operatori privati possibilmente simpatizzanti del partito. I sei ospedali che la Comunidad voleva privatizzare, l'Infanta Sofía, l'Infanta Leonor, l'Infanta Cristina, quelli di Henares, del Sureste e del Tajo, sono ospedali che non erano necessari: "Quello di cui c'era bisogno erano centri di media e lunga permanenza, che sono molto più economici e danno maggiori benefici alla società" spiega Alonso.
Il ritiro del piano della Sanità è un duro colpo per il PP madrileno, che arriva dopo il fallimento del progetto di Eurovegas, che doveva portare alla periferia di Madrid un grandioso complesso di gioco d'azzardo al margine della legge e del fisco, e che si aggiunge, per il PP nazionale, al crollo di immagine che è stata la vittoria dei cittadini di Burgos contro il parcheggio sotterraneo che si voleva costruire per favorire un costruttore senza scrupoli, già condannato al carcere, troppo vicino alla dirigenza del PP, incluso José Maria Aznar. Potrebbe essere anche il colpo decisivo alla carriera di Ignacio González, sotto inchiesta per l'acquisto irregolare, da parte della moglie, di un attico a Marbella, già colpito dai fallimenti della candidatura olimpica e di Eurovegas. E inizia a essere preoccupante per il PP, la mediocrità dei suoi leaders madrileni: anche il sindaco della capitale, Ana Botella de Aznar, non gode di grande popolarità e non mostra grandi capacità di gestione della cosa pubblica.
Per l'opinione pubblica, che ormai da due anni lotta contro la restrizione dei diritti e la spoliazione dello Stato Sociale, nel nome dell'austerità, è una grande vittoria non solo psicologica, subito dopo quella di Burgos. Non per niente oggi El Mundo parla di un Gamonal sanitario.
"Riformare il sistema sanitario pubblico è cosa estremamente seria e complessa, richiede la collaborazione e gli sforzi di tutti. Ma, come per molte altre cose nel nostro Paese, i nostri governanti agiscono con un disprezzo infinito, senza contare su nessuno, sapendo che qualunque errore che commettono verrà pagato con il denaro e la salute dei madrileni. Per anni abbiamo vissuto nel Paese del 'tutto si può fare', non importa che non ci sia nessuno studio che sostenga la privatizzazione, che cambiamo i dati dei contratti all'ultimo momento o che bisogna riequilibrare i contratti più tardi, perché le imprese guadagnino denaro. Oggi, cittadini, personale sanitario e la stessa giustizia si sollevano per dire a questo Paese che 'non tutto si può fare', che siamo un Paese serio, di cittadini seri e professionisti seri. Vogliamo politici seri che lottino per riformare un sistema sanitario che è uno dei nostri maggiori tesori, perché loro sono al nostro servizio e non noi al loro" scrive su El Mundo Pedro González, presidente di Afem. E' una dichiarazione di vittoria, è il manifesto della Spagna indignada che inizia a raccogliere i suoi primi successi.

venerdì 22 novembre 2013

Multe salate per chi protesta e fotografa i poliziotti nelle manifestazioni. Libertà in pericolo in Spagna?

"Nella prima parte della legislatura, il Governo ha tagliato i diritti. Adesso attacca le libertà". Così il Segretario Generale del PSOE Alfredo Pérez Rubalcaba ha sintetizzato stamattina, in un'intervista radiofonica, quello che pensano molti spagnoli sulla nuova proposta di legge, chiamata dal PP Legge di Protezione della Sicurezza dei Cittadini, e considerata, da molti oppositori, una Legge Anti-Sciopero o, tout-court, una Legge Anti-15M, contro le manifestazioni e le proteste dei cittadini.
La proposta di legge, formata da 55 articoli, sarà portata oggi in Consiglio dei ministri dal ministro degli Interni Jorge Fernández Diaz e presenta pesanti limiti alla libertà di riunione, manifestazione e protesta degli spagnoli, risolvendo molti casi con multe altissime (nella lista dei comportamenti puniti anche l'odiato botellón, le riunioni dei giovani per bere e ubriacarsi). "E' una legge che intende mettere fine all'impunità di alcune condotte, che, nonostante i tentativi del Governo, non hanno ottenuto alcun rimprovero penale da parte dei giudici" scrive El Pais.
Sarà praticamente impossibile manifestare senza permesso davanti al Parlamento: le multe andranno dai 30mila ai 600mila euro, anche se il Parlamento sarà vuoto. Così il governo vuole evitare le manifestazioni come quella del 25settembre 2012, quando migliaia di persone cercarono di circondare pacificamente la Camera dei Deputati, ci furono incidenti (famoso il video che dimostra come ci fossero poliziotti infiltrati per causare le violenze) e i Tribunali non condannarono i manifestanti. Impossibili anche gli escraches, le manifestazioni davanti alle case dei politici, per protestare contro le loro decisioni: in questi ultimi mesi, centinaia di persone hanno assediato le case di numerosi leaders politici, a Madrid e in altre città spagnole, per urlare slogan contro i desahucios, gli sfratti, la privatizzazione della Sanità, la restrizione dei diritti. La Polizia potrà infatti decidere 'zone di sicurezza', in cui sarà impedito ai cittadini di riunirsi: non è difficile immaginare che le case dei politici finiranno in queste aree off limits.
Pesanti limitazioni anche nelle manifestazioni. Ci saranno sanzioni per chi userà passamontagna o caschi che impediscano l'identificazione e, cosa peggiore, sarà multato chi fotograferà e pubblicherà le foto di Polizia e Guardia Civil, che possano causare burle contro di loro o possano costituire una minaccia per la loro sicurezza. A questo proposito mi è molto piaciuto un commento apparso su Twitter: u'immagine di un poliziotto che picchia un manifestante indifeso, in una delle proteste dei mesi scorsi, e il tweet: "State attenti, a pagare per questo saranno il fotografo e la vittima". Ma non il poliziotto che mena.  Le multe previste in questi casi possono raggiungere i 30mila euro.
La proposta di legge sta causando furibonde polemiche in Spagna. Per tutta l'opposizione rappresenta "un brutale attacco ai diritti civili". Entusiasmo immaginabile da parte della Polizia, il cui direttore generale Ignacio Cosió ha definito la legge "necessaria e il Ministero ha avuto grande sensibilità ad ascoltare le nostre richieste". Immaginatevi le mareas che da mesi attraversano Madrid per protestare contro la privatizzazione della Sanità e i tagli alla scuola e alle università, immaginatevi le manifestazioni catalane per l'indipendenza, immaginatevi qualunque riunione alla Puerta del Sol, senza possibilità di fotografarle, di raccontarle, per il rischio di avere nel proprio campo visivo un poliziotto in atteggiamento aggressivo, che può denunciare e causare una multa da 30mila euro. 
Su Twitter la protesta è montata con l'hashtag #LeyAnti15M, che ha raccolto tweets indignati, sarcastici, rabbiosi e ironici. 
Mariano Rajoy ha rifiutato tutte le critiche arrivate, sostenendo che la nuova Legge non ridurrà il diritto di manifestazione e ricordando che "uno degli obblighi del Governo è garantire la libertà e la sicurezza di tutti i cittadini, la Legge non ha affatto altre pretese". Inoltre, ha spiegato il Presidente, "la proposta arriverà in Parlamento, dove tutti potranno presentare le proprie argomentazioni". In Parlamento il PP dispone della maggioranza assoluta, di cui ha fatto ampio uso in questi anni, facendo passare controriforme sulla Scuola, sulla Sanità, nella Legge di Stabilità, che non hanno considerato le proposte delle opposizioni.


sabato 12 ottobre 2013

eldiario.es: nel Canale di Sicilia, l'Europa dichiara la guerra ai poveri e agli immigrati

Mentre ieri sera, nel Canale di Sicilia, il nuovo naufragio di profughi dalle guerre e ingiustizie d'Africa richiamava l'Europa e il mondo alle proprie responsabilità, su eldiario.es usciva un articolo durissimo contro le politiche europee sull'immigrazione.
Il viaggio appartiene al DNA dell'essere umano, è uno stimolo, un desiderio di migliorarsi, è "la base della resistenza dell'essere umano" spiega l'autrice, Olga Rodriguez. E oltre al viaggio per diletto, per conoscenza, per commercio, esiste il viaggio di chi fugge dalla violenza, dalla fame, dalla siccità, dall'ingiustizia. "Gli harragas, i giovani disposti a 'bruciare' frontiere, come si dice in arabo, rappresentano una delle massime contestazioni alla disuguaglianza, che sottolinea il cattivo funzionamento di questo pianeta, in cui si condannano alla clandestinità le persone senza documenti". E chi tenta questa fuga, in cerca di una vita dignitosa, è tanto consapevole dei rischi che corre, attraversando il Sahara e poi il Mediterraneo, che spesso si attacca al corpo, con un nastro adesivo, una carta plastificata con i suoi dati e il numero di telefono dei familiari, in modo che possano essere avvertiti, se il viaggio non va a buon fine. Però è così forte la necessità, è così forte la disperazione, che vale il rischio di perdere la vita.
Rodriguez attacca il sistema economico e sociale che regola il pianeta, ricorda il giornalista italiano Gabriele del Grande, secondo il quale "c'è una guerra mondiale contro i poveri". "I naufragi sono cronache di morti annunciate e favorite dalle politiche dei governi europei, che elevano muri, rafforzano frontiere ed escludono dai propri territori chi non ha le risorse economiche" spiega la giornalista "C'è, nella discriminazione degli immigrati, tutta una lotta di classe contemporanea e simbolica. Si concedono i visti a chi ha determinate quantità di denaro in banca, si nega il permesso di ingresso a chi non dispone di risorse economiche. Si proibisce il passaggio a chi ha meno, ignorando l'enorme ricchezza sociale e culturale che tanti 'poveri' potrebbero darci. Si destinano milioni di euro per evitare l'ingresso in Europa a persone che in molti casi meriterebbero il diritto d'asilo e che, di fatto, fuggono da guerre e spoliazioni a cui i nostri governi partecipano direttamente o indirettamente, perpetuando così la metafora dell'1% chiuso in una torre d'avorio, disposto ad attaccare gli altri per poter preservare la sua ricchezza, concentrata nella sua avidità".
Il naufragio di Lampedusa e la morte di centinaia di persone non cambierà le cose: "Il potere favorisce le entità finanziarie e sacrifica le persone. Da anni l'Europa spazza verso l'esterno, esternalizza le sue frontiere, perché gli immigrati muoiano lontano dalle nostre coste e dalla nostra coscienza, in Paesi vicini diretti da dittatori 'amici'". E' un'Europa che si basa sul principio della disuguaglianza, perché "sfruttiamo materie prime di terzi, eleviamo barriere per impedire il passaggio delle persone e dei prodotti che fanno concorrenza ai nostri, mentre permettiamo la libera circolazione delle merci, del denaro, delle armi, delle monete, dei tristi". 
Olga Rodriguez cita John Berger, secondo il quale "l'emigrazione è l'esperienza che meglio definisce il nostro tempo" e sostiene che oggi "l'emigrazione non solo è una realtà, ma è un diritto. Chi cerca di esercitarlo non solo lotta per una vita migliore, ma, consapevole o meno, sta rivendicando un mondo più giusto ed egualitario".
L'Europa, continua la giornalista, "scommette sull'esclusione, che è una forma di guerra" e, parlando di immigrati, senza dare loro un'identità, nega tutta "la loro ricchezza culturale e vitale". Una ricchezza che "fortunatamente" si ritrova nelle città in cui sono arrivati, in "centinaia di quartieri, associazioni di abitanti, organizzazioni solidali", in cui si respira nuova vita "al suono di altre musiche, con le pronunce di altri accenti, con il racconto di altre culture, con la forza di altri modi di vivere, con la presenza di altre sensualità, con l'accoglienza degli altri. Gli altri, che siamo anche noi".
Poi una curiosità, che in spagnolo è quasi una rivelazione, nella lingua wolof, che si parla in Senegal, Gambia e Mauritania, solidarietà si dice yapalante (p'alante, in spagnolo significa avanti). "Una bella casualità" la definisce Olga Rodriguez. "ma oggi c'è un'Europa grigia e vecchia che preferisce dare le spalle alla solidarietà, condannando gli altri alla morte o alla clandestinità. E con questo condannando se stessa". 

mercoledì 11 settembre 2013

La Via Catalana è un successo: centinaia di migliaia di persone chiedono un referendum per l'indipendenza

I segmenti in cui sono stati divisi i 400 km dal confine francese fino alla Comunitat Valenciana, erano oltre 700. E tutti sono stati riempiti da così tanti catalani che si poteva fare più di una catena umana.
La Via Catalana, per chiedere una svolta indipendentista alla Catalogna, è stata un successo. Secondo El Periódico de Catalunya hanno partecipato alla catena umana oltre 1,5 milioni di persone; da Madrid sia El Pais che El Mundo ammettono il successo e contano centinaia di migliaia di persone in strada.
Sulle strade di Catalogna è stata una grande festa di popolo, che neanche la pioggia scesa in mattinata sulle manifestazioni e gli omaggi ufficiali, a Barcellona, ha potuto rovinare. E' stata una festa di tutte le generazioni, le foto raccontano di molte famiglie vestite di giallo e di rosso, di molti giovani e di altrettanti anziani. 'Ci siamo stufati' dicevano alcuni striscioni che accompagnavano la catena umana, ai lati delle strade. E' stato il trionfo della estelada, la bandiera indipendentista, sulla senyera, la bandiera nazionalista; sulle reti sociali hanno pubblicato persino fotografie di pranzi di matrimonio celebrati con la estelada alle spalle degli sposi; la estelada è entrata anche al Camp Nou, lo stadio del Barça: la Via Catalana è passata anche per di là.
24 anni fa la Via Baltica, la catena umana che unì le tre capitali delle repubbliche baltiche, fu il primo passo verso l'indipendenza e la dissoluzione dell'Unione Sovietica. Cosa succederà adesso, dopo il successo non imprevisto della Via Catalana, che fa il paio con la grandiosa manifestazione indipendentista della Diada 2012
Non bisogna entusiasmarsi. E' vero, l'Assemblea Nazionale Catalana, che ha organizzato sia la manifestazione dello scorso anno, sia la catena umana di quest'anno, ha messo in imbarazzo il Governo di Artur Mas, obbligandolo a un discorso soberanista che non è nelle corde di CiU, il partito nazionalista moderato-conservatore che da decenni guida la Catalogna, utilizzando astutamente il continuo tira e molla con Madrid, per ottenere vantaggi fiscali e una sempre maggiore autonomia in tema di Sanità e Scuola. Artur Mas continuerà a chiedere a Madrid un referendum e continuerà a esigere il diritto di decidere che ormai buona parte della Catalogna, anche quella che si sente spagnola, riconosce alla regione (solo che un referendum di questo tipo dovrebbe essere realizzato non solo nella regione interessata alla secessione, ma nell'intero Paese). 
Ma a Madrid troverà le orecchie sorde di Mariano Rajoy, che ha lasciato nello stesso stand-by i Paesi Baschi, a un passo dalla pace, vista la fine della lotta armata dell'ETA. Mariano Rajoy è un leader abituato ad aspettare che passi la tempesta, senza prendere alcuna decisione nel frattempo. Lo sta dimostrando nello scandalo di corruzione del PP, in cui è stato coinvolto dall'ex tesoriere Luis Bárcenas: non ha detto una sola parola, se non obbligato a presentarsi in Parlamento per dare spiegazioni (e la spiegazione è stata che lui è un uomo onesto che si è fidato di un delinquente e amen se questo è costato al Paese milioni di euro in evasione fiscale). Lo sta dimostrando nella fine dell'ETA: la banda terroristica deve dissolversi, i terroristi devono andare in galera e scontare le pene fino alla fine e amen; che il 50% dei baschi voti per partiti nazionalisti e indipendentisti non è cosa che lo tocchi, non è questione che richieda un nuovo patto, su basi democratiche e finalmente pacifiche, tra Euskadi e Madrid. Lo sta dimostrando nella questione catalana: una delle regioni più importanti e inquiete minaccia la secessione, Rajoy parla della legalità e rifiuta qualunque mediazione, cercando, anzi, di privare Barcellona di alcuni elementi della sua autonomia, come il controllo del sistema scolastico. Che sia necessario, in base alla peculiarità della Spagna, composta da così tante nazionalità, un nuovo patto tra le regioni, rendendo il Paese magari più federale, evitando il tradizionale centralismo di Madrid, voluto dalla cultura castigliana, non gli passa per la testa.
La Via Catalana capita in un momento storico sbagliato, avendo a Madrid il peggior Presidente del Governo della democrazia, il più inadeguato ad affrontare le sfide che la Spagna ha di fronte. La crisi economica, politica, sociale poteva dar vita alla Spagna del XXI secolo, con le adeguate riforme costituzionali, per adeguare anche la monarchia al nuovo secolo, con una nuova legge elettorale che dia il giusto peso a tutti i partiti e che permetta agli elettori di votare i candidati e non le liste, con una nuova legge fiscale, per responsabilizzare le classi più abbienti, con un nuovo patto tra le nazionalità, che permetta e favorisca la convivenza di baschi e catalani sotto l'ombrello di Castiglia. Difficile cambiare un Paese, con un leader che aspetta che passi la tempesta.
Su elpais.com, su elmundo.es, su elperiodico.com, le foto della Via Catalana e della Diada.

lunedì 26 agosto 2013

Pace in Colombia in difficoltà: Santos vuole il referendum, le FARC fanno una pausa

Il negoziato del Governo e delle FARC, per raggiungere la pace in Colombia, sta vivendo le sue ore più drammatiche, con una settimana che sembra essere passata sulle montagne russe. Martedì 20 agosto hanno iniziato le FARC, ammettendo per la prima volta le proprie responsabilità nel dolore e nei lutti causati dal conflitto armato; in un comunicato letto a L'Avana, dove sono in corso i colloqui per la pace, sono andate anche più in là, proponendo una Commissione che indaghi i cinquant'anni di conflitto, stabilisca cause e responsabilità per arrivare, finalmente, alla catarsi e alla riconciliazione nazionale.
Un paio di giornni dopo il presidente Juan Manuel Santos, che ha fatto della pace la sua scommessa politica più importante, ha inviato in Parlamento un progetto di legge per permettere un referendum sul processo di pace, da realizzare il giorno delle elezioni parlamentari, il 9 marzo 2014, o il giorno delle elezioni presidenziali, il 25 maggio 2014. I referendum non possono essere fatti lo stesso giorno delle elezioni, per questo il presidente prepara una legge ad hoc. "Il processo di pace avanza, le conversazioni in corso a L'Avana avanzano, abbiamo la responsabilità e l'obbligo di prevedere qualunque possibilità necessaria se gli accordi arrivano a buon fine" si è giustificato Santos. Secondo il presidente i colombiani dovranno essere consultati sui risultati del processo di pace e dovranno dichiarare se li approvano o meno. 
Ma il suo progetto non è piaciuto alle FARC, che il giorno dopo, siamo a venerdì 23 agosto, hanno annunciato una pausa a tempo indeterminato nelle conversazioni per la pace a Cuba, per studiare la proposta del presidente. Il gruppo guerrigliero ha sempre insistito per un'Assemblea Costituente, da cui, con la pace, possa nascere una nuova Colombia, più attenta all'uguaglianza e alla giustizia sociale, ma il presidente Santos, che si sta giocando il posto nella Storia con questa scommessa ardita per la pace, ogni giorno attaccata dall'ex presidente Álvaro Uribe, ancora popolarissimo, e dai suoi seguaci, ha già detto che è una proposta inaccettabile. Il massimo che può concedere è il referendum che propone, ma le FARC sanno che se accettano il referendum e se i risultati saranno favorevoli, con una grande maggioranza, la loro Assemblea Costituente non avrà più ragione di essere.
La riflessione delle FARC sulla proposta di Santos è durata meno del weekend. Ieri, sul loro sito ufficiale, il loro líder máximo Timoleón Jiménez alias Timochenko ha pubblicato un duro attacco al presidente, in cui afferma il referendum è proposta che serve solo per la sua rielezione. Il meccanismo del referendum suscita il sospetto del capo guerrigliero: "Si è visto in qualche Paese che un governo proponga una legge, presupponendo qualcosa che non si sa se succederà, affermando che se non succederà non importa?"
Analizzando la proposta di Santos, Timochenko nota come il tema dell'approvazione popolare del risultato dei colloqui di pace sia in agenda a L'Avana, al punto 6 dell'agenda concordata un anno fa. Le proposte sono però divergenti, data l'insistenza delle FARC per l'Assemblea Costituente, e Timochenko teme che nei prossimi mesi la Colombia si vedrà distratta in un grande dibattito sulle questioni tecniche del referendum, così "quando il tema del meccanismo dell'approvazione popolare sarà affrontato al Tavolo della Pace, succederà che l'argomento centrale del Governo per imporre la via referendaria, sarà proprio che l'ingranaggio statale è già partito e che c'è un'aspettativa nazionale". A quel punto, "qualunque altra formula, anche la Costituente, sarà scartata immediatamente, con il solo argomento che implicherebbe maggiori tramiti e ritardi. La nazione intende mettere fine al conflitto subito, diranno". E questa non è la cosa più grave. 
Per Timochenko il peggio è che Santos utilizzi il processo di pace per assicurarsi la rielezione, cosa non rara "in un Paese in cui è provato che sono stati eletti presidenti con il denaro delle mafie e l'appoggio dei paramilitari, in cui è già abitudine utilizzare in qualche modo le FARC e il tema della pace per arrivare alla prima carica dello Stato". Il leader guerrigliero non apprezza che "il Governo faccia pressioni per arrivare a un accordo prima della fine dell'anno. Ma le sue posizioni al Tavolo della Pace continuano a essere inamovibili circa la possibilità di toccare un solo aspetto dell'ordine stabilito. Insistiamo nel sostenere che quello che pretende è la nostra semplice adesione alle sue politiche. Questo non sarebbe un accordo. Neanche la pace per cui hanno lottato e dato la propria vita tanti colombiani e tanti guerriglieri patrioti. Meno la pace per la quale il popolo di questo Paese sta gridando nelle strade e nelle piazze".
Sia Timochenko nel suo scritto, che il Governo attraverso Santos, hanno annunciato che non rinunciano al dialogo. Che riprende oggi a L'Avana.

venerdì 23 agosto 2013

Una catena umana di 400 km per l'indipendenza della Catalogna. Il sì di Pep Guardiola

Il modello è la catena umana che il 23 agosto 1989 unì le capitali delle tre repubbliche baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania: due milioni di persone si diedero la mano e formarono una catena lunga 600 km, per unire Tallin, Riga e Vilna e rivendicare l'indipendenza dall'Unione Sovietica. Sappiamo come è andata e come, dopo l'indipendenza, le tre repubbliche baltiche siano entrate nell'Unione Europea. Quella catena umana è stata la più lunga della storia ed è entrata nel Guinness dei Primati.
La Catalogna non vuole rubare il record ai baltici, però sì li prende come modello e per l'11 settembre 2013, giorno della sua festa nazionale, ha organizzato una catena umana di 400 km per difendere il diritto dei catalani a decidere il proprio futuro. Come quella delle tre repubbliche fu la Via Baltica per l'indipendenza, questa è stata ribattezzata la Via Catalana. Organizzata dall'Assemblea Nazionale Catalana, sta mettendo in forte imbarazzo i politici della regione, in particolare Convergencia i Uniò, il partito al governo e storica formazione del nazionalismo catalano, alla guida della Generalitat sin dalla restaurazione della democrazia in Spagna, con la sola e nefasta pausa del tripartito della sinistra, guidato dal Partito Socialista Catalano.
Partecipare o non partecipare alla catena umana della Diada, la Festa Nazionale? Se fosse un fallimento come giustificare la partecipazione? Se fosse un successo, come gestirlo nei sempre più complicati rapporti con la sorda Madrid? Essere formazioni di lotta o di governo? Se Convergencia sembra più disponibile alla partecipazione, Uniò è piuttosto contraria e ha addirittura chiesto a ANC di ammorbidire i toni indipendentisti: manca meno di un mese alla manifestazione, che dai Pirenei scenderà fino all'Ebro, e non è ancora chiaro cosa intende fare la formazione al Governo. Il presidente Artur Mas, che da quando è stato eletto si gioca la carta dell'indipendentismo per negoziare maggiori autonomie, soprattutto fiscali, con Madrid, continua nel suo stop-and-go, che se da una parte mette in evidenza l'abilità e la furberia di CiU, dall'altra rischia di scappargli di mano, come lo straordinario successo della manifestazione della Diada 2012. Furono quelle centinaia di migliaia di persone, in strada con la estelada, la bandiera indipendentista, a lanciarlo sulla strada dell'indipendentismo e sulla richiesta di un referendum, che Madrid non può concedergli, per ovvie ragioni. Il diritto di decidere sembra essere diventato il nuovo mantra della politica catalana ed è questo, più dell'indipendenza in sé, che il presidente sta difendendo.
Mentre lui dubita e il suo Governo non ha ancora assunto una posizione chiara, uno dei catalani più famosi del mondo ha fatto arrivare la propria adesione: Pep Guardiola, da Monaco di Baviera, ha difeso "la libertà di espressione. L'unica cosa che il popolo della Catalogna chiede è che la gente possa esprimersi. E' semplice". L'anno scorso, già a New York per il suo anno sabbatico, Pep aveva inviato un video, trasmesso durante la grande manifestazione della Diada, con cui dava il proprio sostegno alla richiesta di un referendum. Da Monaco di Baviera ha annunciato il proprio appoggio virtuale sia alla catena umana dell'11 settembre sia a quella che i catalani residenti in Baviera stanno organizzando a Monaco, per il 30 agosto nella Marienplatz, nell'ambito della Via Catalana Internacional (quel giorno sarà con il Bayern a Praga per incontrare il Chelsea, il vecchio nemico di sempre).
Gli organizzatori non hanno lasciato niente al caso e ci saranno catene umane in tutti i territori catalano-parlanti. Anche ad Alghero, in Sardegna, una delle aree più antiche a influenza catalana. Sul sito alguer.it si legge che "la Catalogna negli ultimi anni ha messo al centro del dibattito politico e culturale internazionale, una nuova concezione di una Europa dei popoli fortemente basata sui valori sociali, culturali e solidaristici che diano maggiore forza e prospettiva a quelle nazioni senza Stato come la Catalogna, la Sardegna, la Corsica e la Scozia", pertanto, siccome la "Via Catalana Internacional verso l'indipendenza ha come obiettivo quello di far partecipare alla Diada nacional dell'11 di settembre tutti i catalano-parlanti residenti nel mondo e che prevede l’organizzazione di catene umane dagli Stati Uniti alla Francia, dall’Italia al Giappone dal Canada alla Polonia", l'appuntamento sardo è per l'11 settembre alle 18.30, in piazza del Portal.

giovedì 11 luglio 2013

Scacco a Mariano Rajoy: El Mundo rivela i finanziamenti illegali ricevuti dal PP

Se un Presidente del Governo viene accusato, da una serie di carte autografe del tesoriere del suo partito, di aver ricevuto uno stipendio in nero per una ventina d'anni, oltre a quello ufficiale di Ministro, Deputato e Dirigente di Partito, deve dimettersi? In un Paese serio, civile e settentrionale, senza ombra di dubbio. In un Paese come la Spagna (o l'Italia), non ci pensa neanche. 
Mariano Rajoy è tra i dirigenti che avrebbero ricevuto versamenti in nero, intorno ai 40mila euro annuali, e che figurano nella lista della contabilidad B del Partido Popular, tenuta da Luis Bárcenas fino a quando, nel 2009, è stato travolto dal caso Gürtel. Le indagini sulle attività di Bárcenas si sono intensificate all'inizio dell'anno, quando sono stati scoperti tre conti in Svizzera a suo nome, per un valore di oltre 22 milioni di euro. Poco dopo il ritrovamento di questi conti, El Pais ha pubblicato le fotocopie della contabilità segreta , e manoscritta, con cui Bárcenas finanziava il PP e i suoi dirigenti, attraverso donazioni, illegali, di multinazionali, banchieri e amici vari; nella lista dei dirigenti pagati figurano, oltre a Rajoy, anche, tra gli altri, l'ex vicepresidente di José Maria Aznar, ex direttore del FMI ed ex presidente di Bankia Rodrigo Rato, l'ex Ministro, e attuale vicesgretario del PP Javier Arenas, l'ex Ministro e attuale presidente di Foro Asturias Francisco Alvarez Casco; insomma, la cupola del PP sarebbe stata finanziata illegalmente per anni con versamenti che si aggiungevano agli stipendi ufficiali. 
Il PP ha reagito denunciando El Pais e sostenendo che i documenti pubblicati erano semplici fotocopie; lo stesso Bárcenas ha negato che la grafia degli appunti fosse sua. Poi.
Il 27 giugno l'ex tesoriere del PP è stato arrestato, per pericolo di fuga, accusato di frode fiscale, riciclaggio di denaro, falso in documenti e amenità del genere; l'arresto è arrivato dopo un interrogatorio, durante il quale non ha saputo dimostrare la provenienza dei 48 milioni di euro trovati in Svizzera e collegabili a lui (uno dei suoi avvocati ha parlato di "risparmi di tutta una vita"). L'arresto di Bárcenas ha segnato un prima e un dopo in questo scandalo. 
Da una parte l'ex tesoriere del PP ha conquistato gli altri carcerati mostrandosi educatissimo e gentile ("E' venuto e si è presentato, ha chiacchierato con noi e a uno ha anche regalato un paio di pantaloni" hanno raccontato in tv, affascinati, alcuni carcerati in uscita), dall'altra ha deciso di morire, portandosi tutti i Filistei, a cominciare da Maria Dolores de Cospedal, numero 2 del PP e braccio destro di Mariano Rajoy nel partito, e lo stesso Pesidente del Governo, colpevoli di averlo lasciato solo davanti alla Giustizia e di non averlo protetto, pur sapendo e avendo goduto per anni dei vantaggi del finanziamento illegale al partito. 
Così, qualche ora prima dell'arresto, ha confidato a Pedro J. Ramirez, il direttore di El Mundo, che sì, effettivamente il PP ha avuto una contabilità segreta per almeno vent'anni, ottenuta grazie alle donazioni di imprese che avrebbero avuto in cambio appalti e commesse. E ha anche ammesso che la documentazione pubblicata da El Pais era autentica. La prova? Ha consegnato a Pedro J., che l'ha pubblicato sul suo quotidiano, l'originale di quelle fotocopie, finito subito agli atti delle indagini, su richiesta della Procura.
La prova pubblicata da El Mundo è stata un vero e proprio choc per il mondo politico spagnolo. Il PP ha cercato di ricorrere ai ripari con un comunicato, che è una fotocopia di quello già diffuso ai tempi di El Pais: è falso che il partito si sia finanziato illegalmente, tutta la sua contabilità è trasparente ed è stata tenuta rispettando scrupolosamente la legge. Scaricato Bárcenas da tempo, c'è da difendere l'intera cupola del Partito, coinvolta nell'accusa di finanziamento illegale. 
E' in atto un vero e proprio scacco al Re: Mariano Rajoy è accusato di aver ricevuto denaro proveniente da fondi illegali, d'accordo, ma ci sono accuse ancora più gravi. I versamenti sono iniziati quando lui era Ministro di José Maria Aznar, in particolare quando ha guidato, in tempi successivi, il Ministero dell'Amministrazione Pubblica e quello dell'Istruzione; per la Legge dell'Incompatibilità delle cariche, non poteva, in quanto Ministro, ricevere altro emolumento che quello derivante dalla sua carica. Ma il Presidente, come sua abitudine, non risponde alle accuse. Ieri ha addirittura detto che ci sono cose più importanti di cui occuparsi in Spagna. Più importante di un Presidente del Governo corrotto? Che guarda corrucciato e fosco le spese dello Stato Sociale e poi per vent'anni ha ricevuto uno stipendio extra non denunciato? Per difendersi dalle accuse di El Pais e per dimostrare la trasparenza dei suoi conti, alcuni mesi fa ha pubblicato la sua dichiarazione dei redditi: ma avete mai visto, voi, qualcuno che riceve denaro in nero e lo denuncia?! E' la stessa difesa adottata dal PP: non ha mai ricevuto finanziamenti illegali o in nero, lo dimostra la sua contabilità... Ma chi inserisce nella sua contabilità ufficiale i suoi ingressi in nero?! 
Il PSOE si è portato avanti con il lavoro e ha chiesto le dimissioni di Mariano Rajoy.

domenica 2 giugno 2013

L'inno della Rivoluzione dei Garofani, dopo la manifestazione contro la Troika, a Madrid

eldiario.es pubblica oggi una bella galleria fotografica sullamanifestazione contro la troika e contro le politiche d'austerità, che ieri, a Madrid, ha percorso il Paseo de Recoletos e il Paseo de la Castellana, fino alla sede madrilena dell'Unione Europea, alla Glorieta de Emilio Castelar.
La manifestazione, con lo slogan Popoli Uniti contro la Troika, si è tenuta in un'ottantina di città europee e a Madrid ha contato sulla presenza di Alexis Tsipras, il leader di Syriza, in questi giorni in Spagna per promuovere un fronte comune della sinistra dell'Europa del Sud contro l'austerità e per parlare di una "primavera del Mediterraneo".
Oltre a pubblicare le immagini, il sito web riporta che al termine del corteo molti manifestanti hanno intonato Grândola, Vila Morena, l'inno della Rivoluzione dei Garofani, scattata in Portogallo il 25 aprile 1974. E non lo so. Questi due Paesi che condividono un lungo confine, che si guardano raramente e che hanno storie così simili. I portoghesi che si sono liberati della dittatura salazarista il 25 aprile 1974, con una rivoluzione pacifica, gli spagnoli che si sono liberati della dittatura franchista il 20 novembre 1975, con la morte del dittatore. Portoghesi e spagnoli, guidati da leader socialisti e carismatici come Felipe Gonzalez e Mario Soares e che sono entrati insieme nell'Unione Europea, con una ilusión tremenda. Portoghesi e spagnoli caduti insieme, nella peggior crisi economica che si potesse immaginare nell'Unione Europea. Vedi i portoghesi che non si piegano, che continuano a riempire le piazze delle loro belle città per dire che ci sono alternative alla spoliazione dello Stato Sociale e che è meglio uscire dall'euro, se il prezzo da pagare è l'impoverimento e la perdita dei diritti e della dignità. E vedi gli spagnoli che li sostengono, con affetto e con rabbia, perché in questi anni di crisi, ovunque ci sia un debole, un sofferente, la vittima di un'ingiustizia, sia greco, portoghese, cipriota, c'è uno spagnolo che difende la sua causa. I portoghesi sono stati i primi a lanciare l'idea di questa manifestazione europea contro la Troika, l'hanno voluta chiamare, senza giri di parole, Che si fotta la Troika, come gridano nelle loro piazze da mesi. Gli spagnoli, con i greci, sono stati i primi a raccogliere l'invito a manifestare tutti insieme, per chiedere un'Europa delle persone. E che omaggio migliore potevano fare, gli spagnoli, ai fratelli portoghesi, che cantare l'inno della loro rivoluzione pacifica? A febbraio i portoghesi lo hanno ripreso in Parlamento, mentre il Primo Ministro conservatore Pedro Passos Coelho illustrava i nuovi tagli: all'improvviso, dal pubblico che assisteva alla seduta, è partito Grândola, Vila Morena, che il Premier ha ascoltato con un sorriso, senza osare interrompere.
Chissà se momenti così simbolici saranno il segnale di una nuova rivoluzione, stavolta europea, per mettere al centro dell'azione politica, di nuovo, finalmente, le persone.
Da eldiario.es, un paio di immagini della manifestazione di Madrid e più giù, da youtube, Grândola, Vila Morena (che non avevo mai sentito prima di questi mesi).





sabato 1 giugno 2013

Anche Madrid manifesta contro la Troika, per un'Europa delle persone: il suo manifesto

E' in corso anche a Madrid la manifestazione contro la Troika, che ha coinvolto un'ottantina di città europee e che ha causato tensioni e incidenti davanti alla sede della Banca Centrale Europea, a Francoforte. A ispirare questa giornata europea contro i tagli sociali per pagare i debiti delle banche, è stato il Portogallo, un Paese a cui la Troika ha imposto condizioni draconiane per il salvataggio e che sta iniziando a valutare, nel suo dibattito pubblico, l'uscita dall'euro. Ma se è vero che è stato il Portogallo a iniziare le manifestazioni, che Atene, la colta e dolce signora di civiltà, l'ha seguito a ruota e che Londra, Parigi, Bruxelles, Francoforte, non si sono tirate indietro (sono dodici i Paesi che partecipano alla Giornata, per un totale di 80 città), un po' tutti si aspettavano la discesa in campo di Madrid. E la capitale spagnola non ha deluso le attese: è stata l'ultima città spagnola a partire in corteo, oggi intorno alle 18.30, e anche qui sono stati in migliaia a dire di no alla Troika. Un no, tra l'altro, urlato in faccia agli uomini in nero, che si trovano a Madrid per valutare le riforme che la Spagna sta applicando, per controllare il deficit e per risanare il suo sistema finanziario. Su Twitter potete seguire la manifestazione sotto l'hashtag #FuckTroika1J, anche elpais.com sta seguendo in diretta le manifestazioni in tutta Europa.
A muovere i partecipanti alle manifestazioni spagnole, c'è un manifesto, pubblicato da madrilonia.org. Ha uno spirito europeo largamente condivisibile. Eccolo in italiano.

Le brutali e inumane politiche di aggiustamento imposte dall'odiosa Troika (BCE, FMI, UE), con l'aiuto dei governi complici, stanno causando in Europa la maggior crisi della democrazia degli ultimi decenni. Milioni di persone sono condannate alla disoccupazione, alla povertà e anche alla morte, per un debito illegittimo e non pagabile, che è in larga parte privato; di banche, di grandi imprese e di entità finanziarie. Il salvataggio europeo delle banche, avallato e garantito dallo Stato, una volta di più privatizza i guadagni e socializza le perdite e in cambio richiede tagli sanguinosi. Con la scusa della crisi del debito hanno modificato la Costituzione, senza ascoltare la nostra voce in un referendum, imponendo lo smantellamento dei servizi pubblici come la Sanità e l'Istruzione, che sono affidati al settore privato come 'opportunità d'affari', vulnerando così i diritti sociali e lavorativi, conquistati negli ultimi decenni. Con questo si è provocato, inoltre, che migliaia di famiglie dei Paesi coinvolti perdano le loro case e la loro vita quotidiana.
La dissoluzione delle frontiere tra pubblico e privato alimenta una corruzione impune, che avvilisce la nostra società e perverte la politica, nel suo ruolo insostituibile di strumento d'azione cittadina. L'obiettivo delle privatizzazione è la spoliazione, la concentrazione della ricchezza e l'approfondimento delle riforme liberiste.
Sia attraverso i memorandum imposti dalla Troika a Grecia, Irlanda, Portogallo o Cipro o attraverso il salvataggio finanziario nel caso dello Stato Spagnolo, si sta producendo un trasferimento del denaro pubblico a entità finanziaria, a costa della perdita di diritti elementari, dell'impoverimento generalizzato della popolazione e dell'aumentod ella disuguaglianza sociale in tutta Europa.
Sappiamo che il modello di sviluppo insostenibile degli ultimi decenni, basato su un alto consumo delle risorse energetiche e materie prime è arrivato al termine. Davanti ala crescita illimitata dell'economia finanziaria e speculativa, è necessario un cambio di direzione, ma non per salvare le banche, bensì per salvare le persone, le generazioni future e il pianeta.
Questo cambio di direzione deve partire da una democratizzazione dell'Europa, dai suoi cittadini/e, perché i diritti delle persone e le decisioni politiche democratiche si impongano sull'avarizia delle istituzioni, dei mercati finanziari e delle grandi multinazionali.
Quando celebriamo il secondo anniversario del 15M, della presa di coscienza politica dei cittadini, dei nuovi movimenti sociali che stanno costruendo dal basso alternative alle politiche liberiste, attraverso le assemblee, le maree e le piattaforme, sappiamo che la nostra lotta è internazionale ed esige la convergenza delle cittadinanze di tutti i Paesi coinvolti.
In Europa diversi collettivi arrivati da Spagna, Francia, Italia, Grecia, Cipro, Irlanda, Inghilterra, Scozia, Germania, Slovenia, riuniti a Lisbona lo scorso 26 aprile, invitati dal movimento portoghese, Que se Lixe a Troika (Che si fotta la Troika), si sono appellati a una protesta internazionale decentralizzata per il 1° giugno, contro le politiche di aggiustamento, con lo slogan Popoli Uniti contro la Troika.
E' l'inizio di un processo decentralizzato, includente e partecipativo. Vogliamo costruire collettivamente, unendo le nostre forze ed azioni, protestando internazionalmente contro la Troika. Chiamiamo tutte le persone, con o senza partito, con o senza lavoro, con o senza speranza, a unirsi a questa proposta, il 1° giugno. Spingiamo tutte le organizzazioni politiche, i movimenti sociali, sindacati, partiti, collettivi, gruppi informali, a unirsi a questa giornata internazionale.
Vogliamo continuare ad ampliare le nostre alleanze, tanto a livello nazionale come internazionale, dato che siamo coscienti che solo la somma delle nostre voci potrà fermare le nuove ondate di tagli che stanno preparando. I popoli d'Europa hanno dimostrato di non essere disposti ad accettare ulteriori sacrifici inutili. E' arrivato il momento di dimostrare la nostra capacità per coordinare la lotta per un'altra Europa, l'Europa delle persone.
Da Nord a Sud, da Est a Ovest, prendiamo le strade d'Europa contro la Troika.
Per la Democrazia, la Libertà e i Diritti sociali. No al colpo di Stato finanziario. Non dobbiamo, non paghiamo.
Ci sono alternative. Ci sono soluzioni:
Per la Giustizia sociale e ambientale.
Per la Trasparenza e la Demcorazia Partecipativa
In difesa di Servizi Pubblici e Universali.
Per un Controllo Cittadino del Debito. Contro il Debito illegittimo.

giovedì 16 maggio 2013

Gli indignados contro l'immobiliare 'tossica' Sareb: protegge le banche, non gli sfrattati. La vergüenza torera della Spagna

Uno degli ultimi titoli annunciati sulla crisi spagnola recita España, destino tercer mundo (Spagna, destinazione Terzo Mondo). E magari è vero quello che tutti ripetono, questa non è una crisi ciclica, non lo è in Spagna, dove manca un modello economico di riferimento e dove, in fondo, non c'è mai stato nella storia moderna. E' una crisi di sistema, ripetono i più critici, cercando una soluzione per superare questo capitalismo finanziario, che ha brutalmente preso il posto del capitalismo produttivo.
Non so quale sia il futuro che aspetta la Spagna, in mano a una classe politica cieca, ossessionata dall'essere l'alunna buona e obbediente dei diktat di Berlino e di Bruxelles e dal rifiutare qualunque coinvolgimento delle classi più ricche nel pagamento dei conti della crisi. Ma so, lo vedo, lo sento e lo ascolto, che gli spagnoli si comporteranno come toreri nell'arena fino all'ultimo momento.
Quando non si capisce l'ossessione per il toro della cultura spagnola e cosa rappresenta nell'idiosincrasia di un popolo questa lotta a morte tra l'uomo e l'animale, a me vengono in mente due momenti. La finale degli Europei 2012 di calcio, quando Vicente del Bosque, vincitore e vincente, ha voluto comportarsi come un torero nell'arena, che umilia il toro ormai finito accanendosi contro di lui, cercando gli olè del pubblico, come se ci fosse un merito ad accanirsi contro uno sconfitto. E la rabbia e il coraggio degli indignados, le cui istanze sono votate alla sconfitta in un Parlamento dominato da una maggioranza assoluta e sorda conservatrice, ma che continuano a  lottare, a insistere, carichi di vergüenza torera, questo concetto così spagnolo per cui, quando tutto è perduto, che non si passi per codardi e si continui a lottare, per orgoglio, dignità e vergüenza, che si muoia lottando, con las botas puestas, direbbe il maggior cantore degli ultimi anni di questo sentimento, don Arturo Pérez Reverte.
Il toro, l'arena, il torero, l'eterna lotta tra Vita e Morte, l'olé del pubblico, spiegano tante cose che avvengono lontano dalle plazas de toros.
Tutto ciò mi viene in mente al leggere il comunicato di alcune Piattaforme della galassia indignada legate alla casa e agli sfratti. Il 29 maggio alle 18, si riunirà la Giunta Generale degli Azionisti di Sareb, "la maggiore società immobiliare d'Europa con 55 miliardi di attivi. Di questi 55 miliardi, gli azionisti privati hanno messo solo 800 milioni, il resto, 44,2 miliardi di euro, è debito avallato dallo Stato, cioè da tutti noi".
Nel processo di acquisto degli attivi tossici, delle case, cioè, entrate nel patrimonio immobiliare delle banche a causa dell'impossibilità dei proprietari di pagare i mutui, non si stanno tenendo conto i cittadini. Lo lamentano sia gli indignados che gli economisti, secondo i quali esiste un'alternativa alla spoliazione della classe media e alla perdita del suo diritto alla casa. In Spagna ci sono oltre 600mila famiglie che hanno perso la propria casa e 4 milioni di appartamenti vuoti, che non possono stare sul mercato a causa dello scoppio della bolla immobiliare. La contraddizione dei numeri è evidente, la rabbia dei cittadini, sia quale sia il loro colore politico, comprensibile.
"La Sareb non è stata creata per risolvere la situazione della casa né per fare una gestione sociale degli immobili. Il suo unico obiettivo è evitare il fallimento del sistema finanziario spagnolo. E' stata concepita come un posto in cui collocare gli attivi immobiliari delle entità già fallite e per convertirsi in un freno della caduta dei prezzi delle case delle banche considerate solventi, in modo da evitare la loro rovina sicura" spiega ancora il comunicato. Nel realizzare questo processo, sostengono le piattaforme, "non si è tenuto conto di quelle case abitate né di quelle per cui si stavano negoziando affitti sociali, data l'impossibilità di pagare i mutui, né la trasformazione di queste case in parchi di affitti sociali".
E, siccome all'ordine del giorno di questa prima riunione della Giunta degli Azionisti di Sareb non ci sono le preoccupazioni dei cittadini, ma "l'approvazione dei conti annuali, il compenso dei membri del CdA, l'approvazione della retribuzione dei 15 membri del CdA, l'autorizzazione al CdA di realizzare un'emissione del debito per un massimo di 20 miliardi di euro per soddisfare la scadenza dei buoni", le piattaforme indignadas invitano i cittadini a concentrarsi davanti alla sede di Sareb, nell'elegantissimo Paseo de la Castellana, in occasione di questa prima riunione, il 29 maggio. Lo scopo di questa manifestazione è esigere a Sareb che "si paralizzino i procedimenti di sfratto negli alloggi di sua proprietà; che ci sia retroattività nella dación en pago, la restituzione degli alloggi che esaurisce il mutuo; che si dia risposta alle domande di casa delle famiglie che hanno perduto la propria e che le famiglie possano rimanere nella propria casa, pagando un affitto sociale; che ci siano soluzioni per le famiglie che sonno rimaste solo con il debito; che si crei un parco pubblico di alloggi ad affitto sociale con tutte le sue case vuote; che si renda effettivo il diritto della popolazione a una casa dignitosa".
Le manifestazioni nelle agenzie delle banche, soprattutto Bankia, il cui salvataggio vale quasi quanto i tagli alla Sanità, le proteste davanti alle agenzie che non accettano la dacion en pago (ma i giudici cercano nelle pieghe della legge i sistemi per imporla) in Spagna sono all'ordine del giorno. La Spagna è un Paese che protesta quotidianamente, in difesa della Casa, della Sanità, della Scuola, del Lavoro. Come si diceva all'inizio: non si sa se è davvero diretta al Terzo Mondo, ma di sicuro ci andrà con las botas puestas, con vergüenza torera.

domenica 12 maggio 2013

Zapatero, tre anni dopo le prime misure di austerità: non c'era scelta, lo rifarei

Il 12 maggio 2010, esattamente tre anni fa, José Luis Rodiguez Zapatero annunciava a un Parlamento attonito, le prime misure draconiane per calmare i mercati e riprendere il controllo del deficit. Di quel maggio 2010 in Spagna si ricorda soprattutto il 10, perché è stato il giorno drammatico in cui l'Europa ha messo Zapatero alle strette: o i tagli alla spesa o il rescate. E cosa significasse il rescate, Zapatero lo vedeva giorno per giorno, come il resto dell'Europa, in Grecia, nel feroce e rapido impoverimento delle classi medie, portato a termine senza alcun palliativo e senza alcuna umanità da Bruxelles e da Berlino.
Ricordo ancora a memoria le misure di Zapatero: il congelamento delle pensioni e degli stipendi pubblici, la riduzione del 5% medio degli stipendi di tutti i funzionari pubblici, compresi i membri del Governo, il blocco degli investimenti pubblici e la sospensione dell'assegno da 2500 euro per ogni neonato. Era la fine della Spagna socialdemocratica di Zapatero, la dimostrazione della fragilità della socialdemocrazia mediterranea davanti alle crisi economiche, la rivincita dei conservatori e della loro idea che la sinistra sappia solo spendere, ma non sappia tenere i conti in ordine (Zapatero è stato il Presidente del Governo che ha tolto la patrimoniale, sostenendo baldanzosamente che togliere le tasse era di sinistra, ma non ha saputo rimetterla quando è arrivata la crisi economica, preferendo far pagare i conti alle pensioni congelate).
Sono passati tre anni, da allora.
Nel linguaggio quotidiano spagnolo sono entrate parole come prima de riesgo (lo spread), rescate, deficit, austeridad, crecimiento.
Proprio oggi, tre anni dopo, gli spagnoli sono di nuovo in strada, per ricordare il secondo anniversario dal 15-M, la prima grande manifestazione dell'indignazione popolare. In dodici città ci sono cortei, assemblee, incontri per discutere di desahucios, sfratti, escraches, le riunioni-proteste davanti alle case dei politici, sanidad pública, educación. Tutte parole che in questi anni sono diventate di uso comune nel linguaggio quotidiano (parlo spagnolo da una quindicina d'anni, non avevo mai sentito la parola desahucio prima del 2010, non c'è giorno in cui oggi non la senta o non la legga). Tutte parole che gli spagnoli pronunciano senza arrendersi alle loro conseguenze: c'è una Piattaforma che lotta contro i desahucios, sono in centinaia che partecipano agli escraches, sono in migliaia che si riversano nelle manifestazioni che, quasi ogni giorno, si organizzano in qualche parte di Spagna in difesa della Sanità e della Scuola Pubbliche. E' commovente l'impegno con cui i cittadini continuano a difendere le conquiste di trent'anni di democrazia, senza arrendersi mai. Non è una lotta dei dottori e degli infermieri, degli studenti e dei professori, no, è la lotta di un popolo: professionisti, studenti, ricercatori, non sono soli, contano sull'appoggio di migliaia di persone.
Secondo i sondaggi oltre il 70% degli spagnoli si riconosce nelle istanze degli indignados e il 54% ritiene che gli indignados dovrebbero entrare in politica con una propria formazione. Sono le lotte contro gli sfratti, sia con azioni che li impediscono fisicamente sia con proposte di legge di iniziativa popolare, e le proteste in favore della Sanità e della Scuola Pubbliche, che danno grande popolarità al movimento e lo liberano dai condizionamenti ideologici. Sono contro i desahucios e favorevoli alla Sanità e alla Scuola Pubbliche la maggior parte degli elettori del PP e la maggioranza bulgara degli elettori del PSOE. Non c'è colore politico nella difesa di questi diritti che la democrazia ha insegnato come essenziali.
Il 15-M magari non si presenterà alle elezioni (sbagliando), magari in questi giorni di manifestazioni non radunerà le folle del 2011 alla Puerta del Sol, in plaça Catalunya o sotto le Setas di plaza de la Encarnación, ma non ha mai smesso di condizionare il dibattito politico spagnolo.
E' cambiato anche il colore del Governo: il PSOE ha ceduto il passo al PP. Ma sono entrambi inadeguati: il PP cieco e incapace di ascoltare la società e i simpatizzanti non sanno più come dire al PSOE che o cambia i vertici o si cercheranno un'alternativa.
elcorreoweb.es ha rivolto, via email, alcune domande a José Luis Rodriguez Zapatero su questi tre anni di crisi, dal 12 maggo 2010 al 12 maggio 2013. E l'ex presidente ha risposto perché, anche se si è praticamente ritirato dalla vita pubblica, "cercherò sempre di assumermi le mie responsabilità e di affrontarle". Si ricorda la drammatica notte tra il 9 e il 10 maggio, in cui la UE impose alla Spagna un taglio di 15 miliardi di euro."Le misure furono imposte dalle circostanze. Come leaders europei, da un giorno all'altro, a partire dallo scoppio del problema greco, abbiamo visto per la prima volta minacciata la stabilità dell'Eurozona e, in un clima di grande tensione, abbiamo cercato di scongiurare la minaccia. Di lì si è raggiunto l'accordo per un rapido contenimento dei deficit nazionali".
Zapatero ricostruisce le drammatiche ore in cui ricevette le telefonate di Obama, di Merkel, di Sarkozy, tutti chiedendogli la stessa cosa: mettere ordine nei conti spagnoli al più presto. All'ascoltarli, dice adesso, aveva "un sentimento di responsabilità, ma anche una certa amarezza". "Avevamo fatto molti sforzi nelle politiche sociali, negli anni precedenti, politiche che valeva la pena salvare, anche, o soprattutto, in condizioni molto più avverse" spiega. Si dice convinto che "l'austerità fosse necessaria, inevitabile", ma che pensava che "andasse accompagnata da misure di crescita". Anche se ammette che "non è facile constatare nella pratica quali riforme aiutano davvero al recupero economico". 
Zapatero si è giocato il futuro politico, lo ha detto chiaramente in passato, per una sola ragione: salvare la Spagna dal rescate, evitarle il salvataggio che ha distrutto le vite dei greci e dei portoghesi. Avrà avuto un senso? Lui sostiene che il rescate avrebbe comportato "sacrifici ancora maggiori". Oggi, esattamente tre anni dopo, "la disoccupazione aumenta, i salari scendono, i prezzi aumentano e un cittadino su cinque si trova sulla soglia della povertà. La conseguenza politica di questa situazione senza speranza  è l'irritazione cittadina, la sfiducia nei rappresentanti e la disaffezione alla UE" conclude elcorreoweb.es.
Zapatero continua a pensare che non c'era alternativa, quel 12 maggio 2010, quando ha annunciato in Parlamento che il sogno socialista spagnolo era finito.