martedì 21 febbraio 2012

El Mundo dopo i Goya 2012: perché l'Accademia non premia Almodóvar?

Il giorno dopo la consegna dei Premi Goya i titoli dei quotidiani erano un facile gioco di parole: Non ci sarà pace per Almodóvar, Nessuna pace per Almodóvar e via di questo stile, giocando sul trionfo di No habrá paz para los malvados e la sostanziale sconfitta di Pedro Almodóvar e il suo La piel que habito.
Perché l'Academia de Cine premia il suo talento più apprezzato e amato a livello internazionale proprio solo quando è impossibile non farlo? Come dimenticare che, una ventina d'anni fa, Legami! arrivò con 16 candidature e non vinse neanche un Goya? Cos'ha Almodóvar che non convince i colleghi dell'Academia? Si chiedono adesso, pasata la resaca, il dopo-sbornia dei Goya.
Una spiegazione magistrale di come votano gli accademici l'ha data Santiago Segura, nel suo brillante monologo, il miglior momento della cerimonia dei Goya, Il voto non è "scientifico", ma caratterizzato dagli "odi, rivalità, amicizie... ovviamente"; a Salma Hayek, candidata come Miglior attrice protagonista, ha spiegato che "Quando candidiamo una stella internazionale, è perché venga e ci dia glamour, poi se ne va con una mano davanti e l'altra dietro". Il momento migliore è stato quando ha spiegato come gli accademici hanno scelto il miglior attore protagonista tra i quattro candidati. Daniel Bruehl, "questo ragazzino è giovane, ha tutta la vita davanti, lui niente", Luis Tosar, "questo è un grande, ma ha già due, tre Goya, lasciamo stare"; rimanevano José Coronado e Antonio Banderas, con il primo Segura sente una rivalità personale perché, ha detto con moltissima autoironia, "quando un regista pensa a un attore maturo, sexy e interessante pensa a José Coronado o a Santiago Segura" e alla fine vince sempre Coronado "perché ha un miglior rappresentante". Antonio Banderas, dunque? Macché, per un accademico al voto il bell'Antonio è "uno dei tipi più simpatici del cinema spagnolo, è ambasciatore del nostro cinema, com'è possibile che non abbia un Goya!" ma poi pensa che "ha una villa che ti fa morire a Marbella, una residenza a Los Angeles, è sposato con Melanie Griffith, per un film prende più di tutti noi messi insieme... che si fotta!" E così il Goya va a Coronado, non per merito, ma perché è quello che suscita meno pensieri antipatici. Lo schema del ragionamento presentato da Segura ha suscitato grandi risate tra il pubblico, ma, come hanno notato molti spagnoli il giorno dopo, è lo specchio fedele del modo di ragionare del Paese, che ripete simpatie, antipatie, rivalità e connivenze nelle sue scelte.
Almodóvar cae mal, è antipatico, anche agli stessi colleghi dell'Academia. Un po' perché è molto apprezzato all'estero e questo suscita invidie, un po' perché è molto vanitoso e questo suscita insofferenza, un po' perché è politicamente piuttosto schierato e questa non sempre è l'opzione migliore. A giudicare dai commenti all'articolo di Juan Sardá nel suo blog, El incomodador, da elcultural.es, supplemento culturale di El Mundo, molto si deve anche alla sua omosessualità mai nascosta. Un segno che anche la Spagna dell'ampliamento dei diritti continua ad avere molta strada da fare per sradicare l'omofobia e il machismo che l'accompagnano sempre. L'articolo si chiede perché La piel que habito, "il miglior film dell'anno", sia stato sconfitto da No habrá paz para los malvados, "un telefilm girato bene"; segue lo schema di Santiago Segura nello spiegare come le scelte siano dettate più dalle apparenze che dai contenuti  e arriva all'amara conclusione che "il giorno in cui inizieremo a valutare il lavoro davvero ben fatto o anche, cosa più difficile da accettare, la vera brillantezza, non solo il cinema spagnolo, ma tutto in generale funzionerà meglio". Mi suona tanto a deja vu.
In spagnolo l'articolo è qui.

La pubblicità è cattiva per apprezzare un film di Godard, ma buona per vedere una cerimonia. Resistere a tre ore di Goya senza pause pubblicitarie è un'esperienza, come minimo dura. Se in più risulta che un film come No habrá paz para los malvados è migliore de La piel que habito, è difficile trovargli un senso. No habrá paz..., di Enrique Urbizu è quel tipo di film che piace a un tipo di critico macho, che domina l'opinone in Spagna. E il macho non è diretto a  Enrique González (produttore e presidente dell'Academia de Cine NdRSO), sia chiaro, che pur dividendo il discorso in tre, ha fatto il discorso più lungo della storia della cerimonia. Un discorso superato in lunghezza solo da quello di Lluis Homar, che si è perso in parole quando ha vinto come Miglior non protagonista per Eva, questo film che è tutto forma e non contenuto di quello che è la modernità. Suppongo che per molti questo sia il modo per conquistare questo pubblico recalcitrante. E non lo è.
La piel que habito è un capolavoro e il film di Urbizu un telefilm più o meno ben girato. Che Pedro Almodóvar fa una volta e un'altra pure il miglior film dell'anno? Be', sì. Che è uno che se la tira? Può essere, e allora? Il giorno in cui inizieremo a valutare il lavoro davvero ben fatto o anche, cosa più difficile da accettare, la vera brillantezza, non solo il cinema spagnolo, ma tutto in generale funzionerà meglio. So già che suona amaro, e lo è. Non è amaro, è stucchevole, per determinate derive, secondo le quali è più importante stare dove bisogna stare che farlo bene. Lì stava Isabel Coixet, che ha raccolto un Goya per il suo documentario su Garzón dimostrando che per quanto Macho dica il contrario, ci sono cose che non cambiano. In soldoni, il documentario su Garzón si basa sul mettere una telecamera e addormentarsi, ma ha vinto per pura questione politica. E, ancora peggio, si è cercato di occultarlo applaudendo meno che in altri casi. Come rimaniamo, allora?
Lo show è iniziato con un ballettino fatalmente illuminato, in cui, meno male, c'era Belén Rueda, di cui sono innamorato. L'intenzione era piacere, ma, come diceva Julián Marías, non cercare di piacere a chi ti detesta, perché continuerà a detestare e in più ti umilierà. Così ci sono state dosi di autocritica e questa volontà, abbastanza evidente, di avvicinarsi alla società. All'improvviso risulta che Judith Colell, che quasi nessuno conosce, sia la rappresentante delle donne del cinema spagnolo. E' un punto, per essere catalana, e questo guadagna punti quando si dice: "Spagna". Ma le cattive decisioni continuano a essere cattive decisioni. La realtà è che se Pedro non fosse di origine semplice, se ne sarebbe andato da trent'anni.
In questo spirito di voler piacere, Eva Hache (la presentatrice della cerimonia NdRSO) ha fatto acrobazie per finire con non poter dire niente e recitare battute puerili sulla crisi e il cambio politico. Per non voler essere settari si è caduti nell'infantile e anche nello stupidotto. E' il problema di non impegnarsi. Sembra che non dominiamo il punto intermedio. Lo scenario era un po' meglio, ma quando davano i Goya, sembrava quello del telegiornale. Ed è strano come in Spagna non sappiamo essere, allo stesso tempo, gradevoli e moderni, senza rinunciare alla nostra tradizione. Cioè, sembra che oscilliamo tra l'imitazione degli yankee e il puramente tradizionale. C'è una tradizione spagnola pienamente moderna. O almeno un modo di reinventarla.
E' delirante che un film come Los pasos dobles non sia stato nominato, mentre un fallimento indiscutibile come La voz dormida accumulava nominations. E' da terrore che l'unico discorso con spirito sia stato quello di Santiago Segura perché il vero talento è dove realmente è e, allo stesso tempo lo si disprezza senza dare una sola nomination a Torrente 4 che è un film molto migliore di, per esempio, Blackthorn, che è di questi film spagnoli che non sono né carne né pesce. Mentre a Eva si dà il premio di miglior regista debuttante, perché sembra che sia quello che piace, una cosa di robots, anche se si vedono i segni e sembra meglio una versione demodè del Gatto fantastico, sì, questi film di Walt Disney che erano per bambini di 12 anni. Molta più fortuna meritava Verbo, ma neanche gli hanno fatto caso.
I premi, insomma, sono stati uno sproposito. Cinco metros cuadrados di Max Lemcke non lo hanno neanche nominato. Mientras duermas lo hanno disprezzato. Isaki Lacuesta non ha vinto neanche come miglior documentario. Elena Anaya ha vinto come migliore attrice, ma è che a volte non rimane rimedio che fare quello che si deve fare. Lo stesso con Jan Cornet, che era un vincitore favorito come miglior attore rivelazione. E Maria León fa quello che può in La voz dormida, che è molto, ma non è chiaro che sia il meglio. E mi chiedo, molto seriamente, se al di là dell'indiscutibile carisma di José Coronado in No habrá paz..., in Spagna esistono poliziotti come lui, e se esistono, è di un qualche interesse? Non è che il film sia cattivo, è che non è nessuna meraviglia. Ok, a Hollywood ha vinto Shakespeare in love, ma Gwyneth Paltrow non ha fatto niente da allora.
Detto questo, tutto il conflitto di internet non ha alcun senso, fino a quando in Spagna non succeda una cosa che oggi non succede, che alla gente importi qualcosa del cinema che facciamo qui. Quelli di Anonymus fanno un gran casino concedendo al cinema spagnolo un privilegio di cui manca, l'interesse del pubblico (sono entrati solo stanotte nella gala, mentre annunciavano il nome del Miglior direttore e hanno hackeato la pagina dell'Academia mettendo un loro video nella Home Page). E il disinteresse non è giustificato in molti casi, perché trionfano film americani molto discutibili. Però trionfano. Non so cosa facciamo male. Ma so cosa abbiamo fatto male oggi. Ed è premiare un film minore come No habrá paz para los malvados quando ce n'erano di migliori. E non solo quello di Almodóvar, anche quello di Isaki Lacuesta, quello di Jaume Balagueró o Verbo, di Chapero Jackson. Non sono d'accordo.