martedì 24 luglio 2012

Enric González e le 10 cose sulla crisi spagnola a cui non credere più

Leggi Enric González tra i Trending Topic del pomeriggio spagnolo e ti chiedi cosa sarà mai successo al corrispondente di El Pais da Tel Aviv. Siccome lo consideri uno dei migliori giornalisti spagnoli, uno dei pochi che abbiano saputo descrivere con competenza, conoscenza e non poca ironia le idiosincrasie italiane (è stato a lungo corrispondente da Roma e i suoi libri Historias del calcio e Historias de Roma sono must imperdibili, per vedere il nostro Paese con gli occhi appassionati di uno spagnolo che ha idea di virtù e difetti del Belpaese), uno dei pochi che leggi sempre e comunque, perché quale che sia l'argomento comunque qualcosa ti resterà, ecco che parti alla ricerca delle ragioni del TT.
E non è difficile trovarle: su jotdwon.es Enric González ha appena pubblicato un articolo in cui segnala le 10 cose che si dicono su crisi, economia e Spagna e a cui non crede più (se mai ci ha creduto). Si leggono con attenzione, perché sono tutti luoghi comuni ascoltati e riascoltati decine di volte e molte volte ci si trova ad assentire (e altre no). Per esempio, prendiamo il primo. Quanti libri si saranno scritti sulla Transición modélica? (e quanti ne avrai letti?) Sono bastati questi anni di crisi, l'ascesa degli indignados e delle loro istanze, i complicati rapporti tra Stato centrale e Comunidades Autónomas, per realizzare che no, la Transición non è stata modélica e la Spagna di questo sfortunato secondo decennio del XXI secolo si trova a pagare anche gli errori compiuti alla fine degli anni 70 del XX secolo (ed è curioso che proprio oggi sia morto Gregorio Peces Barba, uno dei padri della Costituzione del 1978... una generazione se ne sta andando e muore con negli occhi il fallimento del suo progetto; triste, in fondo).
Qui cinque delle cose a cui Enric González non crede più, le altre, se amate la Spagna e non pensate che tutto sia già stato detto sulla crisi economica (non solo spagnola), le trovate su jotdown.es

1 La transizione dal franchismo alla democrazia è stata un successo. In un Paese come la Spagna, così abituato alle guerre civili e alle dittature, si è considerato un trionfo storico il fatto che il cambio di regime non fosse accompagnato da stragi generalizzate. E superare il patetico golpe del 23 febbraio 1981 ci è sembrato il massimo della maturità. La Transición, in realtà, è stata un processo relativamente superficiale, tutelato dall'allora Comunità Economica Europea e dalla NATO, diretto dai poteri forti (finanziari e in minor misura religiosi), basato su un patto di dimenticanza, sul mantenimento delle strutture franchiste di capitale e su una serie di accordi lamentevoli come il "caffè per tutti" delle regioni e la diversità fiscale basca. Si è sacrificata la giustizia sull'altare dell'ordine e, per di più, si è vantato il risultato.
2 La Spagna è entrata nella modernità. Neanche per scherzo. Sotto i nuovi grattacieli, le infrastrutture di lusso e il consumo di tecnologia importata, sono rimasti un sistema giudiziario antico e inefficace, un'inspiegabile incapacità di investire collettivamente in ricerca e sviluppo e un sistema fiscale così ye-ye, che fa tutto al contrario: favorisce la frode (valutata intorno ai 70 miliardi all'anno), dà vita a una robusta economia sommersa e asfissia gli stipendiati e le medie imprese.
3 C'è stato un miracolo economico. Il supposto miracolo economico non è stato altro che un processo di convergenza e unione monetaria con il resto dell'Europa, per cui i tassi di interesse sono rimasti al di sotto dell'inflazione reale e la Spagna è stata inondata da capitale straniero. Abbiamo venduto mattone, debito e sole, il che equivale a piantare zizzania nel prato: le attività speculative hanno sostituito le produttive. In realtà, sì c'è stato qualcosa di miracoloso: che un cattivo carpentiere guadagnasse più di un buon medico. Il gran problema della Spagna è che manca di un'economia davvero produttiva e capace di competere nel mondo e per questo non cresce e per questo soffre una disoccupazione endemica.
4 Siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità. Vediamo. Le famiglie spagnole devono circa 80 miliardi di euro e la somma si riduce ogni mese. Se dividiamo gli 80 miliardi per 10 milioni di famiglie, o per 5 milioni, viene un indebitamento medio molto discreto. Il grande problema sono i mutui, ma non sono i cittadini quelli che hanno creato la bolla immobiliare né i prezzi astronomici degli alloggi (sono quelli che però hanno accettato quei prezzi e sono corsi a comprare casa, indebitandosi in mutui insostenibili per le loro stesse entrate, questa è la responsabilità delle famiglie nella bolla immobiliare...). Non sono neanche colpevoli del fatto che il mercato degli affitti sia rachitico. Le imprese spagnole devono circa il doppio delle famiglie e la maggior parte del debito corrisponde ai gruppi di maggiori dimensioni: Telefónica, costruttori, ecc. Cioè, no. Noi lavoratori abbiamo vissuto secondo quanto si poteva vivere in base a redditi e crediti disponibili (insomma... se ti offrono un mutuo a 900 euro al mese, guadagnandone 1800 in due, per quanto sia basso il tasso d'interesse, il cervello dovrebbe obiettare e spingere a rifiutare, perché se uno dei coniugi rimane senza lavoro, per la ragione che sia...)
5 I mercati sono irrazionali. I mercati, soprattutto quando non esiste una regolazione, tendono alla frode, alla speculazione, all'abuso e all'arricchimento indecente di chi occupa in essi posizioni dominanti. Ma rare volte si comportano in modo irrazionale per periodi prolungati. Quello che contempliamo adesso non sono ore di panico in Borsa più o meno senza ragione, ma una resistenza generalizzata a prestare denaro a Stati, istituzioni pubbliche e imprese la cui capacità di restituzione dei crediti risulta quanto meno discutibile. Perché, bisogna insistere, quando non si cresce, si va verso l'insolvenza. Ogni volta che qualcuno parla di "mercati irrazionali", pensate a come se la godono i capitalisti della finanza e ridete.