Ho conosciuto John Fitzgerald Kennedy durante l'adolescenza,
sfogliando i libri usciti negli anni 60 e religiosamente conservati da mia
madre, che sa ancora esattamente cosa stava facendo il 22 novembre 1963, quando
ha saputo che avevano sparato a Kennedy e non ci poteva credere che fosse
morto. Da allora ogni volta che sento 22 novembre, in qualunque occasione o per qualunque evento, penso automaticamente John Kennedy.
Negli anni 80 della mia adolescenza ho letto e guardato in tv tutti gli speciali possibili su Dallas, fino a stufarmi e a pensare che sia molto probabile che davvero il Presidente sia stato assassinato da Lee Harvey Oswald e che, comunque, la sua presidenza non possa essere ridotta al complotto più o meno verosimile che portò al suo assassinio. E' molto di più.
Per me è il suo discorso di insediamento, nel freddo gennaio del 1961, è in quel visionario e consapevole "Oggi la fiaccola è passata a una nuova generazione di americani, nati in questo secolo" perché mi piacerebbe poter pensare, in questo mio Paese, con lo stesso orgoglio e la stessa responsabilità di JFK, quel giorno, che "oggi la fiaccola è passata a una nuova generazione di italiani, nati dopo la Seconda Guerra Mondiale e possibilmente negli anni 60 e 70", con tutto quello che questo significa e implica. E' in quelle parole che dovremmo avere tutti stampate in testa, perché non c'è immagine più bella e più impegnativa di "non chiederti cosa il tuo Paese può fare per te, ma cosa tu puoi fare per il tuo Paese".
Negli anni 80 della mia adolescenza ho letto e guardato in tv tutti gli speciali possibili su Dallas, fino a stufarmi e a pensare che sia molto probabile che davvero il Presidente sia stato assassinato da Lee Harvey Oswald e che, comunque, la sua presidenza non possa essere ridotta al complotto più o meno verosimile che portò al suo assassinio. E' molto di più.
Per me è il suo discorso di insediamento, nel freddo gennaio del 1961, è in quel visionario e consapevole "Oggi la fiaccola è passata a una nuova generazione di americani, nati in questo secolo" perché mi piacerebbe poter pensare, in questo mio Paese, con lo stesso orgoglio e la stessa responsabilità di JFK, quel giorno, che "oggi la fiaccola è passata a una nuova generazione di italiani, nati dopo la Seconda Guerra Mondiale e possibilmente negli anni 60 e 70", con tutto quello che questo significa e implica. E' in quelle parole che dovremmo avere tutti stampate in testa, perché non c'è immagine più bella e più impegnativa di "non chiederti cosa il tuo Paese può fare per te, ma cosa tu puoi fare per il tuo Paese".
elpais.com sta seguendo in diretta le celebrazioni di questi 50 anni
dall'assassinio di Dallas (non mi piace dire di una persona assassinata che è
morta, perché morire ed essere assassinati non è lo stesso). C'è ancora molta
emozione americana, pensando a come sono andate poi le cose, negli Stati Uniti
e in casa Kennedy, dopo la scomparsa del Presidente. C'è anche molta commozione
da parte di chi ha letto i suoi discorsi a 15 anni e ne è rimasto segnato per
sempre, nelle idee e nelle ribellioni.
Il sito web spagnolo rimanda all'ultimo discorso che John F. Kennedy avrebbe
dovuto pronunciare al Trade Mart di Dallas (lo pubblica, integrale e in inglese
post-gazette.com). Ci sono parole che sono di grande attualità anche oggi e che
invitano "all'apprendimento e alla ragione", che "devono guidare
la leadership degli Stati Uniti", a usare la forza per cercare la pace e
mai per aggredire. C'è un'idea di
America e di leadership che non si è più sentita da allora, perché parla di giustizia
sociale, di solidarietà, di pari opportunità: "Solo un'America che pratica
ciò che predica circa la parità di diritti e la giustizia sociale sarà
rispettata da coloro la cui scelta influenza il nostro futuro. Solo l'America,
che ha pienamente educato i suoi cittadini è pienamente in grado di affrontare
i problemi complessi e di percepire i pericoli nascosti del mondo in cui
viviamo. E solo un'America che cresce e prospera economicamente è in grado di
sostenere le difese di tutto il mondo libero, dimostrando a tutti le
opportunità del suo sistema e della sua società". C'è l'ossessione tutta
americana nella guerra al comunismo, ma anche l'idea che la sicurezza degli USA
dipenda dalla sicurezza degli alleati e che la vittoria contro l'avversario possa
arrivare non con la guerra, ma con l'esempio e la prosperità. In fondo è sempre
valido un altro celebre concetto kennedyano: "Se volete sapere la
differenza tra il mondo libero e il comunismo, venite a Belino" a vedere
il Muro (non credo di aver avuto bisogno di ulteriori spiegazioni, dopo quella
frase, molto più intelligente ed efficace dell'Ich bin ein Berliner che tutti i
media si ostinano a riportare).
L'ultimo paragrafo di questo discorso è stato inciso in una targa
inaugurata oggi nella Dealey Plaza di Dallas. Lo voglio conservare su Rotta a
Sud Ovest.
"Noi , in questo paese, in questa generazione, siamo,
per destino, più che per scelta, le sentinelle delle mura della libertà
mondiale. Chiediamo, quindi, di essere degni del nostro potere e della
responsabilità, di esercitare la nostra forza con saggezza e moderazione, e di raggiungere
nel nostro tempo, e per sempre, l'antica idea di "pace sulla terra,
buona volontà agli uomini". Questo deve essere sempre il nostro obiettivo e la giustizia della nostra causa deve essere sempre alla base la nostra forza.
Perché, come è stato scritto molto tempo fa: 'Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella'"