Sono passati 10 anni da quella mattina in cui su
quattro treni, che correvano dalla periferia verso Madrid, esplosero quattro
bombe, uccidendo 192 persone e ferendone oltre 1800. E' stato il più grave
attentato che la storia spagnola ricordi.
10 anni fa, a quest'ora, arrivavano già le prime frammentarie notizie, di un
qualcosa successo a Madrid. Si era dovuti arrivare a metà mattinata, per avere
un'idea delle dimensioni della tragedia e per capire come la capitale spagnola
fosse stata oltraggiata, con il ferimento di migliaia di persone anonime, senza
alcuna responsabilità politica, la cui unica colpa era di trovarsi sul treno
sbagliato al momento sbagliato, mentre correvano verso l'Università e i posti di
lavoro, non necessariamente tra i più alti della scala sociale, mentre si
preparavano a vivere un nuovo giorno di una vita semplice, normale, comune.
Sarebbe potuto succedere a ognuno di noi. Quante volte lo si sarà pensato, in quei giorni, conversando con gli amici spagnoli, feriti e sotto choc, ma anche risoluti e orgogliosi, pronti a un nuovo no pasarán, nella loro intensa storia? E quanto lo si sarà pensato, poche settimane dopo, visitando l'emotivo santuario, che amici e sconosciuti avevano eretto in un angolo di Atocha, a tutte le vittime? E' stato allora, vedendo le candele, le sciarpe delle squadre di calcio, le bandiere di altri Paesi, i messaggi carichi di affetto e di pietà in tante lingue d'Europa, che si è capito con maggiore consapevolezza che poteva succedere a chiunque.
Sarebbe potuto succedere a ognuno di noi. Quante volte lo si sarà pensato, in quei giorni, conversando con gli amici spagnoli, feriti e sotto choc, ma anche risoluti e orgogliosi, pronti a un nuovo no pasarán, nella loro intensa storia? E quanto lo si sarà pensato, poche settimane dopo, visitando l'emotivo santuario, che amici e sconosciuti avevano eretto in un angolo di Atocha, a tutte le vittime? E' stato allora, vedendo le candele, le sciarpe delle squadre di calcio, le bandiere di altri Paesi, i messaggi carichi di affetto e di pietà in tante lingue d'Europa, che si è capito con maggiore consapevolezza che poteva succedere a chiunque.
In questi 10 anni si è continuato a insistere sulle responsabilità occulte
degli attentati, come se non fosse chiara la matrice terroristica islamica. Si è parlato delle complicità dell'ETA e dei servizi segreti,
senza alcuna prova. Si è arrivati a dividere le vittime e i loro familiari, per
meri fini politici ed economici. Solo qualche giorno fa l'ex minatore
José Emilio Suárez Trashorras ha ammesso di essersi inventato tutto, per protagonismo, per
strategie di difesa. Pedro J. Ramirez, direttore di El Mundo nei giorni
dell'attentato e principale sostenitore delle teorie della cospirazione, ancora
oggi continua a insistere su Twitter che non si sa tutta la verità e che
Polizia e giudici la nascondono.
Oggi, per la prima volta, le vittime e i loro familiari ricorderanno i morti e
i feriti in una sola cerimonia. Per la prima volta in 10 anni. Ci saranno anche
re Juan Carlos e la regina Sofia.
Per ricordare le storie spezzate su quei treni, all'alba dell'11 marzo 2004,
credo che continui a non esserci niente di più poetico e di più struggente di
questa canzone de La Oreja de van Gogh, Jueves. Era un giovedì, quell'11 marzo 2004.
Che il ricordo di quei morti e di quei feriti non svanisca, almeno finché ci sia traccia di noi.
Che il ricordo di quei morti e di quei feriti non svanisca, almeno finché ci sia traccia di noi.