lunedì 3 marzo 2014

Venezuela: dal carcere Leopoldo López pensa all'organizzazione della lotta non violenta

Leopoldo López è in una cella di isolamento del carcere di Ramo Verde a Los Teques, nello Stato venezuelano di Miranda, e non ha alcun contatto con l'esterno, se non attraverso le visite della moglie Lilian, dei genitori e dei suoi avvocati. Il leader di Voluntad Popular, formazione dell'opposizione radicale al Governo di Nicolás Maduro (l'opposizione 'moderata' è guidata da  Henrique Capriles, sconfitto alle elezioni presidenziali di un anno fa) ha però rilasciato un'intervista scritta al quotidiano El Nacional, in cui invita i venezuelani a continuare a protestare in manifestazioni non violente. Ma non solo, per López è tempo di passare all'"organizzazione della lotta non violenta".
Di sé dice che sta bene, "isolato in un carcere. Sono forte e consapevole di quello che sta succedendo. Da tempo sapevo che sarebbe potuto succedere. Nicolás Maduro mi sta minacciando con il carcere da un anno, stava aspettando la scusa per realizzare il suo desiderio insicuro e autoritario e il 12 febbraio c'è riuscito. Quello che sto vivendo in prigione, non è conseguenza delle manifestazioni del 12 febbraio né della Procura. Ogni giorno è più chiaro che è stato un piano realizzato dal Governo". Così spiega che Juan Montoya, uno dei leaders delle squadre armate chavistas, morto in circostanze non ancora chiarite durante gli incidenti del 12 febbraio, è "stato ucciso dagli stessi collettivi. Abbondano prove, foto, video e testimonianze. Sono innocente e rimarrà chiaro davanti alla storia. Adesso, assumo tutta la mia responsabilità per aver convocato la manifestazione, lo rifarei. La risposta massiccia ratifica che avevamo ragione nel chiamare la gente, affinché si apra un camino per il cambio sociale e politico, che potrà venire dalla mano di milioni di venezuelani in strada, in pace e senza violenza. E come io mi assumo le mie responsabilità e rispondo davanti a una giustizia ingiusta, anche Nicolás Maduro, circondato dai simboli del potere e della debolezza del suo governo, assuma le sue".
López assicura di non essersi pentito di essersi consegnato "volontariamente a uno Stato carnefice, che non solo è diventato mio carceriere, ma è anche carnefice del futuro di tutti i venezuelani". Non teme che le proteste possano terminare, essendo lui in carcere, perché sono "espressione di un popolo guidato da giovani a cui è stato espropriato il futuro e calpestato il presente. Le proteste sono massicce in tutto il Paese, nonostante la violenza e la repressione del Governo, sono continuate e continueranno. Come ho letto in uno striscione del 12 febbraio: "Ci hanno tolto tanto che ci hanno tolto persino la paura"".
Dal carcere il leader politico invita a pensare al futuro delle proteste o, come dice lui, "dare una direzione, che per me, in concreto, significa tre cose. La prima cosa da fare è definire obiettivi a breve termine, che siano raggiungibili. Sono d'accordo con i miei compagni circa l'unità. Di lì, la prima cosa concreta è giustizia per i colpevoli di repressione, morte e carcerazioni. Due, la ricomposizione dei poteri, che si sostituisca chi ha le cariche scadute, che si designino nuovi magistrati e nuovi rettori del CNE. Non è concessione, è giustizia ed è rispettare la Costituzione. Tre, che si faccia giustizia per la truffa da 30 miliardi di dollari rubati da Cadivi e ammessa da tutto il Governo". La strada, aggiunge Lopez, "è il principale scenario della lotta, ma non l'unico. Le aule di scuola, i posti di lavoro, le code per comprare gli alimentarie  anche le famiglie devono essere scenari di lotta non violenta. E, infine, bisogna assumere disciplinatamente l'incorporaizone permanente di nuovi settori e movimenti alla lotta non violenta".
Le ultime parole sono per Papa Francesco, a cui López ha inviato una lettera prima di consegnarsi alla Giustizia; la lettera è stata pubblicata sul sito web di López (www.leopoldolopez.com), pubblicizzata da sua moglie Lilian su Twitter e ripresa da buona parte dei media latinoamericani. Per risposta, il Papa, "grazie a Dio, ha già parlato del caso venezuelano e della necessità del riconoscimento reciproco".
Nel carcere, commenta El Nacional, López si vede poco. Giovedì gli è stato permesso di giocare con suo figlio Leopoldo Santiago (che ha anche compiuto i suoi primi passi proprio nel carcere in cui si trova il padre), in un edifizio annesso a quello in cui si trova. Mentre l'aveva sulle spalle e camminava con lui, chi andava a visitare gli altri carcerati, principalmente donne e bambini, si avvicinava per salutarlo".