giovedì 5 marzo 2009

Ingrid Betancourt, il suicidio e altri pensieri della selva: il libro degli ex ostaggi USA delle FARC

Out of captivity, il libro scritto da Tom Howes, Marc Gonsalves y Keith Stansell, i tre ostaggi statunitensi delle FARC liberati con Ingrid Betancourt dall'esercito colombiano, sta suscitando non poche polemiche in Colombia. Colpa del ritratto che offre di Ingrid Betancourt, definita "manipolatrice e arrogante" (ma i tre non sono i soli ad avere una cattiva opinione della ex candidata alla presidenza della Colombia: Noel Saez, che fu l'incaricato della Francia per i negoziati per la sua liberazione la considera una ingrata: "Non c'è stato un minimo segnale da parte sua, nessun incontro, nessuna chiamata. Ho rischiato la mia vita per Ingrid Betancourt, lei ha girato il mondo per ringraziare i grandi di questo pianeta, il Papa, il presidente e altri, ma si è dimenticata di alcuni, dei più piccoli, dei più esposti, di quelli che hanno preso più rischi" ha detto presentando il suo libro, L'émissaire).
La curiosità nei confronti di questi tre statunitensi, spariti subito dopo la loro liberazione e adesso ricomparsi davanti ai media per presentare il libro, è enorme; sono in fondo gli ex sequestrati più misteriosi, ma anche quelli che, essendo stranieri, dimostrano meno rancore e meno passione per le cose colombiane, che analizzano con interesse e attenzione. Anche perché nessuno di loro dimenticherà mai le selve della Colombia. Il quotidiano di Bogotà El Tiempo li ha intervistati alcuni giorni fa. E' un'intervista a tre voci, lunghissima, che offre un punto di vista diverso, anche se dal di dentro, dei lunghi sequestri delle FARC. Traduco i passaggi che mi sono piaciuti di più. Il resto lo trovate in spagnolo cliccando qui

- Scrivere il libro è stato come una catarsi?
Tom Howes: Credo che rivisitare il passato sia un modo di fare pulizia, ma considero il libro semplicemente come una buona storia che mi è piaciuto raccontare
Marc Gonsalves: Parlare della prigionia alcune volte può essere terapeutico, ma credo che nel processo di scrittura abbiamo fatto un grande sforzo per essere il più fedele possibile fedele ai fatti in poco tempo. In qualche modo è stato estenuante.
- Keith, lei è chiarissimo sulla sua animosità contro Ingrid, Tom lo è, ma in grado minore e Marc ha una visione di lei completamente diversa. Come avete deciso cosa inserire nel libro? vi siete corretti le bozze o avete cercato di censurarvi mutuamente?
Keith Stansell: Marc è Marc. Tom è Tom. Keith è Keith. Non abbiamo mai perso le nostre identità, siamo stati d'accordo in molte cose e in altre no. Io li rispetto completamente, è una lezione che abbiamo imparato nella selva è che non abbiamo mai perso la nostra individualità.
TH: Non abbiamo controllato le opinioni degli altri; se Keith ha qualcosa da dire, è libero di farlo, non abbiamo cercato di imporci l'uno sull'altro. Può succedere che discutiamo certe cose, ma alla fine ognuno è libero di dire quello che vuole dire. Una delle cose che abbiamo deciso dall'inizio è stato pubblicare il libro il più presto possibile. Volevamo che coincidesse con l'anniversario dell'incidente, il 13 febbraio. Abbiamo ritardato di una settimana, ma abbiamo capito che se ponevamo ostacoli, perché alla fine ognuno aveva una propria visione dello stesso fatto, avremmo ritardato l'intero processo. Perciò abbiamo deciso di essere flessibili, nel senso di rispettare le opinioni degli altri sullo stesso fatto.
- Il fatto che il libro dovesse uscire così rapidamente fa pensare che volevate pubblicarlo prima che si pubblicassero quelli di Clara Rojas e Ingrid Betancourt
TH: .Non ci è neanche passato per la mente, semplicemente ci eravamo accordati con la casa editrice per una certa data e abbiamo cercato di rispettarla
MG: Devo dire di essere contento di aver finito il libro così rapidamente come avevamo deciso, perché è importante che ognuno di noi possa andare avanti con la propria vita. E' qualcosa che dovevamo fare, cioè, rendere pubblica la nostra storia, ma è anche qualcosa che dobbiamo finire per concentrarci sulle altre cose che dobbiamo fare nella vita. Onestamente non ho seguito i libri che sono stati pubblicati, anche se credo sia buono che ognuno degli ex ostaggi racconti la propria esperienza. L'obiettivo è portare alla luce le atrocità che si commettono nella selva e ricordare che 22 persone sono ancora lì, molti sono lì già da 11 anni. Credo che l'unione della gente ha potere e mi piacerebbe vedere che tutti questi libri che abbiamo scritto abbiano una qualche influenza sulla liberazione di chi è ancora sequestrato
- Siete in contatto con altri ex sequestrati?
KS: Ho parlato con altri ex sequestrati, continuo ad essere vicino a Juancho (il capitano dell'esercito Juan Carlos Bermeo). La settimana scorsa ho parlato con lui durante il mio viaggio in Colombia e gli ho regalato un GPS. Gli ho detto: "Fratello, perché non ti perda più nella selva!" (risate)
TH: Ho parlato con Javier Rodríguez (tenente della Policía Nacional) e ho parlato con John Jairo Durán (membro della Policía Nacional) e ho ricevuto emails di altri come Consuelo González. Ho molta voglia di vederli di nuovo. Siamo stati molto occupati, direi che sono stati gli otto mesi più pieni della mia vita.
MG: Ho parlato con Ingrid, con Luis Eladio, con Consuelo, con Javier Rodríguez, John Frank Pinchao, Alan Jara, Sigifredo López. Mi piace parlare con loro, sapere cosa stanno facendo, come vanno le loro vite. In fondo sono le uniche persone, oltre Tom e Keith, con le quali mi identifico, sono gli unici che capiscono per cosa siamo passati. E' sempre speciale quando posso parlare con loro.
- Ha detto a Ingrid come sarebbe stata trattata nel libro?
MG: No, non ho detto a nessuno cosa sarebbe stato scritto nel libro, neanche ai miei genitori
- Perché?
MG: Volevo fosse una sorpresa
- Al contrario degli ex sequestrati colombiani liberati nella Operación Jaque, voi siete stati protetti dalla stampa. Credete che questo abbia facilitato il processo di reintegrazione?
KS: Qualche volta abbiamo parlato di quello che abbiamo definito "diarrea della bocca" e abbiamo visto ex sequestrati che semplicemente perdono il controllo e non smettono di parlare con i media... Per noi era più importante tornare dalle nostre famiglie. Inoltre, quando qualcuno appena liberato inizia a parlare, può commettere molti errori, perché è pieno di emozioni, stanno succedendo molte cose allo stesso tempo. Si può perdere credibilità e non volevamo ci succedesse questo.
- Keith, lei è quello che esprime maggior risentimento contro Ingrid, ma ci sono alcuni ex sequestrati che dicono che i comportamenti risultanti da circostanze estreme come il sequestro dovrebbero rimanere nella selva
KS: Voglio parlare dal mio punto di vista e voglio chiarire che questa non è l'opinione di Tom e né di Marc. Adesso che sono libero, nessuno mi va a mettere di nuovo in catene semplicemente per voler dare una buona impressione. (Come se stesse parlando direttamente a Ingrid). Non si arrabbi con me perché dico la verità. Se ha fatto qualcosa che vuole nascondere, è un suo problema. Io non sono d'accordo con lo slogan "quello che è successo nella selva rimane nella selva". Non sto cercando di attaccare qualcuno in particolare. Ma se quando diciamo la verità qualcuno si sente colpito, non mi tiri pietre per essere onesto. Non mi chieda che, semplicemente per proteggerla, nasconda qualcosa che ha fatto, perché sarei un bugiardo. Ognuno ha diverse opinioni su questo, ma quello che c'è nel libro è la verità, una verità su cui siamo tutti e tre d'accordo. Alcune volte viene pubblicato dai media qualcosa che non mi piace, ma lo sa?, questo è un Paese libero e le persone possono dire quello che vogliono. Se non le piace può rispondere, ma non mi dica quello che posso o non posso dire. Non divento un bugiardo per farla felice.
- Marc, lei ha avuto, e sembra che continui a mantenere, un rapporto più vicino con Ingrid. L'ha preoccupato il modo in cui Keith si riferisce a lei nel libro?
MG: No, credo che Ingrid sia in grado di proteggersi da sola. Quello che stiamo facendo è dire la verità su quello che è successo. C'è anche il mio nome sul libro, non ho alcun risentimento verso lei o altri e ostaggi per quello che è successo in prigionia. Il sequestro è qualcosa di terribile, sono semplicemente felice di essere dall'altra parte, libero.
- L'impressione che lascia il libro è che lei si sia sentito attratto romanticamente da lei
MG: L'attrazione tra di noi non è stata romantica, è nata più che altro dalla necessità di riempire un vuoto, di trovare qualcuno con cui parlare di diversi temi. Durante i primi anni di sequestro non ho avuto l'opportunità di conoscerla, così, quando nel 2007 ci hanno riunito di nuovo al gruppo in cui c'erano i politici, è stato come incontrare una persona completamente nuova. Fu questo un piacere speciale per entrambi. Con Tom e Keith ci eravamo raccontati le storie delle nostre vite come 10-15 volte. Ingrid è una conversatrice affascinante, aveva nuove storie ed era una persona molto piacevole, qualcuno di gradevole con cui condividere cose. Credo che lei abbia sentito lo stesso con me. Ho goduto della sua presenza. Ma è stato qualcosa che la guerriglia non ha approvato. Quando hanno visto la nostra vicinanza ci hanno proibito immediatamente di parlare e poi ci hanno separato fisicamente.
- Lei cita nel libro lettere in cui Ingrid esprimerebbe i suoi sentimenti verso di lei e che poi ha cercato di recuperare in maniera ostile, senza però riuscirsi. Ha ancora queste lettere?
MG: No, le ho bruciate. Sono rimaste nella selva, non sono mai uscite da lì.
- Keith ha appena detto di non essere d'accordo con l'argomento "quello che succede nella selva deve rimanere lì", ma c'è qualcosa che avete lasciato intenzionalmente fuori dal libro?
MG: Se c'è qualcosa che non abbiamo scritto è perché può creare problemi alla sicurezza di chi è ancora sequestrato, queste sono le uniche cose di cui non parliamo.
- Nel libro citate Eliécer, un giovane guerrigliero che si suicida. Qualche volta vi siete sentiti nella stessa strada senza uscita, volendo mettere fine alle vostre vite?
TH: Probabilmente ho avuto questi pensieri perché sono più grande di Marc e Keith, avevo 49anni quando ci hanno sequestrato e 55 quando siamo stati liberati. Più di una volta mi sono chiesto quanto avrei potuto sopportare quel tipo di vita, quelle condizioni, quelle marce, le catene. E se qualcuno è stato più vicino ad accettare una pallottola, sono io
MG: Quando Keith ed io eravamo incatenati per il collo, vivevamo quasi l'uno sull'altro, ricordo che parlavamo di questo e gli dissi che se le mie due possibilità fossero state suicidarmi o aspettare altri sette anni in quelle condizioni per vedere i miei figli, io avrei sempre scelto aspettare. Fortunatamente ho sempre mantenuto la speranza, non so perché, che saremmo vissuti, solo che non sapevo quanto tempo sarebbe stato necessario per uscire da lì.
KS: Ho sempre pensato che avrei preferito un giorno di libertà a morire nella selva. Il nostro obiettivo era tornare alle nostre famiglie, con i nostri figli. Sentivo la responsabilità di tornare ad essere il padre dei miei figli...
- Tom, Marc, i vostri matrimoni sono terminati dopo la liberazione. E' stata una conseguenza diretta del sequestro o qualcosa andava male e sarebbe successo comunque?
TH: Cinque anni e mezzo di separazione sono molto duri per una moglie, a meno che non abbia un matrimonio molto solido, e anche i matrimoni più solidi possono essere danneggiati
MG: Credo che Tom ed io avessimo matrimoni normali. L'ultima volta che ho visto mia moglie prima del sequestro è stato quando mi ha accompagnato all'aeroporto. Mi abbracciò piangendo, piangeva sempre all'aeroporto. Ma cinque anni sono troppi e lei non sapeva se sarei tornato. In qualche momento di quest'assenza ha deciso di andare avanti con la sua vita e non le dò la colpa di questo. E' semplicemente la realtà, anche se fa male. E sì, il sequestro non solo ha rotto il mio matrimonio, ha rotto la mia vita. Tutta la mia vita prima di precipitare nelle selve della Colombia non esiste. Sto iniziando da zero, come se fossi rinato.
- Quando tornerete in Colombia?
L'Ambasciata degli Stati Uniti a Bogotà inaugurerà un edificio con il nome del nostro pilota assassinato dalle FARC, Tommy Janis, ed è probabile che saremo lì