sabato 16 ottobre 2010

La virata della Colombia, dopo il caudillismo di Uribe

Alejandro Santos è il direttore di Semana, il più prestigioso newsmagazine colombiano; come buona parte dei giornalisti latinoamericani rischia la vita tutti i giorni, semplicemente perché fa il proprio lavoro. Da due mesi è anche il nipote del presidente della Colombia: José Manuel Santos, salito al potere il 7 agosto 2010, è suo zio e lui assicura di essere "un buon nipote, ma migliore giornalista", per cui non avrà alcun pregiudizio a continuare il proprio lavoro di denuncia sociale, economica e politica, se il caso. E' a Madrid per partecipare ad Ágora, América Latina e lo ha intervistato il quotidiano ABC. Ecco in italiano le sue parole, in spagnolo le trovate qui.

- Come valuta i due mesi di governo del presidente Santos? Le prime critiche insistono sulla sua attenzione alla diplomazie e alla lotta contro la guerriglia, quando il Paese ha problemi più gravi da risolvere...
L'Esecutivo di Santos ha dato una virata molto grande all'agenda e allo stile di Governo. Si è iniziato a ristabilire le relazioni con il Venezuela e l'Ecuador. Si sta dando maggiore importanza alla regione che  a Washington. Questa virata si è vista anche nel considerare prioritario il tema sociale e la terra come uno dei fattori più importanti della violenza politica. A questo aggiungiamo che Uribe aveva una grande leadership personale e comunicava direttamente con il popolo. Santos ha una visione molto più istituzionale nella gestione del potere. Ha ristabilito anche la relazione con la Giustizia. Prima c'era uno scontro chiaro tra la cultura della Giustizia e il Governo.
- Uribe si è assunto la responsabilità dell'azione del suo segretario generale Bernardo Moreno nelle intercettazioni illegali del Dipartimento Amministrativo di Sicurezza (DAS)...
Il capitolo dello spionaggio del DAS è forse uno dei più oscuri della storia della Colombia. E' da lamentare che l'organismo di intelligence più importante dello Stato abbia dedicato gran parte del proprio tempo a seguire e ascoltare illegalmente magistrati, giornalisti critici, leaders dell'opposizione e sindacali.
- Anche lei è stato ascoltato?
Ovviamente. Pedinamenti, intercettazioni e posta intercettata ai giornalisti della rivista. Quando lo abbiamo denunciato si è cercato, con un certo successo, di vendere l'idea che siamo stati manipolati da ex detective corrotti del DAS. Le indagini giudiziarie, grazie alle nostre denunce, hanno iniziato a trovare il bando della matassa e ci siamo trovati davanti uno dei peggiori scandali della storia contemporanea.
- Il bilancio del mandato di Uribe è allora agrodolce, tra successi nella sicurezza e questo scandalo, i cosiddetti "falsi positivi" e il tentativo della seconda rielezione?
Il bilancio ha due facce. Ha restituito alla Colombia tranquillità e fiducia in se stessa. Una conquista enorme in un Paese che si era abituato a vivere nella paura. MA nella maggior parte delle altre questioni fondamentali per la democrazia e per la società non è buono. La rielezione di Álvaro Uribe ha fatto sì che aumentasse la corruzione.
- Cosa sarebbe successo con una seconda rielezione?
Sarebbe stato nefasto. Uribe stava derivando verso una visione caudillista e messianica del potere in Colombia, che per la prima volta dopo 50 anni si è trovata davanti a questa minaccia. Il cambio delle regole del gioco è stato una confusione istituzionale che ci avrebbe portato a una seconda rielezione, fortunatamente impedita dalla Corte Costituzionale.
- Vede una connessione tra Venezuela, ETA e FARC?
La pressione militare che il Governo ha esercitato con successo contro la guerriglia, in particolare le FARC, ha fatto sì che abbiano ripiegato in zone inospitali della selva amazzonica del sud e che utilizzino territorio ecuadoriano e venezuelano. L'episodio di Uribe che affronta e denuncia supposte complicità tra la guerriglia e il narcotraffico non è stato efficace. Il cammino è la fiducia e la diplomazia.
- Si aspetta molte "bombe" informative dai computers del Mono Jojoy?
Se i computers di Raúl Reyes, trovati dopo i bombardamenti dell'accampamento nell'Ecuador, hanno dato tanto da parlare e hanno mostrato le sue reti internazionali, quelli del Mono Jojoy, il capo militare e il guerrigliero per eccellenza delle FARC, possono essere il punto finale della lotta contro la guerriglia.
- Adesso vede la fine prossima?
Nella lotta contro gli insorgenti non ci dive essere claudicazione finale. Quello che dobbiamo vedere è una forte pressione militare, che porti a un negoziato politico per poter reinserire i 6-8mila guerriglieri nell'illegalità. L'altro cammino è l'atomizzazione e criminalizzazione della guerriglia finanziata dal narcotraffico.