sabato 22 gennaio 2011

Le prime malinconie 30enni per Santiago Cabrera in La vida de los peces

Dei quattro film stranieri in lingua spagnola candidati ai Premi Goya 2011, l'argentino El hombre de al lado, il cileno La vida de los peces, il messicano El infierno e il peruviano Contracorriente ho visto solo, alcuni mesi fa, La vida de los peces. Non so se è il miglior film in lingua spagnola realizzato fuori dalla Spagna nel 2010, ma è uno dei migliori film che io ho visto l'anno scorso.
La prima cosa da dire è che, anche se non è un film generazionale, stile Il grande freddo o, più modestamente, Compagni di scuola, per vederlo, e comprenderlo fino in fondo, bisognerebbe aver compiuto almeno trent'anni. E' l'età in cui affiorano le prime malinconie: ci si sente giovani, con tutto il futuro davanti, ma dietro c'è già una nuova generazione che preme e che ha "un'altra musica, altri sogni e altri eroi", facendo sentire che non si è più ragazzi e la vita chiede una nuova maturità. La vida de los peces racconta con dolcezza e linearità questo passaggio, questa inquietudine che prende intorno ai trent'anni, quando si inizia a sentire che gli errori compiuti pesano e condizionano e spingono a chiedersi cosa sarebbe successo se e, soprattutto, se si è ancora in tempo per rimediare e provare a essere felici. In fondo, ci sarebbe ancora tutta una vita che aspetta, se solo si avesse coraggio e non si avesse paura della felicità.
E' intorno a quell'età anche Andrés, il bel protagonista di La vida de los peces, che avrebbe tutto per essere invidiabile e invece si capisce sin dalla sua prima apparizione che qualcosa lo rende inquieto e infelice. E' un giornalista di viaggi, dunque è sempre in giro e, anche se vive a Berlino, una delle metropoli più cosmopolite del mondo, in realtà, si rende conto, non è di nessun posto; e non solo ha una professione invidiabile, ma è anche di bell'aspetto. Però.
L'azione del film lo sorprende a Santiago del Cile, dove è tornato per risolvere alcune questioni burocratiche legate a vecchie proprietà di famiglia e dove gli amici di gioventù lo invitano a una festa di compleanno. Il film racconta in tempo reale la sua presenza a questa festa di compleanno. Andrés che si muove inquieto tra gli ospiti e rimane coinvolto in conversazioni in cui si rimpallano continuamente l'immagine che gli altri hanno di lui, bello e di successo, residente all'estero, uno, insomma, che ce l'ha fatta, e l'insoddisfazione che lui sente dentro. Un'insoddisfazione che ha soprattutto un volto di donna, Beatriz, l'amore che poteva essere e che non è stato e che gli ha lasciato dentro dubbi, dolori e amarezze. C'è anche Beatriz a questa festa, ovviamente. Lei e Andrés parlano, si spiegano, si capisce che entrambi sentono dolore per quello che poteva essere e non è stato e che per entrambi la vita non è stata quello che avevano immaginato, nonostante lui abbia il lavoro che sognava e lei la famiglia che voleva. Forse anche loro non fanno altro che girare in tondo, come i pesci dell'acquario davanti al quale si svolgono tante conversazioni e si incontrano tanti sguardi e tante cose non dette.
Nel film non succede molto di più. E' un film piccolo, minimal, uno dei più intimisti che si siano visti negli ultimi anni, intriso di infelicità e dolore, tutto emozioni e sentimenti di un uomo che si cerca e si ritrova nelle parole degli amici che ricordano la giovinezza passata; dei figli degli amici che si affacciano all'adolescenza e lo travolgono con domande sul sesso non fatte ai genitori; delle sorelle degli amici che ha lasciato bambine e ritrova adolescenti, disposte a scappare con lui, se; dell'amore che non è stato e potrebbe ancora colmare il vuoto che ha dentro. E' tutto affidato agli sguardi e alle espressioni del bel Santiago Cabrera, una vera scoperta, anche se pare sia stato uno dei protagonisti del serial USA Heroes (non consumando molta tv, me lo sono perso); con una carriera internazionale e anglosassone che lo ha visto in Che-L'argentino di Steven Soderbergh e nel serial inglese Merlin (era Lancillotto), è tornato nel suo Cile, in cui ha vissuto pochissimo causa lavoro del padre, alto diplomatico, proprio per interpretare questo piccolo film, tutto emozioni e malinconie, espresse solo dai suoi sguardi e dai suoi silenzi.
Non c'è azione e non ci sono effetti speciali in La vida de los peces, solo un giovane uomo che fa i conti con le vigliaccherie che cambiano la vita, anche se non lo si capisce in tempo, e con le prime malinconie dell'età. Ma anche se non è un film americano, tutto ritmo e azione, lascia una triste malinconia e un'infelicità in cui è dolce naufragare; lascia insomma un buon sapore e la sensazione di aver visto una storia che vale la pena, raccontata con semplicità e talento. Negli ultimi anni la cinematografia cilena è impegnata a dimostrare che non bisogna avere grandi risorse per realizzare film che abbiano qualcosa da dire e qualcosa da lasciare nell'anima dello spettatore.