Dei quattro film stranieri in lingua spagnola candidati ai Premi Goya 2011, l'argentino El hombre de al lado, il cileno La vida de los peces, il messicano El infierno e il peruviano Contracorriente ho visto solo, alcuni mesi fa, La vida de los peces. Non so se è il miglior film in lingua spagnola realizzato fuori dalla Spagna nel 2010, ma è uno dei migliori film che io ho visto l'anno scorso.
La prima cosa da dire è che, anche se non è un film generazionale, stile Il grande freddo o, più modestamente, Compagni di scuola, per vederlo, e comprenderlo fino in fondo, bisognerebbe aver compiuto almeno trent'anni. E' l'età in cui affiorano le prime malinconie: ci si sente giovani, con tutto il futuro davanti, ma dietro c'è già una nuova generazione che preme e che ha "un'altra musica, altri sogni e altri eroi", facendo sentire che non si è più ragazzi e la vita chiede una nuova maturità. La vida de los peces racconta con dolcezza e linearità questo passaggio, questa inquietudine che prende intorno ai trent'anni, quando si inizia a sentire che gli errori compiuti pesano e condizionano e spingono a chiedersi cosa sarebbe successo se e, soprattutto, se si è ancora in tempo per rimediare e provare a essere felici. In fondo, ci sarebbe ancora tutta una vita che aspetta, se solo si avesse coraggio e non si avesse paura della felicità.
E' intorno a quell'età anche Andrés, il bel protagonista di La vida de los peces, che avrebbe tutto per essere invidiabile e invece si capisce sin dalla sua prima apparizione che qualcosa lo rende inquieto e infelice. E' un giornalista di viaggi, dunque è sempre in giro e, anche se vive a Berlino, una delle metropoli più cosmopolite del mondo, in realtà, si rende conto, non è di nessun posto; e non solo ha una professione invidiabile, ma è anche di bell'aspetto. Però.
L'azione del film lo sorprende a Santiago del Cile, dove è tornato per risolvere alcune questioni burocratiche legate a vecchie proprietà di famiglia e dove gli amici di gioventù lo invitano a una festa di compleanno. Il film racconta in tempo reale la sua presenza a questa festa di compleanno. Andrés che si muove inquieto tra gli ospiti e rimane coinvolto in conversazioni in cui si rimpallano continuamente l'immagine che gli altri hanno di lui, bello e di successo, residente all'estero, uno, insomma, che ce l'ha fatta, e l'insoddisfazione che lui sente dentro. Un'insoddisfazione che ha soprattutto un volto di donna, Beatriz, l'amore che poteva essere e che non è stato e che gli ha lasciato dentro dubbi, dolori e amarezze. C'è anche Beatriz a questa festa, ovviamente. Lei e Andrés parlano, si spiegano, si capisce che entrambi sentono dolore per quello che poteva essere e non è stato e che per entrambi la vita non è stata quello che avevano immaginato, nonostante lui abbia il lavoro che sognava e lei la famiglia che voleva. Forse anche loro non fanno altro che girare in tondo, come i pesci dell'acquario davanti al quale si svolgono tante conversazioni e si incontrano tanti sguardi e tante cose non dette.
Nel film non succede molto di più. E' un film piccolo, minimal, uno dei più intimisti che si siano visti negli ultimi anni, intriso di infelicità e dolore, tutto emozioni e sentimenti di un uomo che si cerca e si ritrova nelle parole degli amici che ricordano la giovinezza passata; dei figli degli amici che si affacciano all'adolescenza e lo travolgono con domande sul sesso non fatte ai genitori; delle sorelle degli amici che ha lasciato bambine e ritrova adolescenti, disposte a scappare con lui, se; dell'amore che non è stato e potrebbe ancora colmare il vuoto che ha dentro. E' tutto affidato agli sguardi e alle espressioni del bel Santiago Cabrera, una vera scoperta, anche se pare sia stato uno dei protagonisti del serial USA Heroes (non consumando molta tv, me lo sono perso); con una carriera internazionale e anglosassone che lo ha visto in Che-L'argentino di Steven Soderbergh e nel serial inglese Merlin (era Lancillotto), è tornato nel suo Cile, in cui ha vissuto pochissimo causa lavoro del padre, alto diplomatico, proprio per interpretare questo piccolo film, tutto emozioni e malinconie, espresse solo dai suoi sguardi e dai suoi silenzi.
Non c'è azione e non ci sono effetti speciali in La vida de los peces, solo un giovane uomo che fa i conti con le vigliaccherie che cambiano la vita, anche se non lo si capisce in tempo, e con le prime malinconie dell'età. Ma anche se non è un film americano, tutto ritmo e azione, lascia una triste malinconia e un'infelicità in cui è dolce naufragare; lascia insomma un buon sapore e la sensazione di aver visto una storia che vale la pena, raccontata con semplicità e talento. Negli ultimi anni la cinematografia cilena è impegnata a dimostrare che non bisogna avere grandi risorse per realizzare film che abbiano qualcosa da dire e qualcosa da lasciare nell'anima dello spettatore.
La prima cosa da dire è che, anche se non è un film generazionale, stile Il grande freddo o, più modestamente, Compagni di scuola, per vederlo, e comprenderlo fino in fondo, bisognerebbe aver compiuto almeno trent'anni. E' l'età in cui affiorano le prime malinconie: ci si sente giovani, con tutto il futuro davanti, ma dietro c'è già una nuova generazione che preme e che ha "un'altra musica, altri sogni e altri eroi", facendo sentire che non si è più ragazzi e la vita chiede una nuova maturità. La vida de los peces racconta con dolcezza e linearità questo passaggio, questa inquietudine che prende intorno ai trent'anni, quando si inizia a sentire che gli errori compiuti pesano e condizionano e spingono a chiedersi cosa sarebbe successo se e, soprattutto, se si è ancora in tempo per rimediare e provare a essere felici. In fondo, ci sarebbe ancora tutta una vita che aspetta, se solo si avesse coraggio e non si avesse paura della felicità.
E' intorno a quell'età anche Andrés, il bel protagonista di La vida de los peces, che avrebbe tutto per essere invidiabile e invece si capisce sin dalla sua prima apparizione che qualcosa lo rende inquieto e infelice. E' un giornalista di viaggi, dunque è sempre in giro e, anche se vive a Berlino, una delle metropoli più cosmopolite del mondo, in realtà, si rende conto, non è di nessun posto; e non solo ha una professione invidiabile, ma è anche di bell'aspetto. Però.
L'azione del film lo sorprende a Santiago del Cile, dove è tornato per risolvere alcune questioni burocratiche legate a vecchie proprietà di famiglia e dove gli amici di gioventù lo invitano a una festa di compleanno. Il film racconta in tempo reale la sua presenza a questa festa di compleanno. Andrés che si muove inquieto tra gli ospiti e rimane coinvolto in conversazioni in cui si rimpallano continuamente l'immagine che gli altri hanno di lui, bello e di successo, residente all'estero, uno, insomma, che ce l'ha fatta, e l'insoddisfazione che lui sente dentro. Un'insoddisfazione che ha soprattutto un volto di donna, Beatriz, l'amore che poteva essere e che non è stato e che gli ha lasciato dentro dubbi, dolori e amarezze. C'è anche Beatriz a questa festa, ovviamente. Lei e Andrés parlano, si spiegano, si capisce che entrambi sentono dolore per quello che poteva essere e non è stato e che per entrambi la vita non è stata quello che avevano immaginato, nonostante lui abbia il lavoro che sognava e lei la famiglia che voleva. Forse anche loro non fanno altro che girare in tondo, come i pesci dell'acquario davanti al quale si svolgono tante conversazioni e si incontrano tanti sguardi e tante cose non dette.
Nel film non succede molto di più. E' un film piccolo, minimal, uno dei più intimisti che si siano visti negli ultimi anni, intriso di infelicità e dolore, tutto emozioni e sentimenti di un uomo che si cerca e si ritrova nelle parole degli amici che ricordano la giovinezza passata; dei figli degli amici che si affacciano all'adolescenza e lo travolgono con domande sul sesso non fatte ai genitori; delle sorelle degli amici che ha lasciato bambine e ritrova adolescenti, disposte a scappare con lui, se; dell'amore che non è stato e potrebbe ancora colmare il vuoto che ha dentro. E' tutto affidato agli sguardi e alle espressioni del bel Santiago Cabrera, una vera scoperta, anche se pare sia stato uno dei protagonisti del serial USA Heroes (non consumando molta tv, me lo sono perso); con una carriera internazionale e anglosassone che lo ha visto in Che-L'argentino di Steven Soderbergh e nel serial inglese Merlin (era Lancillotto), è tornato nel suo Cile, in cui ha vissuto pochissimo causa lavoro del padre, alto diplomatico, proprio per interpretare questo piccolo film, tutto emozioni e malinconie, espresse solo dai suoi sguardi e dai suoi silenzi.
Non c'è azione e non ci sono effetti speciali in La vida de los peces, solo un giovane uomo che fa i conti con le vigliaccherie che cambiano la vita, anche se non lo si capisce in tempo, e con le prime malinconie dell'età. Ma anche se non è un film americano, tutto ritmo e azione, lascia una triste malinconia e un'infelicità in cui è dolce naufragare; lascia insomma un buon sapore e la sensazione di aver visto una storia che vale la pena, raccontata con semplicità e talento. Negli ultimi anni la cinematografia cilena è impegnata a dimostrare che non bisogna avere grandi risorse per realizzare film che abbiano qualcosa da dire e qualcosa da lasciare nell'anima dello spettatore.