domenica 6 marzo 2011

1 franco 14 pesetas: la vita sospesa degli emigranti e dei loro figli

1 franco, 14 pesetas indica il cambio tra il franco svizzero e la peseta francese negli anni 60-70, ai tempi della grande emigrazione spagnola in Svizzera. E' anche il titolo di un bel film del 2006, il primo firmato da Carlos Iglesias, noto fino ad allora solo come attore, per le sue partecipazioni a vari serial tv di successo. E' un film che nei mesi scorsi mi è stato insistentemente consigliato e che per una ragione o l'altra non ho mai visto. Fino ad alcune sere fa, quando lo ha mandato in onda Versión Española di TVE1, un bel programma condotto dall'attrice Cayetana Guillén Cuervo, in cui protagonisti e regista introducono il film in visione e poi lo commentano con l'attrice-presentatrice. E' un modo per conoscere piccoli gioielli del cinema spagnolo, che passano inosservati nelle sale, e per conoscere il punto di vista di chi a quei film ci ha lavorato. 1 franco, 14 pesetas è un film dai molti sentimenti e probabilmente lo è ancora di più dopo aver ascoltato Carlos Iglesias e Isabella Blanco, una delle protagoniste, che raccontavano la loro esperienza di bambini spagnoli cresciuti in Svizzera, divisi tra due culture, con il rimpianto di quello che avrebbero potuto essere se fossero rimasti (lui) e di quello che si sono persi negli anni in cui sono stati lontani dalla terra natia (lei).
Il film si svolge negli anni 60 e racconta la storia di due amici Martin e Marcos, che, licenziati dalle loro fabbriche, decidono di tentare la fortuna in Svizzera. Martin lascia in Spagna l'impaziente moglie Pilar, che dal giorno del matrimonio è costretta a vivere con i suoceri, dato che lo stipendio del marito non permette di più, e il figlioletto Pablo. Marcos lascia la fidanzata Carmen, con la promessa del prossimo matrimonio. Alla stazione ci sono le raccomandazioni delle madri, che hanno messo loro nella valigia tortillas de patatas e chorizos perché non manchino subito i sapori di casa (vi suona familiare, anche se con altri alimenti?), e c'è la dignità e l'affetto del padre di Martin, che raccomanda al figlio di non dimenticare mai che, vadano come vadano le cose in Svizzera, non gli mancherà mai un piatto di lenticchie a casa sua, in Spagna.
Ma la Svizzera non è così matrigna come vogliono le leggende metropolitane spagnole. Alla dogana, le severe guardie fanno passare pure le tortillas e credono davvero che i due spagnoli entrino solo come turisti. Nel paesino in cui c'è la fabbrica in cui aspirano ad entrare, ci sono soprattutto problemi di comunicazione linguistica. Marcos e Martin finiscono in un hotel di legno, lindo e alpino, tenuto dalla bella Jana, che, per facilitare loro la vita, parla in italiano. Solo che spagnolo e italiano non è che siano sempre fratelli, così quando lei dice loro che le stanze sono al piano di sopra, Marcos non capisce e Martin capisce che la povera Jana ha un pianoforte di troppo (piano di sopra = piano de sobra, un piano in più). Però sono inconvenienti che si superano, soprattutto quando un compatriota catalano un po' scorbutico, già in fabbrica, procura loro il posto di lavoro.
La vita dell'emigrante degli anni 60, per quanto i sorrisi delle ragazze, che frequentavano spiagge nudiste e invitavano addirittura a ballare, e le prime soddisfazioni economiche aiutassero, non era così facile. Era mezzo secolo fa e sembra la preistoria: non c'erano i cellulari, non c'era Internet, non c'erano gli aerei low-cost, le comunicazioni con casa erano rare e carissime telefonate internazionali e lettere, che tardavano giorni ad arrivare. Non si poteva andare a casa per Natale perché i biglietti costavano troppo ed era meglio risparmiare per costruirsi la casa al paese o aprire lì un'attività. C'erano le amicizie locali, che per Marcos e Martin sono soprattutto italiane, data la forte presenza di emigranti italiani, per le loro stesse ragioni (Jana parla l'italiano soprattutto per questo).
Per i protagonisti del film le cose cambiano quando le loro donne decidono di raggiungerli. Pilar, più libera che in Spagna, dà via libera al suo senso pratico e inizia a lavorare e a organizzare una casa finalmente sua; il piccolo Pablo si ambienta facilmente, imparando il tedesco e frequentando le scuole locali, dove si insegna addirittura l'educazione sessuale. La vita scorre via per sette anni, fino a quando una telefonata comunica che il padre di Martin è in fin di vita. E di nuovo, non ci sono voli low cost, non c'è Internet e l'angoscia non ha modo di sfogarsi. E' dopo questo episodio che Martin e Pilar decidono che è ora di tornare in Spagna, perché hanno messo da parte i soldi sufficienti per comprarsi una casa e avere il tempo di trovare un nuovo lavoro. Ma la Spagna, che affronta gli ultimi anni del franchismo, non è quella che hanno nei loro ricordi e nelle loro nostalgie e, soprattutto per l'adolescente Pablo, abituato alle libertà e al benessere svizzeri, rischia di essere un vero e proprio incubo. Meno male che c'è Pilar.
1 franco 14 pesetas racconta l'emigrazione, senza melodramma, senza drammi. Racconta semplicemente la storia vera di Carlos Iglesias, il piccolo Pablo del film. Si sorride spesso, ci si emoziona, ci si riconosce. E' attraverso il non detto che si capisce il dramma dello sradicamento di chi lascia la propria terra per sopravvivere e finisce per non appartenere più a nessun luogo. Ed è ancora più grande il dramma dei figli degli emigranti, due volte sradicati e per tutta la vita sospesi tra due culture e due stili di vita. Carlos Iglesias si illumina ancora quando parla della Svizzera e ha voluto girare il suo film negli stessi posti in cui è cresciuto. A Versión Española ha raccontato l'enorme fortuna che gli è capitata quando, cercando le locations, ha scoperto che la sua antica casa era di nuovo vuota: l'appartamento svizzero di Martin e Pilar è quello in cui è cresciuto il piccolo Carlos. Sono belli anche i personaggi secondari, la dolce e comprensiva Jana, che tratta questi emigranti spagnoli con dolcezza e non perde la pazienza davanti al loro smarrimento e al loro bisogno di casa, gli amici italiani di Martin e Marcos, che parlano di un'altra emigrazione, a noi più vicina e che parlano della rabbia per questa Italia che negli anni 60 era già un Paese in cui non tornare, buono solo per passarci le vacanze perché "è il più bel Paese del mondo". Ho vissuto per nove anni, per parte della mia infanzia e quasi tutta l'adolescenza nel sud italiano; dalla terza alla quinta elementare ho avuto per compagno di scuola un bambino, Giovanni, il cui cognome ricordo ma ovviamente non pubblico. Era figlio di emigranti in Svizzera e viveva con gli zii, perché, gli avevano spiegato, in Svizzera non volevano i bambini. Vedeva i suoi genitori solo a Natale e non dimenticherò mai quella volta che ha raccontato di quando i suoi genitori lo hanno lasciato di nuovo, per tornare in Svizzera, e lui ha inseguito correndo la macchina, piangendo, prima di essere raggiunto e fermato dallo zio. Avevamo una decina d'anni e non so quanti Giovanni ci siano stati in Italia in quegli anni. Guardando 1 franco 14 pesetas ho pensato molto a lui e mi sono chiesta se era meglio essere Giovanni o Pablo, avendo dovuto i genitori decidere di emigrare: non saprei e non giudicherei mai. Nell'Italia dura e xenofoba di questi anni 1 franco 14 pesetas dovrebbe essere di visione obbligatoria, invece non è neanche uscito ai cinema. Ma se volete, con il permesso di Carlos Iglesias, che invita tutti ad andare a vedere Ispansi, il suo nuovo film a cinema, altrimenti non potrà realizzare il suo terzo film sull'emigrazione, lo trovate facilmente anche su Internet. Ho controllato.
PS Gracias, Geoff, tenias razón.