sabato 18 giugno 2011

E' la festa dello spagnolo e la parola più bella è Querétaro

Oggi il mondo ispanico celebra il Dia E, la Giornata dello spagnolo e di tutti coloro che parlano questa bella lingua. E' una giornata inventata dall'Instituto Cervantes un paio di anni fa, per promuovere l'uso e la cultura della lingua i tutti i continenti.
Oggi abbiamo anche saputo che la parola più bella dello spagnolo è Querétaro, il nome della città messicana. L'Instituto Cervantes ha lanciato qualche mese fa, su Internet, il concorso per scegliere la parola più bella della lingua, come fa da qualche anno a questa parte: prima ha chiesto a vari esponenti della cultura in spagnolo come Alicia Alonso, Alejandro Sanz, Shakira, Mario Vargas Llosa, Ricardo Darin, Emilio Botin, El Juli, Chayanne, Isabel Allende o Pau Gasol, tra i tanti, di scegliere la propria parola preferita. Poi ha invitato gli utenti a votare. Ed è risultato che la parola più votata è stata Querétaro, scelta da Gael Garcia Bernal: "C'è una parola che mi piace ed è Querétaro, che è una città del Messico" dice l'attore nel video in cui spiega perché ha scelto questa parola "Sento che non esiste parola più bella in spagnolo di Quéretaro. Poi scritta è bella: è lunga e ha questa mescola della Q, la U e la E; la U che è silenziosa, ma il cui spazio però è necessario, altrimenti querer (amare, voler bene in italiano NdRSO) non sarebbe querer". La cosa curiosa è che Querétaro non solo non è presente nel dizionario delle Academias che vigilano sulla lingua, ma la sua origine è indigena (tradotto, significa "l'isola delle salamandre azzurre"); e anche questo è segno della forza e della ricchezza dello spagnolo.
Tra le altre parole molto votate dagli internauti ci sono Gracias (scelta da Raphael), Sueño (da Luis Rojas Marcos), Jesús (da Juan Luis Guerra), Libertad (da Mario Vargas Llosa), Amor (da Chayanne), Meliflua (da Shakira), Tú (da Antonio Gamoneda), Murmullo (da Jaume Plensa). Merita anche Alegría, la parola scelta da Antonio Banderas, che la distingue dalla Felicità. Una visita alla pagina web preparata dall'Instituto Cervantes per scegliere la parola più bella dello spagnolo, è un viaggio nell'universo favoloso di questa lingua così aperta e del legame che con essa hanno stabilito i famosi intervistati, consapevoli del privilegio di appartenere a questa koinè in cui vivono, da Miami a Ushuaia, passando per Madrid.
Ci sono numerose iniziative in corso oggi nelle sedi che l'Instituto Cervantes ha in tutto il mondo.
Tra i vari articoli pubblicati oggi per celebrare oggi lo spagnolo, mi è piaciuto questo firmato da Elena Ochoa, editrice di libri di lusso e sposata con sir Norman Foster, uno degli architetti più famosi del mondo. Nel suo articolo, in cui fa riferimento alla sua vita cosmopolita, racconta la diffusione dello spagnolo e la rete di affetti e simpatia che ha costruito.
In spagnolo lo trovate su abc.es

Parlo e scrivo in spagnolo, quando voglio esprimere dettagliatamente le mie emozioni, i miei sentimenti, un'idea. Agli altri, ai miei, a me stessa. Anche se a volte non mi capiscono. Penso e sogno nella mia lingua, lo spagnolo. E' per questo perché, anche se difendo a oltranza l'apprendimento di quante più lingua possibile, e a questo principio ho educato i miei figli da quando sono nati, è stato lo spagnolo il mio unico ponte di comunicazione con loro, da quando li ho sentiti dentro di me fino a oggi.
E' stato molto difficile, quando hanno iniziato a parlare. Sarebbe stato molto più facile per me parolare loro in inglese, francese, tedesco, portoghese o galiziano. Sarebbe stato anche più facile accettare che mi rispondessero in una qualunque di queste lingue, quando parlavo loro in spagnolo. E' stato un lavoro duro correggerli costantemente. Non accettare e ignorare le risposte che non fossero in spagnolo, far loro ripetere e ripetere il tempo del verbo sbagliato. O non ammettere cocktail di lingua terribili, orrendi, stile, "mamma, ferme la porte now perché liebe ich ascoltare music!" E' stato duro… e a volte insopportabile.
Ma è valsa la pena. Adesso i miei figli, quando sono in Spagna, si sentono totalmente spagnoli. Di più, a New York, Los Angeles, Chicago o Dallas, in Messico o a Buenos Aires si muovono come pesci nell'acqua. Perché parlano spagnolo. Li colpisce, però, usare con più frequenza la mia lingua, di quella del padre, l'inglese, in Paesi come gli USA. La scorsa estate, in California, hanno parlato inglese solo con il padre e in poche altre occasioni. Dal loro maestro di tennis al pilota della mongolfiera che ci ha portato in cielo alle 5 del mattino per vedere l'alba dall'alto, parlavano spagnolo. Anche nel circolo dei bambini della loro età, figli di amici nordamericani, tutti parlano spagnolo, dato che nelle loro scuole si insegna contemporaneamente in inglese e in spagnolo.
Negli anni 80 sono andata a Chicago e poi in California con una borsa di studio Fulbright del Comitato Hispano-Nordamericano. Già allora mi sono resa conto che potevo vivere negli USA senza parlare inglese, dentro e fuori dall'ambiente accademico. L'universo latino era presente ogni secondo del giorno, dal commesso di qualunque negozio di Santa Monica alla responsabile del chiosco di tortillas a Venice Beach, il venditore d'auto a Culver City o proprietario del bar in cui ero solita ascoltare blues al sud d Chicago. Succedeva lo stesso in librerie così speciali come City Lights a San Francisco o Soup a Sunset Boulevard.
Questa proliferazione dell'uso dello spagnolo è aumentata a passi giganti negli ultimi anni. Adesso non c'è ospedale che non offra i suoi servizi in spagnolo ai pazienti. Di più, in hotel di radici chiaramente anglosassoni, il personale più altamente qualificato è genuinamente ispanico, seconda generazione di immigrati cubanni o messicani, e conservano lo spagnolo come lingua parallela all'inglese.
Acconciature, drogherie, fiorai, supermercati a Dallas , Miami, Carmel o San Antonio sono proprietà di ispanici e parlano spagnolo. Donne delle pulizia e tassisti e chi riceve all'ingresso della fiera The Armory Show, parlano spagnolo. Pinta, l'appuntamento più ambizioso dell'arte latinoamericana, a New York, qualche settimana fa, o a Londra, in questo mese di giugno, ha potuto competere in numero di visitatori con le fiere più note dell'arte contemporanea. E a Pinta si parla essenzialmente spagnolo.
Il Nordamerica si sta convertendo allo spagnolo, senza rimedio. E con lui altri punti lontani dell'Estremo Oriente. Lo sanno bene quelli che sono andati alla Fiera d'Arte di Hong Kong, nel maggio scorso. Ma questo non succede solo adesso o solo tra le persone colte e cosmopolite. A Pechino e Shanghai non è stato difficile trovare una persona che mi aiutasse con i miei bambini, una decina di anni fa, quando erano quasi neonati, fino a oggi, che stanno entrando nell'adolescenza. Le ragazze che vivono con la mia famiglia, studentesse cinesi ai primi anni di università, e che ho individuato attraverso il Dipartimento di Spagnolo dell'Università di Pechino o amici cinesi, parlano uno spagnolo più che corretto. Non sono mai andate all'estero, ma il loro accento e le loro espressioni potrebbero essere di ragazze oriunde di Salamanca o Valladolid.
Qualche mese fa ho sorpreso una di queste studentesse cinesi, a leggere un libro di Vargas Llosa ai miei figli, sdraiati tranquillamente in piscina. Le ho chiesto perché lo aveva scelto: "Perché mi piace quello che racconta e come lo racconta. Da quando ho iniziato a leggere in spagnolo è il mio scrittore preferito. Come Machado".
Io mi chiedo se il suo equivalente in Spagna, questa studentessa cinese ha 18 anni, potrebbe manifestare tanta passione per la lingua e la conoscenza della letteratura spagnola come questa adolescente che, come ho già detto, non è mai stata all'estero.
Situazioni simili mi sono successe nelle presentazioni fatte in Cina, circa otto anni fa, delle pubblicazioni di Ivorypress tales come CPhoto Magazine, con i volumi pubblicati in spagnolo, cinese, inglese e giapponese. Ho scoperto giovani artisti in cittadine lontane dalle grandi città, che studiavano con impegno e passione la lingua spagnola. Di fatto alcuni preferivano che presentassi il Proyecto CPhoto in spagnolo e non inglese. Una situazione inasepttata ed emozionante per me.
Credo che tra pochissimi anni non ci saranno affari, studi, ricerche o progetti artistici visionari, in tutti e ognuno dei cinque continenti, che possano svilupparsi e arrivare al successo se i suoi creatori non parlano spagnolo o se non si realizza anche in spagnolo. Le mie ultime esperienze sostengono questo presentimento e lo fanno diventare, poco a poco, una certezza. A maggio sono stata due settimane in Brasile con mio marito, per incontrare Oscar Niemeyer nel suo studio di Rio de Janeiro (il suo sindaco, Eduardo Paz, parla perfettamente lo spagnolo, senza accento, e la sua casa è piena di libri di letteratura spagnola, tra le altre lingue). Niemeyer ci ha organizzato gentilmente una visita molto breve, ma intensa, a Brasilia. La nostra guida, un architetto brasiliano, parlava spagnolo. Anche il suo accompagnatore. L'ultimo edificio di Niemeyer visitato in questo itinerario memorabile è stato il Palácio da Alvorada, residenza dell'attuale presidente. Questa casa disegnata da Niemeyer è l'essenza del sofisticato, della semplicità e del buon gusto. Dentro e fuori. Con sorpresa ho saputo che la persona di più alto rango della casa, e assistente della presidente, che ci ha accompagnato durante la visita, è spagnola di origine e dall'inizio si è diretta a me in perfetto spagnolo. E' nata in Galizia, come me. Non è necessario aggiungere che abbiamo parlato allora, brevemente, nell'altra mia lingua materna, il gallego.
Lo hanno fatto anche gli artisti brasiliani Ernesto Neto e Vik Muniz alla fine del viaggio. Ernesto, che è scherzoso e originale, mi ha salutato nel ristorante Satiricón di Rio con una serenata molto ingegnosa, in spagnolo. I clienti dei tavoli vicini hanno assistito affascinati alla performance inaspettata di Neto, applaudendo con forza, perché hanno senza dubbio capito il doppio significato della tiritera dell'artista brasiliano in spagnolo. Neto ha guardato mio marito di sottecchi e ha ripetuto la recitazione in inglese. No c'è stato alcun applauso, a parte quello degli amici al nostro tavolo.
E' emozionante ascoltare lo spagnolo in Australia, a Teheran, in Sudafrica e nell'Antartide, in Giappone e a Singapore. Una delle amiche a me più vicine a Londra, è iraniana, scrittrice e romanziera, pubblica i suoi libri in francese e in inglese. Ma con me e quando scrive il suo diario, ogni volta, lo fa in farsi e in spagnolo. Dice che sono le lingue del cuore.
Julian Schnabel mi ha detto esattamente lo stesso quando abbiamo parlao in spagnolo temi sulle nostre rispettive aperture alla Biennale di Venezia, Mentre Jeff Koons, Norman Rosenthal e mio marito ci ascoltavano più che divertiti, osservando in silenzio i nostri gesti e dispiaceri, un tanto drammatici su alcune situazioni vissute nei montaggi. Non abbiamo avuto dubbi, ci hanno capito dall'inizio alla fine.
Lo spagnolo è la lingua del cuore, del cervello. E' la lingua dell'immediato futuro e delle generazioni che vengono. Con il cinese, lo spagnolo sta imbastendo le vertebre del futuro in scienza e tecnologia, nell'economia e nelle finanze. Nell'arte e nella poesia. Io, nel frattempo, continuo a parlare, scrivere, pensare e amare i miei in spagnolo.