Sono stata molto contenta di aver letto su El correo de Andalucía questa intervista a Nerea Riesco, autrice di un libro che ho letto recentemente, El elefante de marfil, che si svolge nella Siviglia del XVIII secolo, fino al ritorno del re Ferdinando, el Deseado (c'è anche il tempo di citare la Costituzione di Cadice del 1812, che ispirò tanti patrioti e l'intero XIX secolo). E' uno dei migliori libri che ho letto ambientati a Siviglia, con donne come Julia o Guiomar, che sono fonte di ispirazione, e con figure maschili come León, il pirata, o Ventura, il bandolero, che qualunque ragazza vorrebbe avere nella propria vita. La storia gira intorno a una vecchia disputa tra Cristiani e Musulmani, una partita di scacchi non disputata per stabilire la proprietà della Giralda; il titolo del libro, l'elefante d'avorio in italiano, si riferisce a una delle figure degli scacchi, l'elefante, diventato alfiere degli scacchi moderni, indispensabile per iniziare l'ultima partita; intorno a questa partita si muovono le rivalità tra gli ordini religiosi, la saga di una famiglia, quella dei Montenegro, che controlla una delle più importanti tipografie sivigliane (realmente esistita) e che è guidata da donne appassionate e determinate, intuitive e indomabili, un ambiguo maestro francese, una fascinosa gitana che usa gli uomini senza farsi usare, l'intelligenza e la filosofia spietate degli scacchi. Soprattutto c'è Siviglia, prima alle prese con il terremoto di Lisbona del 1755, che dà inizio alla storia, e quindi con le trasformazioni di città un tempo opulenta e sempre più decadente, con riferimenti a questa sua doppia anima araba e cattolica che anche adesso, tanti secoli dopo, è parte del suo fascino. E' il miglior libro ambientato a Siviglia che ho letto da La piel del tambor, di Arturo Pérez Reverte.
Non mancano i riferimenti alle grandi trasformazioni spagnole del XVIII secolo e rimane sempre l'impressione che un buon autore aiuta a capire la storia meglio di un manuale: per capire le trasformazioni dal romanico al gotico mi ci è voluto I pilastri della terra, per capire perché la Spagna non è riuscita a trasformarsi in una potenza brillante e capitalista, nonostante la ricchezza rubata alle colonie, mi ci è voluto il Capitán Alatriste, per capire i bandoleros e la Costituzione del 1812, mi ci è voluto El elefante de marfil.
Non so se è uscito in italiano, ho cercato su Internet, ma non l'ho trovato, ma se amate Siviglia e capite lo spagnolo, El elefante de marfil può essere una piacevole lettura estiva, una cavalcata di tre generazioni nella storia dell'Andalusia e nei suoi legami mai recisi con la cultura musulmana.
Qui l'intervista alla 36enne Nerea Riesco, autrice di tre libri, El país de las mariposas, Ars Mágica (credo che questo sia stato tradotto in italiano, con il titolo La ragazza e l'inquisitore) ed El elefante de marfil; la sua esperienza può essere ispiratrice per tutti gli aspiranti scrittori.
Il suo sito web è www.nereariesco.com ; in spagnolo l'intervista a El Correo de Andalucía è qui
- L'ispirazione nel suo caso viene solo dal passato?
Sono una grande lettrice di storia. Se non avessi studiato Giornalismo avrei studiato Storia. Quando scrivo ho la sensazione di stare giocando. Hai l'opportunità di vivere un mondo che non è il tuo, disponi di una macchina del tempo e puoi andare dove vuoi.
- Giochiamo allora un po': tra 100 anni, l'ispirerebbe questa società? Ci sarebbe materiale per un libro?
Sìì, perché noi essere umani ripetiamo sempre gli stessi gesti. Nel mio primo libro, El país de las mariposas, parlavo della conquista del Messico. Ricordo che mentre la scrivevo gli americani stavano entrando in Iraq. C'era un parallelismo. In Messico si era arrivati dicendo che si dovevano evangelizzare quelle terre, ma era una scusa per portarsi via l'oro e l'argento. Lo stesso è successo con l'Iraq: bisognava portare la democrazia, ma il tema era più petrolifero. In Ars mágica mi è successa una cosa simile: il Duca di Lerma faceva una serie di imbrogli urbanistici per trasferire la corte da Valladolid a Madrid, comprando case quando erano ancora economiche. Ed era giusto il momento del caso Malaya (la trama di corruzione e speculazione urbanistica scoperto a Marbella NdRSO). L'uomo si muove per grandi passioni: amore, vendetta e, soprattutto, potere. Noi umani ripetiamo.
- El elefante de marfil è ambientata in una tipografia ed è stato pubblicato in pieno auge delle reti sociali. E' stato una difesa dei suoi studi di giornalismo?
Totalmente. La proprietaria della tipografia, un personaggio reale, mi è sembrato commovente. La storia dell'Elefante è iniziata quando ho iniziato a studiare il dottorato alla Facoltà di Comunicazione. Ci portarono quotidiani dell'epoca in cui il terremoto di Lisbona aveva colpito Siviglia e la notizia più bella fu quella uscita da questa tipografia. Mi è sembrato terribilmente evocatore vedere come la memoria di un Paese rimane perché l'hai scritto
- Qualcosa che scompare con le reti sociali. Qual è la sua relazione con loro?
Sono stata molto reticente. Avevo un'idea strana di Facebook. Pensavo che sarebbe stato più invadente, ma lì c'è solo quello che io voglio mettere. Le reti adesso non smettono di sorprendermi.
- Chi darà testimonianza di questi giorni, se spariranno i quotidiani?
Credo che non succederà
- Com'è arrivata a essere scrittrice? Anche se riconosce che le dà pudore presentarsi così…
Cavolo, è che è così…Ho sempre pensato che di questo non si vive. Ho studiato Giornalismo, ho pensato che mi sarei dedicata attivamente al giornalismo e che, tra intervista e intervista, avrei scritto. Ma non mi hanno pagato in nessuno dei posti in cui ho lavorato come giornalista… io mettevo il mio registratore, la mia macchina, il mio talento, i miei fine settimana… non mi pagavano niente! E nel frattempo ho scritto El país de las mariposas, ho vinto un premio e, nonostante tutto, continuavo a cercare di avere un lavoro dignitoso come giornalista. E quando è uscito Ars mágica, che è andato molto bene, e con i diritti d'autore, un giorno mi sono fermata e mi sono detta: "Sono scrittrice". Ma, nonostante tutto, continuo ad avere questo pudore, forse perché quando lavori in quello che ti piace sembra che devi avere una giustificazione
- Non si soffre scrivendo?
I libri sono più belli nella tua mente di come rimangono poi sulla carta. E questo genera frustrazione. Non leggo i libri una volta stampati perché non mi succeda questo che dicono alcuni scrittori, "non cambierei neanche una virgola". Le parole non chiudono l'essenza di quello che hai sentito. Questa sensazione di frustrazione mi accompagna molto e mi fa continuare a lottare e a migliorare
- Cerca i suoi libri quando va all'estero?
Sì. Mi succede una cosa molto curiosa quando li vedo, credo non siano miei. Mi sembrano un libro qualunque.
- C'è molta differenza tra la Siviglia del XVIII secolo di El elefante de marfil e quella di oggi?
La storia inziai con il terremoto del 1755 e arriva oltre la Guerra de la Independencia (gli spagnoli chiamano così la guerra contro Napoleone NdRSO). Per questo, una delle cose che ho consultato è il piano di Olavide. E, solo nell'urbanismo, la città è uguale. Si può arrivare in centro con quel piano e non perdersi! La città è esattamente uguale. E anche in altre cose: la passione in Settimana Santa, per i tori... La passione della città, che ho notato quando sono arrivata, a 18 anni, continua a essere presente.
- Può anticipare qualcosa del suo prossimo libro?
E' una storia ambientata negli ultimi 10 anni, precedenti la conquista di Granada, dal 1482 al 1492. Avevo molta voglia di parlare di questa vita sulla frontiera e avevo chiaro che volevo parlare della vendetta, così come con El elefante avevo chiaro che volevo parlare dell'amore.
- I suoi libri riflettono i suoi momenti emozionali?
No, no, le mie vendette sono sempre molto light, contro i critici letterari…
- Come vive le critiche?
Male. Non ho mai avuto critiche cattive, ma una mi ha ucciso. El país de las mariposas ha sempre avuto critiche buone meno una, di un quotidiano nazionale molto importante arrivato in Messico. Fu devastante. Ovviamente, quando ho iniziato a scrivere ho detto che ero disponibile a ricevere le critiche costruttive. La frase di sempre. Ricordo anche che quella critica uscì un 31 dicembre e non smettevo di dire: "Com'è iniziato male l'anno!" Lo odiavo. Prima ho pensato di scrivergli una lettera, poi, però, nel secondo libro, decisi di mettere il nome del critico al personaggio più strisciante. Non lo avevo detto fino ad ora…
Non mancano i riferimenti alle grandi trasformazioni spagnole del XVIII secolo e rimane sempre l'impressione che un buon autore aiuta a capire la storia meglio di un manuale: per capire le trasformazioni dal romanico al gotico mi ci è voluto I pilastri della terra, per capire perché la Spagna non è riuscita a trasformarsi in una potenza brillante e capitalista, nonostante la ricchezza rubata alle colonie, mi ci è voluto il Capitán Alatriste, per capire i bandoleros e la Costituzione del 1812, mi ci è voluto El elefante de marfil.
Non so se è uscito in italiano, ho cercato su Internet, ma non l'ho trovato, ma se amate Siviglia e capite lo spagnolo, El elefante de marfil può essere una piacevole lettura estiva, una cavalcata di tre generazioni nella storia dell'Andalusia e nei suoi legami mai recisi con la cultura musulmana.
Qui l'intervista alla 36enne Nerea Riesco, autrice di tre libri, El país de las mariposas, Ars Mágica (credo che questo sia stato tradotto in italiano, con il titolo La ragazza e l'inquisitore) ed El elefante de marfil; la sua esperienza può essere ispiratrice per tutti gli aspiranti scrittori.
Il suo sito web è www.nereariesco.com ; in spagnolo l'intervista a El Correo de Andalucía è qui
- L'ispirazione nel suo caso viene solo dal passato?
Sono una grande lettrice di storia. Se non avessi studiato Giornalismo avrei studiato Storia. Quando scrivo ho la sensazione di stare giocando. Hai l'opportunità di vivere un mondo che non è il tuo, disponi di una macchina del tempo e puoi andare dove vuoi.
- Giochiamo allora un po': tra 100 anni, l'ispirerebbe questa società? Ci sarebbe materiale per un libro?
Sìì, perché noi essere umani ripetiamo sempre gli stessi gesti. Nel mio primo libro, El país de las mariposas, parlavo della conquista del Messico. Ricordo che mentre la scrivevo gli americani stavano entrando in Iraq. C'era un parallelismo. In Messico si era arrivati dicendo che si dovevano evangelizzare quelle terre, ma era una scusa per portarsi via l'oro e l'argento. Lo stesso è successo con l'Iraq: bisognava portare la democrazia, ma il tema era più petrolifero. In Ars mágica mi è successa una cosa simile: il Duca di Lerma faceva una serie di imbrogli urbanistici per trasferire la corte da Valladolid a Madrid, comprando case quando erano ancora economiche. Ed era giusto il momento del caso Malaya (la trama di corruzione e speculazione urbanistica scoperto a Marbella NdRSO). L'uomo si muove per grandi passioni: amore, vendetta e, soprattutto, potere. Noi umani ripetiamo.
- El elefante de marfil è ambientata in una tipografia ed è stato pubblicato in pieno auge delle reti sociali. E' stato una difesa dei suoi studi di giornalismo?
Totalmente. La proprietaria della tipografia, un personaggio reale, mi è sembrato commovente. La storia dell'Elefante è iniziata quando ho iniziato a studiare il dottorato alla Facoltà di Comunicazione. Ci portarono quotidiani dell'epoca in cui il terremoto di Lisbona aveva colpito Siviglia e la notizia più bella fu quella uscita da questa tipografia. Mi è sembrato terribilmente evocatore vedere come la memoria di un Paese rimane perché l'hai scritto
- Qualcosa che scompare con le reti sociali. Qual è la sua relazione con loro?
Sono stata molto reticente. Avevo un'idea strana di Facebook. Pensavo che sarebbe stato più invadente, ma lì c'è solo quello che io voglio mettere. Le reti adesso non smettono di sorprendermi.
- Chi darà testimonianza di questi giorni, se spariranno i quotidiani?
Credo che non succederà
- Com'è arrivata a essere scrittrice? Anche se riconosce che le dà pudore presentarsi così…
Cavolo, è che è così…Ho sempre pensato che di questo non si vive. Ho studiato Giornalismo, ho pensato che mi sarei dedicata attivamente al giornalismo e che, tra intervista e intervista, avrei scritto. Ma non mi hanno pagato in nessuno dei posti in cui ho lavorato come giornalista… io mettevo il mio registratore, la mia macchina, il mio talento, i miei fine settimana… non mi pagavano niente! E nel frattempo ho scritto El país de las mariposas, ho vinto un premio e, nonostante tutto, continuavo a cercare di avere un lavoro dignitoso come giornalista. E quando è uscito Ars mágica, che è andato molto bene, e con i diritti d'autore, un giorno mi sono fermata e mi sono detta: "Sono scrittrice". Ma, nonostante tutto, continuo ad avere questo pudore, forse perché quando lavori in quello che ti piace sembra che devi avere una giustificazione
- Non si soffre scrivendo?
I libri sono più belli nella tua mente di come rimangono poi sulla carta. E questo genera frustrazione. Non leggo i libri una volta stampati perché non mi succeda questo che dicono alcuni scrittori, "non cambierei neanche una virgola". Le parole non chiudono l'essenza di quello che hai sentito. Questa sensazione di frustrazione mi accompagna molto e mi fa continuare a lottare e a migliorare
- Cerca i suoi libri quando va all'estero?
Sì. Mi succede una cosa molto curiosa quando li vedo, credo non siano miei. Mi sembrano un libro qualunque.
- C'è molta differenza tra la Siviglia del XVIII secolo di El elefante de marfil e quella di oggi?
La storia inziai con il terremoto del 1755 e arriva oltre la Guerra de la Independencia (gli spagnoli chiamano così la guerra contro Napoleone NdRSO). Per questo, una delle cose che ho consultato è il piano di Olavide. E, solo nell'urbanismo, la città è uguale. Si può arrivare in centro con quel piano e non perdersi! La città è esattamente uguale. E anche in altre cose: la passione in Settimana Santa, per i tori... La passione della città, che ho notato quando sono arrivata, a 18 anni, continua a essere presente.
- Può anticipare qualcosa del suo prossimo libro?
E' una storia ambientata negli ultimi 10 anni, precedenti la conquista di Granada, dal 1482 al 1492. Avevo molta voglia di parlare di questa vita sulla frontiera e avevo chiaro che volevo parlare della vendetta, così come con El elefante avevo chiaro che volevo parlare dell'amore.
- I suoi libri riflettono i suoi momenti emozionali?
No, no, le mie vendette sono sempre molto light, contro i critici letterari…
- Come vive le critiche?
Male. Non ho mai avuto critiche cattive, ma una mi ha ucciso. El país de las mariposas ha sempre avuto critiche buone meno una, di un quotidiano nazionale molto importante arrivato in Messico. Fu devastante. Ovviamente, quando ho iniziato a scrivere ho detto che ero disponibile a ricevere le critiche costruttive. La frase di sempre. Ricordo anche che quella critica uscì un 31 dicembre e non smettevo di dire: "Com'è iniziato male l'anno!" Lo odiavo. Prima ho pensato di scrivergli una lettera, poi, però, nel secondo libro, decisi di mettere il nome del critico al personaggio più strisciante. Non lo avevo detto fino ad ora…