domenica 17 luglio 2011

The Economist: "Gli indignados sono i manifestanti più seri d'Europa"

Adesso che ne parla anche The Economist, magari pure la stampa italiana si sveglierà e inizierà a guardare oltre il proprio ombelico e oltre la parabola politica e giudiziaria di Silvio Berlusconi e si deciderà finalmente ad affacciarsi a guardare oltre le Alpi, magari verso la Spagna e i suoi indignados. Del resto, se non sono gli anglo-sassoni a indicare loro la strada, i media italiani non è che si muovano autonomamente.
E così The Economist ha pubblicato un articolo in cui rende omaggio agli indignados, definendoli "i manifestanti più seri d'Europa". I manifestanti che non devono essere dispersi con i lacrimogeni, come succede ad Atene, e che iniziano a ottenere i primi risultati politici delle loro proteste.
Il settimanale britannico sottolinea il pacifismo degli spagnoli: "Non ci sono stati lanci di pietre o lacrimogeni, ma il 9 luglio gli educati indignati della Spagna hanno ottenuto una vittoria" esordisce The Economist, riferendosi al discorso con cui Alfredo Pérez Rubalcaba ha accettato la candidatura alla presidenza alle prossime elezioni, offertagli dal PSOE. La proposta di cambiare il sistema elettorale spagnolo e di ispirarsi a quello tedesco, lanciata da Rubalcaba nel suo discorso, in modo da garantire agli elettori il diritto di scegliere i propri deputati, è stata un segnale agli indignados. Così come lo sono state due leggi successive, quella sulla trasparenza sull'informazione pubblica e quella sul limite di denaro che le banche possono pretendere dai morosi, una volta che li hanno sfrattati, per estinguere il debito. Entrambe le leggi, nota The Economist, sono un successo diretto delle proteste di piazza.
"Spesso ci sono più deputati dentro il Parlamento che manifestanti fuori. Qualche volta decine di migliaia hanno partecipato alle manifestazioni, altre volte solo poche decine. Nessuno può criticare i politici spagnoli per sforzarsi di capire il movimento. Gli stessi indignati, che assicurano di non avere un leader, sono poco chiari su cosa vogliono" scrive il settimanale. La cui frase migliore per spiegare il fenomeno degli indignados è il sottotitolo dell'articolo: "Non sanno cosa vogliono, ma stanno iniziando a ottenerlo". Perfettamente condivisibile.
Tra i difetti del movimento, secondo The Economist, l'esasperante lentezza delle sue assemblee e del consenso nei dibattiti. "Manuel Chaves, un ministro, ha paragonato i loro meeting a quelli del Fronte della Giudea, nel film La vita di Brian" dice l'articolo con un tocco di umorismo.
Poi analizza il fenomeno chiarendo subito che "questa non è Atene". Nessuna protesta violenta, nessuna sfida alla Polizia, nessuna rabbia fuori controllo, insomma. Ma il pacifismo e l'educazione come cammino, la simpatia dell'80% degli spagnoli ad appoggiarli e l'impossibilità di identificarli ideologicamente.
""Questo non è un movimento vero e proprio" dice il sondaggista Josep Lobera "è un sintomo. Esprime un generale sentimento di preoccupazione e rabbia". I conservatori li definiscono sprezzantemente come estremisti. Alcuni li vedono come un gruppo di sinistra pronto alla battaglia contro l'ala destra del PP, guidato da Mariano Rajoy, probabile vincitore delle prossime elezioni" tenta di spiegare The Economist. Ma ovviamente non è così semplice. Perché, è vero che le analisi prodotte dalle loro assemblee all'aria aperta sull'economia nella madrilena plaza del Carmen cercano di "cancellare un oscura clausola del Trattato di Lisbona che proibisce alle Banche Centrali di dare crediti a basso costo ai governi e propongono un referendum sulle riforme del lavoro e delle pensioni" e hanno "il recente Patto dell'Euro come obiettivo", "ma se questo è estremismo, perché il sostegno degli indignados alla coalizione di Izquierda Unida è stata del 4%? Una risposta è che non sono indignati solo quelli di sinistra. "E' vero,  ci sono molte persone che arrivano dalla sinistra, ma ci sono anche economisti liberali e centristi" dice Francisco Cañero, un ex piccolo businessman e adesso attivista". E anche la conclusione di The Economist a questo paragrafo è degna di nota: "Il movimento è unito dalle rivendicazioni, non dalle soluzioni".
E i politici, in questo contesto, non sembrano essere una soluzione, non solo perché "non ci rappresentano", ma anche perché, sottolinea The Economist, sono una preoccupazione: "I politici sono il terzo problema più grande per gli spagnoli, dopo l'economia e la disoccupazione. I sondaggi mostrano un ampio sostegno alla rimozione dello statuto della limitazione sui casi di corruzione, che avvelenano la politica regionale e municipale. Ma è cambiato anche l'atteggiamento. I tribunali indagano sugli affari fiscali di Emilio Botín, presidente del Banco Santander, e sospettano frodi dalla Società Spagnola degli Autori, le cui campagne contro la pirateria in Intenet hanno aiutato ad accendere il fuoco degli indignados. Bankinter, una retail bank, ha risposto alla furia dei pignoramenti delle case con il primo mutuo che può essere risolto da lontano, allo stile americano, semplicemente consegnando le chiavi della casa".
Poi, si sa, The Economist è una testata conservatrice, di quelle che considerano ogni gesto che soddisfa le esigenze e i diritti dei popoli populismo. Così chiude con una frecciata a Mr Rubalcaba, che "ha iniziato a colpire i banchieri. Li accusa di aver prestato denaro a persone che sapevano che non avrebbero potuto restituire il prestito e minaccia nuove tasse. Un cenno educato, forse, di gentile indignazione, ma che contiene tracce di populismo".
Ma viva il populismo, se permette alle persone di vivere dignitosamente e costringe i ricchi a essere co-responsabili, insieme a tutte le altre fasce sociali, del benessere della società che permette loro di godere di uno stile di vita privilegiato.