Arturo Pérez Reverte e lo scrittore messicano Élmer Mendoza sono stati protagonisti di un incontro letterario all'Hay Festival di Segovia. Hanno parlato di letteratura, di Messico, di narcotraffico e di narcoletteratura. Tornato a casa, lo scrittore spagnolo ha condiviso una serie di riflessioni sullo spagnolo, sulla sua ricchezza e sul suo futuro con i suoi followers, su Twitter. Me encanta quello che ha scritto (e anche quello che ha risposto alle critiche dei lettori). Amo lo spagnolo, la sua apertura, la sua capacità di assimilare parole di altre culture, di cambiare continuamente, a seconda del Paese, e di rimanere fedele a se stesso, grazie anche alla disinvoltura di chi lo parla, che, se incontra un altro ispano-parlante, sentendo parole strane non si rinchiude e chiede il significato, per impararlo e trasmetterlo al proprio spagnolo. Non so se esistano al mondo altre lingue con questa elasticità e questa apertura, che ti rendono un eterno, appassionato studente. Sarebbe bello, un giorno, finire su questa frontiera "meticcia e bastarda" tra Hispanoamérica e gli Stati Uniti, e sciacquare i panni nel Rio Grande. Per ora, bisognerà cercare i libri di Élmer Mendoza. Quanto ad Arturo Pérez Reverte, una vez más, gracias, maestro.
"A Culiacán, Sinaloa, ho paura solo dalle 6 alle 7 del pomeriggio"... Come si fa non voler bene a un amico, Élmer Mendoza, che dice questo?
Sono sempre fuggito dall'Hay Festival e da altri festivals. Troppa gente che parla e poca che scrive.
Però c'era Élmer. E come lui ed io diciamo, sono le regole.
E' stato gradevole. Molta gente. Émer era felice. E ha firmato moltissimi libri.
E' un tipo leale, d'onore e coraggioso. E sta facendo la storia dello spagnolo di frontiera. E' il più grande in questo territorio mutante.
Il che significa che è il più grande dello spagnolo che si scriverà in futuro.
Noi spagnoli siamo solo il 10% della comunità ispano-parlante. Il futuro si gioca lì. In quella frontiera meticcia e bastarda con i gringos.
Lì le accademie spagnola, messicana, argentina o quella che sia, hanno poco da grattare. Solo guardare e cercare di seguire il ritmo.
Con questo voglio dire che lo spagnolo che parliamo in Spagna ha bisogno di una cura d'umiltà.
Leggere la prosa di Élmer e degli scrittori ispanoamericani giovani aiuta molto in questo.
Lo spagnolo parlato dagli ispanici del futuro sarà così ricco e complesso, così svergognato e brillante, che le accademie impallidiranno.
C'è un altro fattore. Lo spanglish di un analfabeta messicano è più ricco ed evolutivo che il farfuglio di un proletario di periferia analfabeta spagnolo.
La trasmissione orale della lingua in America (il rispetto verso di lei) con il contagio dell'inglese e la disinvoltura della combinazione. Appassionante.
Questa mescola di desiderio teorico di parlare bene e di necessità pratica di parlare male, crea un linguaggio vigoroso, innova, concentra. Lì c'è evoluzione.
E qui facendo immersione linguistica del murciano a Villaconejos del canto. Non siamo più stupidi perché quest'anno non ci tocca.
Non ho mai visto tanto rispetto per lo spagnolo ben parlato come in America. Più umili le persone, più educazione e più rispetto.
Questi ammirevoli maestri d'America lo inculcano ogni giorno: parlare bene è una possibilità di migliorare la vita e il futuro.
Quando in America un lettore umile si avvicina chiamandoti "maestro", non puoi non emozionarti. Con quello che quella parola significa lì.
Il debito che, come spagnoli e ispano-parlanti, abbiamo con i maestri di Hispanoamérica non potremo pagarlo mai. Sono eroi veri.
Ricordo sempre un telegiornale. Un terremoto. In Guatemala, credo. Un povero campesino lo raccontava.
"C'è stata una scossa nel suolo, signore. Tutto veniva giù. Era terribile. Ho afferrato la mia famiglie e ho cercato riparo, mentre pregavo".
Qui avremmo detto: "E' stato incredibile, senti. Una cosa tipo bruuum. Cioè, è venuto tutto giù. Incredibile"
Che pena mi dà quando un ispanico è in Spagna da sei mesi, stanco del malomodo, diventa maleducato, o di più, come quelli di qui.
La cassiera ispanoamericana di Carrefour che prima, all'arrivare, diceva: "Buongiorno, mi regala la sua firma, signore?" E adesso ti sputa in faccia.
Riassumendo: lo spagnolo del futuro, ricco, bastardo, svergognato, creativo, potente, cambiante, divertito, si sta parlando nel sud degli Stati Uniti.
In realtà, La reina del Sur è stato il riconoscimento scritto del mio rispetto per questo spagnolo vivo e potente.
Leggere Élmer e altri giovani di lì mi fa sentire più umile come scrittore e come tizio che usa questa lingua dalla Spagna.
E se mi sbaglio, che tutto è possibile, non succede niente. E' solo una stupidaggine dell'amico Reverte. Punto
"A Culiacán, Sinaloa, ho paura solo dalle 6 alle 7 del pomeriggio"... Come si fa non voler bene a un amico, Élmer Mendoza, che dice questo?
Sono sempre fuggito dall'Hay Festival e da altri festivals. Troppa gente che parla e poca che scrive.
Però c'era Élmer. E come lui ed io diciamo, sono le regole.
E' stato gradevole. Molta gente. Émer era felice. E ha firmato moltissimi libri.
E' un tipo leale, d'onore e coraggioso. E sta facendo la storia dello spagnolo di frontiera. E' il più grande in questo territorio mutante.
Il che significa che è il più grande dello spagnolo che si scriverà in futuro.
Noi spagnoli siamo solo il 10% della comunità ispano-parlante. Il futuro si gioca lì. In quella frontiera meticcia e bastarda con i gringos.
Lì le accademie spagnola, messicana, argentina o quella che sia, hanno poco da grattare. Solo guardare e cercare di seguire il ritmo.
Con questo voglio dire che lo spagnolo che parliamo in Spagna ha bisogno di una cura d'umiltà.
Leggere la prosa di Élmer e degli scrittori ispanoamericani giovani aiuta molto in questo.
Lo spagnolo parlato dagli ispanici del futuro sarà così ricco e complesso, così svergognato e brillante, che le accademie impallidiranno.
C'è un altro fattore. Lo spanglish di un analfabeta messicano è più ricco ed evolutivo che il farfuglio di un proletario di periferia analfabeta spagnolo.
La trasmissione orale della lingua in America (il rispetto verso di lei) con il contagio dell'inglese e la disinvoltura della combinazione. Appassionante.
Questa mescola di desiderio teorico di parlare bene e di necessità pratica di parlare male, crea un linguaggio vigoroso, innova, concentra. Lì c'è evoluzione.
E qui facendo immersione linguistica del murciano a Villaconejos del canto. Non siamo più stupidi perché quest'anno non ci tocca.
Non ho mai visto tanto rispetto per lo spagnolo ben parlato come in America. Più umili le persone, più educazione e più rispetto.
Questi ammirevoli maestri d'America lo inculcano ogni giorno: parlare bene è una possibilità di migliorare la vita e il futuro.
Quando in America un lettore umile si avvicina chiamandoti "maestro", non puoi non emozionarti. Con quello che quella parola significa lì.
Il debito che, come spagnoli e ispano-parlanti, abbiamo con i maestri di Hispanoamérica non potremo pagarlo mai. Sono eroi veri.
Ricordo sempre un telegiornale. Un terremoto. In Guatemala, credo. Un povero campesino lo raccontava.
"C'è stata una scossa nel suolo, signore. Tutto veniva giù. Era terribile. Ho afferrato la mia famiglie e ho cercato riparo, mentre pregavo".
Qui avremmo detto: "E' stato incredibile, senti. Una cosa tipo bruuum. Cioè, è venuto tutto giù. Incredibile"
Che pena mi dà quando un ispanico è in Spagna da sei mesi, stanco del malomodo, diventa maleducato, o di più, come quelli di qui.
La cassiera ispanoamericana di Carrefour che prima, all'arrivare, diceva: "Buongiorno, mi regala la sua firma, signore?" E adesso ti sputa in faccia.
Riassumendo: lo spagnolo del futuro, ricco, bastardo, svergognato, creativo, potente, cambiante, divertito, si sta parlando nel sud degli Stati Uniti.
In realtà, La reina del Sur è stato il riconoscimento scritto del mio rispetto per questo spagnolo vivo e potente.
Leggere Élmer e altri giovani di lì mi fa sentire più umile come scrittore e come tizio che usa questa lingua dalla Spagna.
E se mi sbaglio, che tutto è possibile, non succede niente. E' solo una stupidaggine dell'amico Reverte. Punto