sabato 5 novembre 2011

Un cuento chino, il bel film argentino vincitore del Festival di Roma

Ho appena letto che al Festival del Cinema di Roma ha vinto il film argentino Un cuento chino, diretto da Sebastian Borensztein e interpretato da Ricardo Darín, Huang Sheng Huang e Muriel Santa Ana. Il film si è aggiudicato il Premio della critica e del pubblico, ha ottenuto, insomma, un vero e proprio trionfo, e uscirà in Italia in una data non ancora stabilita del 2012, con il titolo Cosa cade dal cielo? che fa perdere un po' il doppio senso del titolo spagnolo. Un cuento chino significa letteralmente Un racconto cinese, il che va benissimo, visto che uno dei protagonisti del film è cinese; in senso più figurato significa anche una storia fantastica, poco credibile, e anche questo va benissimo, dato che la storia raccontata, soprattutto nelle coincidenze, sa un po' di favola.
Ho visto questo bel film ispano-argentino qualche mese fa, in Spagna. E, come sempre quando si tratta di cinematografia argentina, me ne sono innamorata. Gli argentini sono specialisti nel raccontare belle storie con spunti minimal e quotidiani, con personaggi che sembrano anonimi e poco interessanti, senza niente da raccontare e che invece riempiono lo schermo. In qualche blog spagnolo, scritto da qualche autore argentino, ho letto tempo fa che non c'è cinematografia migliore dell'Argentina e non c'è vivaio di attori, registi e sceneggiatori migliore di quello argentino. In genere mi infastidiscono profondamente le lodi smisurate verso il proprio Paese, perché ritengo che i meriti abbiano davvero valore quando sono gli stranieri a riconoscerli. Però è anche vero che non ho visto un film argentino che non mi sia piaciuto e non ho visto un attore argentino che non mi abbia convinto (e questo vale anche per le telenovelas, lo siento).
Un cuento chino ha uno spunto semplice. Ci presenta Roberto, solitario proprietario di mezza età di un negozio di ferramenta: è scostante, è metodico fino all'ossessione ed è così antipatizzante che non si capisce perché la cognata di tanto in tanto ci provi con lui. A rompere la sua monotonia casa-ferramenta, ferramenta-casa, solo due interessi: gli articoli della stampa su notizie curiose, tipo una vacca caduta dal cielo su una piccola barchetta di legno su un lago cinese, a spezzare il sogno d'amore di una coppietta che stava progettando il matrimonio, e i pomeriggi passati nei dintorni dell'aeroporto, a vedere decollare e atterrare gli aeroplani. Ed è proprio in uno di questi pomeriggi che nella sua vita piomba un giovane cinese, Jun, che non parla una parola di spagnolo. Roberto lo vede buttato fuori da un taxi, sanguinante, derubato e abbandonato e non se la sente di lasciarlo, nella sconosciuta Buenos Aires.
Inizia così la strana convivenza tra lo scostante e sarcastico argentino e il dolce e paziente cinese, che non hanno una lingua in comune e che devono fare continuamente i conti con l'insofferenza di Roberto, per la rottura del suo ritmo di vita che il cinese rappresenta, e con i suoi sensi di colpa, ogni volta che cerca di liberarsi del giovane. Jun è in Argentina per trovare uno zio, l'unico parente che gli è rimasto, ma né l'Ambasciata né le autorità argentine si fanno carico di lui nell'attesa della comparsa di questo zio, per cui Roberto è sempre in bilico tra insofferenza e sensi di colpa e Jun, con quest'aria tenera e giovane, riesce sempre a non farsi abbandonare. E, poiché Un cuento chino non è un film americano, non c'è escamotage per la loro incomunicabilità linguistica: per tutto il film il cinese non parla una parola di spagnolo e lo spettatore si trova coinvolto in questo rapporto fatto di sguardi ed espressioni che devono riempire il vuoto delle parole. Non che Roberto e Jun non parlino: lo fanno, ognuno nella propria lingua, e caricano le parole di gesti ed espressioni, per cercare un comune codice di comunicazione. E ci si immagina in una situazione analoga e sembra quasi di impazzire. Ad aiutare l'insolita coppia solo la cognata di Roberto, che pur non parlando una parola di cinese, se la ingegna con la sua umanità e con il senso dell'accoglienza porteño per far sentire Jun a casa; c'è anche un giovane cinese, che consegna le pizze a domicilio e che di tanto in tanto fa da interprete tra i due protagonisti del film, gettando un ponte di dialogo nella loro strana convivenza.
Un cuento chino fa anche uso di umorismo, strappa un sorriso divertito varie volte e conta sull'interpretazione come sempre impeccabile di Ricardo Darin e su quell'autentica rivelazione che è Huang Sheng Huang, il giovane attore scelto dal regista dopo un casting tra i cinesi di Buenos Aires. Sono loro due a rendere questo cuento chino, in entrambi i significati che l'espressione ha in spagnolo, assolutamente gradevole e credibile e fanno venire voglia di seguirli fino alla fine del loro viaggio. Perché tutti sappiamo, sin dall'inizio, che dalle convivenze più strane nascono le migliori amicizie e tutti immaginiamo che dietro il carattere scostante di Roberto e dietro la malinconia di Jun ci devono essere grandi dolori. Quello che non ci aspettiamo è che il loro incontro sia come la chiusura di un cerchio.
Un cuento chino si trova anche su Internet, ma quando uscirà in Italia, non dubitate, andate al cinema a vederlo.