domenica 25 marzo 2012

Il dramma dell'Andalusia al voto: il PSOE abbandonato anche dallo storico bastio

L'Andalusia e le Asturie scelgono oggi il loro nuovo presidente, in quelle che sono, e non è la solita retorica, le elezioni locali più importanti degli ultimi anni. Nelle Asturie è in corso una resa dei conti interna alla destra, tra la cupola del PP, rappresentata dalla candidata Mercedes Fernandez, e il ribelle ex Ministro Francisco Alvarez Cascos, che, non essendo stato candidato dal PP, si è creato un proprio partito, Foros Asturias, con cui ha vinto le elezioni del 22 maggio; in sette mesi di Governo si è inimicato mezzo Principato, non è riuscito a elaborare un bilancio convincente ed è stato costretto a convocare elezioni anticipate; di questa lotta interna potrebbero approfittarne PSOE e IU e i socialisti potrebbero tornare alla guida della regione, in coalizione con la sinistra. Se così fosse, le Asturie sarebbero l'unica Regione nelle mani del PSOE, insieme ai Paesi Baschi, dove i socialisti governano con i conservatori per fare da argine al nazionalismo basco.
L'Andalusia è ormai data per perduta e il dubbio è solo se il PP otterrà o no la maggioranza assoluta. Javier Arenas, al suo quarto tentativo d'assalto al Palacio de San Telmo, viene dato abbondantemente per favorito sull'attuale inquilino, José Antonio Griñán, in tutti i sondaggi; gli ultimi danno il PP al 45% con il PSOE fermo intorno al 35% e la maggioranza assoluta a un passo. La cosa certa è che chiunque vinca stasera a Siviglia, causerà la fine della carriera politica per l'altro: Griñán ha annunciato che in caso di sconfitta tornerà all'università, Arenas difficilmente potrebbe candidarsi per una quinta volta, dopo quattro sconfitte consecutive.
E' una triste situazione, quella che sta vivendo la più grande Comunidad Autónoma spagnola. Socialista nel suo DNA, è stata governata per 30 anni dal PSOE, con innegabili progressi sociali ed economici, ma anche con un sistema clientelare a cui non sono estranei corruzione e nepotismo. El Mundo e i giornali della destra in questi mesi hanno rivelato numerosi scandali che toccano da vicino i vertici del PSOE: dai figli dell'ex presidente della Junta de Andalucia Manuel Chaves piazzati in aziende per le quali hanno fatto efficace lobby agli EREs, i falsi licenziamenti serviti per deviare fondi pubblici e garantire prepensionamenti a chi non ha mai lavorato.
Il sistema clientelare del PSOE è stato efficacemente raccontato ieri da El Mundo, con i numeri della mastodontica macchina burocratica: "L'apparato è stupefacente. Tutto è superlativo: 13 assessorati, 96 delegazioni provinciali, 263 alte cariche nominate con totale discrezione, 255 imprese pubbliche con 5 miliardi di spese, 10 università pubbliche, 51 consorzi metropolitani di trasporto o risanamento delle acque, 4500 veicoli ufficiali e 38mila linee telefoniche contrattate, con un costo mensile di 4,2 milioni di euro per la Giunta". Non c'è famiglia andalusa che non abbia un proprio membro impiegato in qualche amministrazione pubblica e non c'è giovane che non sogni, nella disoccupazione endemica della Comunidad, un impiego nell'amministrazione pubblica, non tanto tramite concorso quanto tramite enchufe, raccomandazione, anche in Spagna il miglior sistema per trovare lavoro.
A volte mi chiedo se il bilancio di 30 anni di socialismo a Siviglia e dintorni sia così fallimentare come la destra ama descriverlo. E nei momenti di crisi, come questo che la Spagna sta vivendo, con la rabbia e l'indignazione a fior di pelle, è facile dire di sì, che è stato un disastro. Ma non sarebbe corretto. L'Andalusia è la regione con i maggiori ritardi storici: il suo sistema latifondista, che non è mai stato intaccato (ancora oggi la Duchessa d'Alba e la Duchessa di Medina Sidonia sono le maggiori proprietarie terriere della regione), ha sempre impedito uno sfruttamento più razionale dell'agricoltura, avendo come conseguenza la povertà endemica e l'espulsione di centinaia di persone dalle campagne (con conseguente emigrazione verso Madrid, Catalogna ed Europa); il franchismo non ha mai migliorato le infrastrutture: la Valle del Guadalquivir, con città storiche come Córdoba, Siviglia e Cadice, è stata collegata con un'autostrada solo in democrazia, grazie ai fondi europei, il collegamento Est-Ovest, da Huelva a Granada, è arrivato solo in democrazia, idem l'autostrada lungo la Costa del Sol, con tutto quello che significa per i trasporti, i commerci e lo sviluppo economico.
I socialisti hanno dotato la regione di infrastrutture moderne (il primo AVE, treno ad alta velocità spagnolo, è stato il Madrid-Siviglia, ancora oggi uno dei più utilizzati), le hanno dato uno dei sistemi sanitari più moderni, in grado di competere con Barcellona e Valencia per ricerca e operazioni d'avanguardia, hanno favorito lo sviluppo dei poli economici di Málaga e di Siviglia, motori dell'intera regione. Non sono riusciti però a creare un tessuto imprenditoriale in grado di assorbire giovani sempre più preparati e di superare la storica ed endemica disoccupazione, vero dramma dell'Andalusia (attualmente Cadice è la provincia con il maggior tasso di disoccupazione di Spagna, il 32% e la disoccupazione giovanile andalusa è la più alta di Spagna, al 45%), accettando lo smantellamento dei poli minerari e delle industrie navali. La colpa socialista è non aver affrontato le vere cause dei ritardi sociali ed economici e di aver offerto palliativi, come i programmi assistenziali o l'ampliamento dell'amministrazione pubblica, che hanno nascosto ma non risolto i problemi dell'Andalusia. In fondo, a pensarlo con freddezza, nonostante l'Andalusia conti numerose imprese e gruppi leaders nell'agricoltura o nelle nuove tecnologie, continua a essere la regione della Semana Santa e delle spiagge della Costa del Sol, non è riuscita a scostarsi dalla sua immagine turistica tradizionale, che è un modo per attirare investimenti alternativi e non affidare il proprio futuro alla speculazione edilizia sulle coste, all'andamento della Semana Santa o al fascino che esercita l'eredità islamica.
La regione ha urgente bisogno di un cambio di Governo. Lo sanno tutti. Lo esige la democrazia, che non esiste senza alternanza, e 30 anni di monocolore sono troppi. Lo esige il rinnovamento dell'entusiasmo e dei programmi, che dopo 30 anni non possono essere gli stessi. Lo esige il socialismo, ancora legato alla generazione di Felipe González e incapace di rinnovare la propria cupola: la campagna elettorale è stata chiusa da Griñán, con Felipe González e Alfredo Pérez Rubalcaba; non solo tutti uomini, nonostante la proclamata lotta per la parità dei socialisti, ma anche tutti al di sopra dei 60 anni, troppi per un partito abituato a rinnovarsi a ogni generazione e ad avere leaders 40enni.
E però, come fare? Il DNA andaluso è di sinistra. E' una terra che per ribellarsi ai latifondi e alle ingiustizie sociali conseguenti ha sempre guardato a sinistra e, addirittura, al movimento anarchico, che ha avuto sempre un certo successo nelle campagne. E' una terra che non appena è stata libera di scegliere si è ribellata ai señoritos e ha votato sempre socialista, nonostante e contro tutto: anche nella debacle del 20 novembre, quando i socialisti hanno perso in tutte le province spagnole, Siviglia è rimasta fedele, unica in Spagna con Barcellona. E' una terra che guarda sempre con sospetto alla destra, ricordando la durezza del franchismo e i ritardi storici di cui è stata causa.
Come ottenere il rinnovamento della regione se non votando per il PP? E come votare per il PP, che controlla già il Governo centrale, tutte le Comunidades Autónomas, meno l'Andalusia (nei Paesi Baschi governa in coalizione con il PSOE, in Catalogna garantisce la sopravvivenza del governo nazionalista), tutte le grandi città, comprese, per la prima volta nella storia, anche quelle andaluse? E cosa sarà dell'Andalusia, se dovesse mai rimanere un'isola rossa nel mare conservatore della Piel de Toro? Qui sta il dramma e il dubbio andaluso. Qui sta il dramma del PSOE, che ha nell'Andalusia il suo ultimo bastione e l'ultimo argine al potere conservatore.
A Siviglia è difficile trovare qualcuno che sia ancora disposto a votare per il PSOE. Ma è anche difficile trovare qualcuno disposto a votare per il PP. A parte i militanti e gli attivisti di entrambi i partiti, ovviamente. Forse in Andalusia, più che altrove, si respira il desencanto della Spagna di questi anni: la crisi economica, la disoccupazione endemica, le previsioni fosche, la maledizione di dover contare sempre sulla Semana Santa e le spiagge per poter sopravvivere non danno grandi speranze, anche se como Sevilla no hay otra, lo stile di vita andaluso è invidiato e l'orgoglio per quest'identità sempre sospesa tra tradizione e modernità aiutano a sentire meno la pena. Ed è in Andalusia, più che altrove, che si vive il dramma della Spagna progressista, che non vuole arrendersi allo tsunami del potere conservatore e che, però, non sa offrire valide alternative. Anche perché si è affidata a dirigenti inadeguati e mediocri. Che le Vergini che tanto spazio hanno nella vita andalusa, ispirino come meglio possono gli elettori d'Andalusia, questa domenica.