venerdì 20 luglio 2012

#siamotuttispagnoli, l'hashtag che unisce gli italiani e gli spagnoli

Le manifestazioni che ieri hanno agitato 80 città spagnole, portando in piazza centinaia di migliaia di persone, hanno colpito l'immaginario del Twitter italiano. Stamattina ha impazzato l'hashtag #siamotuttispagnoli, con cui migliaia di utenti italiani hanno voluto manifestare simpatia e solidarietà agli spagnoli.
Tweets di ammirazione, perché "gli spagnoli hanno le palle per scendere in piazza" e noi "le rivoluzioni le facciamo su Twitter". Tweets con battutacce sulla solita finale degli Europei, perché "il fatto che siamo tutti spagnoli lo dimostra che non abbiamo opposto resistenza" o perché "gli spagnoli hanno battuto le merde azzurre" (la classe e lo stile sono sempre apprezzabili). Tweets che chiedono una rivoluzione europea e che riflettono sullo stato di apatia degli italiani.
Ed è questo l'interessante. L'accusa ai compatrioti di essere rivoluzionari da poltrona. Io non so se sia così: la situazione italiana è piuttosto diversa da quella spagnola. Per quanto un po' tutti tendiamo a dire che i cittadini spagnoli stanno pagando una crisi che non hanno creato, non è esattamente così. Gli spagnoli hanno davvero vissuto al di sopra delle loro possibilità: hanno acceso mutui che non potevano permettersi per pagare case che non potevano comprare, auto che non potevano sognarsi, vacanze che non potevano immaginare. L'esposizione delle banche nel settore immobiliare, il vero grande problema dell'economia spagnola, quello che ha causato l'implosione, è dovuta al fatto che milioni di persone non possono più restituire i soldi dei mutui che hanno acceso. In Spagna un po' tutti sono responsabili dello stato di cose dell'economia (il che non significa che debbano pagare solo le famiglie che hanno acceso mutui impossibili e che la debbano scampare i banchieri che hanno permesso operazioni rischiose).
E' vero, come ti ripetono in tanti, che né la Sanità, il fiore all'occhiello dello Stato Sociale spagnolo, né la scuola né il sistema pensionistico sono più cari che nel resto dell'Europa, anzi la percentuale di spesa sul PIL è più bassa della media europea. Il messaggio che il Governo sta cercando di far passare, per smantellare i servizi sociali, è che la Spagna ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità e non può permetterseli. Ma in realtà lo Stato Sociale spagnolo non ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità ed è sempre stato sostenibile. Adesso viene smantellato a causa del deficit del settore privato, che sì ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità e sta scaricando i propri debiti sul pubblico. Il messaggio che il Governo sta cercando di far passare, con la complicità dei media della destra e dell'Europa liberista, è che lo Stato Sociale non sia sostenibile perché non ci sono soldi e perché è troppo caro, ma non è così. Le follie le hanno compiute le famiglie spagnole e le banche private spagnole, non il settore pubblico del Paese. E quelle follie le sta pagando lo Stato Sociale, mano a mano smantellato per rastrellare risorse ed evitare che le classi agiate partecipino al risanamento dei conti.
Fino a quando non si sottolineerà questo, qualunque analogia con l'Italia, che non ha avuto una bolla immobiliare di queste dimensioni, che ha sempre avuto un'economia molto più diversificata di quella spagnola (il suo manifatturiero è il secondo in Europa, dopo quello tedesco) e che ha uno dei più alti tassi di risparmio dell'Occidente, grazie alle sue famiglie, non starà in piedi. L'Italia non è la Spagna e non è una frase fatta, tipo quella con cui Zapatero prima e Rajoy poi, cercavano di convincere l'opinione pubblica che "la Spagna non è la Grecia". La Spagna ha molte ragioni per scendere in piazza, l'Italia no (non ancora, per lo meno). La disoccupazione, l'impoverimento visibile, la mancanza di prospettive, in Spagna hanno dimensioni che in Italia non si conoscono e, si spera, non si conosceranno.
Una delle cose che mi hanno sempre colpito del movimento degli indignados è l'origine e l'incubazione nelle reti sociali, dove per mesi e mesi si è discussa e si è preparata la protesta che sarebbe poi tracimata nelle strade il 15 maggio. Nel periodo delle acampadas, quando mezza Europa progressista si era innamorata degli indignados, avevo letto in qualche pagina di Facebook creata per scimmiottare in Italia quel movimento, qualcosa tipo: "Sì, scendiamo anche noi in piazza per protestare. Ma per quale ragione?" Come si organizza una protesta se non si sentono ragioni per protestare?! L'Italia ha anche questo problema: la maggior parte delle persone non saprebbe neanche perché protestare, manca della cultura politica sufficiente, manca di senso critico per rendersi conto del deficit democratico in cui ha vissuto per vent'anni, manca della vivacità intellettuale spagnola, essendo stata anestetizzata dal berlusconismo (ebbene sì, non sia sottovalutato).
Non solo. In Italia c'è l'ossessione di portare ogni corteo a Roma, in Spagna manifestano ovunque, garantendosi una maggiore partecipazione cittadina: quanti torinesi, per dire, sono disponibili ad andare a Roma a manifestare e quanti lo farebbero a Torino, se ci fossero manifestazioni in tutta Italia? Non sembra che nel nostro Paese sia maturata questa idea di scendere davvero tutti in piazza, per protestare in tutto il territorio, senza dover per forza andare a Roma, con le spese di denaro e di tempo che non tutti sono disponibili (giustamente) a sostenere. Questo senza considerare che la maggior parte degli italiani, uscita dall'incubo del berlusconismo, ha un'opinione sostanzialmente favorevole all'azione del Governo Monti, pur con tutte le sue lacune e la sua mancanza di equità, perché pensa alla maggioranza sgangherata che lo sostiene in Parlamento, al posto ritrovato in Europa, come Paese fondatore della UE, alla credibilità riconquistata di un Presidente del Consiglio che non si mette a fare considerazioni estetiche sulla Merkel e sulle segretarie, credendosi Brad Pitt. Ed è difficile protestare contro un Governo che sostanzialmente si approva, sapendo che le misure che sta adottando sono in ritardo di vent'anni (e complimenti a chi l'ha permesso, votando come ha votato per vent'anni). L'Italia non è la Spagna, sono diverse le situazioni, gli stati d'animo, le idiosincrasie.
La cosa interessante di #siamotuttispagnoli è che è diventato TT anche del Twitter spagnolo, che lo ha utilizzato per ore non solo per ringraziare la solidarietà italiana, ma anche per veicolare informazione. Incredibilmente #19J, l'hashtag che doveva offrire le informazioni sui cortei di ieri non è mai stato tra i TT di Twitter, c'è chi parla apertamente di censura. Di qui l'uso di #siamotuttispagnoli per dare visibilità alle manifestazioni di ieri, alle reazioni dei media e dei politici e alle idee.
L'impressione è che in questi anni gli spagnoli abbiano usato la Grecia come uno specchio in cui guardarsi (e abbiano preso l'Islanda come modello), abbiano studiato cosa è successo ad Atene e dintorni, per evitare che si ripetesse nel proprio Paese, e che sentano davvero ogni ingiustizia in corso come una ferita sulla propria pelle, anche se tocca i greci (quante bandiere greche, invece, nelle scarse manifestazioni italiane? e quanti messaggi pappagalleschi stile "hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità, adesso che paghino", letti nei commenti sotto gli articoli italiani sulla Grecia e scritti con l'ignoranza dei primi della classe, privi di alcuna voglia di approfondire?). Gli italiani, persino in #siamotuttispagnoli sembrano avere una sorta di autocompiacimento anche per la loro apatia. Noi siamo i soliti piacioni, loro stavolta non ci stanno a essere quelli che pagano il conto per tutti (quante volte mi sarà stato detto che la Spagna è stata l'unico grande Paese europeo che le grandi potenze non hanno voluto liberare, lasciandola sprofondare in 40 anni di franchismo?). Un'altra differenza.