p style="text-align: justify;">"Il trailer è frenetico e crea dipendenza. Un tuffatore salta in mare da una roccia, mentre un lottatore mascherato finge di calpestare la testa del rivale. Una piramide contempla il crepuscolo della selva e un grattacielo affaccia il suo volto cristallino in mezzo allo smog della capitale. Mentre una folla umana collisiona all'attraversare la strada, un bambino canta una canzone in Náhuatl (la più importante delle lingue indigenas ancora parlate nel Messico NdRSO) nel mezzo di una landa. Gente umile che convive con la natura. Gente sofisticata che malvive in una città mostruosa. Suoni, cuore, spiritualità, speranza... Qualunque documentario sul Messico inizierebbe con una di queste immagini folkloristiche. Questo esperimento musicale scommette su tutte, per mostrare la bellezza nel contrasto, come un murale di Diego Rivera"
Sono le entusiastiche parole di El Pais per questo documentario, Hecho en México, presentato la scorsa settimana al MexFest di Londra. E il trailer è un caleidoscopio di questo Messico dalle mille anime, nei suoi colori chiassosi, negli sguardi sorridenti dei suoi bambini. Sono belle le riflessioni che accompagnano queste travolgenti immagini messicane: si parla della necessità di convivere, riconoscendo l'esistenza di un Messico multiculturale. "Non eravamo preparati a riconoscere che siamo 68 popoli. Credo che oggi siamo sì preparati, finalmente, per riconoscere questa diversità culturale del Paese" dice una delle voci narranti. Si parla della differenza tra religione e spiritualità, perché "la religione ci separa, la spiritualità ci unisce tutti" aggiunge un'altra delle voci. "Dobbiamo riconoscerci come persone, senza cercare etichette né classificazioni. Tutti abbiamo cuore, anima, vita, sogni, sentimenti, speranze" dice un'altra ancora.
E' bello che i messicani inizino a riconoscere che il loro Paese, come tale, non esisterebbe se uno solo dei suoi popoli e delle sue culture non avesse il proprio spazio. La strada è ancora lunga per un'integrazione che non significhi sopraffazione, ma convivenza di diversità, però il cammino sembra iniziato. E' interessante questa ricerca di un codice comune, tra le differenze religiose e culturali che il Messico continua a conservare a 200 anni dalla sua nascita e a 500 dalla sua conquista europea. Hecho en México, Prodotto nel Messico, è una frase che è un bell'inizio.
Mi fa pensare ai messicani che ho conosciuto, al loro patriottismo feroce, all'orgoglio indistruttibile di essere messicani e al loro amore tenero e tenace per la loro terra. Mi viene in mente Alejandro Fernández, perché mi immagino il suo sguardo scuro e orgoglioso che dice, guardando fisso la telecamera, Hecho en Mexico! e aggiungi qualcosa, adesso. Mi viene in mente Gael Garcia Bernal, che ti pianta in faccia i suoi occhi chiari per parlarti dell'anima ancora ribelle e indignata di questo Paese, nonostante tutte le rivoluzioni e le utopie fallite. Mi viene in mente Maria Felix, la Doña, nella cui sensualità e nel cui orgoglio si sono identificate milioni di donne messicane, dalla vita ben più miserabile e violenta, lontana anni luce dal glamour della Doña.
In Hecho en México riflettono sulla mexicanidad, su quello che rappresenta per ognuno, sulle sfide che la aspettano, sul senso di identità dei messicani, ovunque si trovino (perché sarà che di tutti i popoli che sono arrivati negli USA gli unici che hanno saputo imporre la propria lingua, il proprio star-system e la propria cultura sono stati i messicani, seguito a ruota dal resto della comunità ispanica?), intellettuali come Elena Poniatowska, attori come Diego Luna, cantanti come Chavela Vargas, Alejandro Fernández, Julieta Venegas.
"Non era altro che un documentario sulla musica messicana, ma ha finito con il riguardare cosa pensiamo noi messicani della nascita, della morte, della resistenza, delle frontiere, delle dipendenze, tutto visto da una prospettiva molto messicana" ha detto Lynn Fainchtein, la produttrice esecutiva del documentario. Hecho en México è stato girato in 15 mesi, percorrendo tutto il territorio della Repubblica, ed firmato dal regista inglese Duncan Bridgeman. "Non pensavo di andare in Messico, ma è stato il produttore esecutivo Bernardo Gómez , che ha visto uno die miei film e mi ha chiesto di andare in Messico per fare qualcosa di bello. E lì ho visto l'orgoglio che hanno i messicani di essere messicani e il modo in cui trattano la vita. In Inghilterra è diverso, il passato è andato, nel Messico è vivo" ha spiegato Bridgeman.
Ha ragione El Pais: se Hecho en México è così travolgente ed emozionante come il trailer promette, è imperdibile. Dal 21 settembre sarà nei cinema messicani, magari arriverà anche su Internet.
Da youtube, il trailer