domenica 9 settembre 2012

Catalogna e Paesi Baschi: l'indipendentismo come via di fuga dalla crisi?

L'11 settembre non è solo New York e Santiago del Cile. E' anche Barcellona, l'orgoglio e l'identità catalani.
L'11 settembre 1714, durante la Guerra di Successione Spagnola, Barcellona cadeva in mani borboniche, dopo un assedio di oltre un anno e, secondo i nazionalisti, per la Catalogna iniziava il giogo della Spagna sulle sue aspirazioni indipendentiste. Con l'instaurazione della democrazia e delle Regioni, la Catalogna ha scelto l'11 settembre come propria festa regionale, el Dia de Cataluña, o più popolarmente, la Diada.
Mancano solo due giorni alla celebrazione della Diada 2012, ma le manifestazioni nazionaliste che indicano la sua vicinanza sono iniziate già da tempo. L'ultima, in ordine di tempo, è stata la sostituzione delle insegne di Felipe V, il re che riconquistò Barcellona, con le strisce della senyera, la bandiera catalana, nello scudo della facciata del Parlamento catalano. Ma già da giorni i nazionalisti invitano a partecipare alla manifestazione dell'11 settembre a Barcellona, che quest'anno sembra essere più indipendentista che mai, avendo scelto come slogan: Catalogna, nuovo Stato d'Europa. Persino il presidente della Generalitat Arturo Mas ha lasciato ogni ambiguità e ha detto che, se non fosse per il suo ruolo istituzionale, parteciperebbe al corteo.
La Catalogna sta diventando più indipendentista che mai e Catalunya is not Spain, la frase che sembrava solo uno slogan folkloristico, da esibire al Camp Nou nelle partite internazionali del Barcelona e da ripetere ai turisti stranieri, sta diventando un concetto che persino Convergencia i Uniò, il partito nazionalista che ha governato per decenni la Regione, inizia a usare in modo meno pragmatico e più minaccioso. Il nazionalismo, che è sempre stato parte della società catalana, guarda con sempre maggiore fervore all'indipendentismo. Madrid non capisce le ansie di autonomia di una delle sue regioni più ricche, lo ha dimostrato con il fallimento dell'Estatut, che Zapatero aveva promesso sarebbe stato così come i catalani avrebbero voluto, salvo poi negoziarlo con CiU quando la deriva nazionalista della strana alleanza tra socialisti e nazionalisti indipendentisti lo ha reso ingovernabile e pericoloso, e quindi abbandonarlo alle sorti del Tribunale Costituzionale quando il PP lo ha impugnato. Madrid sempre matrigna e traditrice, mai amica, di Barcellona. E' dall'ascia che il Tribunale Costituzionale ha abbattuto sulle aspirazioni autonomiste della Regione che l'indipendentismo ha trovato sempre maggiore spazio in Catalogna, anche nella rappresentazione politica in Parlamento, dove ci sono adesso due partiti apertamente indipendentisti, ERC (Sinistra Repubblicana Catalana) e SI (Solidarietà Catalana per l'Indipendenza). Ed è la crisi economica che ha riproposto l'indipendentismo, dopo aver portato la Regione sull'orlo della bancarotta, tanto da obbligarla a dimenticare l'orgoglio e chiedere il rescate a Madrid, per poter continuare a pagare i propri funzionari. La Catalogna ha sempre lamentato di pagare a Madrid più di quello che riceve; il ritorno in Catalogna delle tasse pagate dai catalani è sempre stato uno dei cavalli di battaglia dei nazionalisti.
"Se il denaro dei catalani rimanesse in Catalogna non dovremmo chiedere il rescate" hanno detto nei giorni scorsi da CiU, lasciando intravedere, neanche troppo implicitamente, che se la Catalogna fosse indipendente, sarebbe un Paese più benestante e con una crisi controllabile. Così l'indipendenza è diventata una delle possibili soluzioni alla crisi e questa Diada è la prima dimostrazione di forza. A cui potrebbe seguire, prima o poi, un referendum organizzato dalla stessa Generalitat (ERC ha proposto una dichiarazione unilaterale di indipendenza da votare nel Parlament nei prossimi mesi); i dati del Centre de Estudis d'Opinió de la Generalitat sembrano essere incoraggianti: il 51% degli elettori oggi voterebbe sì a un referendum per l'indipendenza della Regione, mentre il no sarebbe appannaggio del 21%.
L'indipendenza è una delle opzioni che si valutano anche nei Paesi Baschi, l'altra grande regione nazionalista di Spagna. Il 21 ottobre si terranno le elezioni regionali basche, le prime dopo la rinuncia alla lotta armata dell'ETA ed è il nuovo scenario di pace che, insieme alla crisi economica, occupa il dibattito elettorale. Su Rotta a Sud Ovest si è già riportato più volte come, secondo il primo sondaggio, e finora unico, le due principali forze nazionaliste, il PNV e Bildu, otterrebbero il 61% dei voti. Il PNV, che ha governato la regione per 30 anni e che è stato, con CiU, il principale alleato di tutti i governi nazionali non sorretti dalla maggioranza assoluta del partito vincitore delle elezioni, ha sempre subito la concorrenza degli indipendentisti, in lotta per dimostrare chi fosse più basco tra i baschi. Da questa concorrenza è nato il fallito piano Ibarretxe, lo Statuto che, una decina d'anni fa, doveva garantire alla Regione un'ampia autonomia da Madrid e che lasciava presagire l'indipendenza. Con l'ascesa di Bildu, diventata in pochi mesi la seconda forza politica della Regione e, in alcune aree la prima, il tema indipendentista è diventato uno dei primi nell'agenda politica della regione. L'altro è la crisi economica, che costringerà a tagliare la spesa pubblica e a rivedere lo Stato Sociale regionale.
Anche i baschi vedono nell'indipendenza una soluzione possibile alla crisi economica; non più minacciati dall'ETA, non più soggetti alle imposizioni fiscali di Madrid, finalmente dotati dell'autodeterminazione a cui aspirano da sempre, potrebbero godere del loro successo e trasformarsi in uno dei tanti piccoli Stati benestanti d'Europa, sul modello del Benelux.
La prima prova di forza di questo indipendentismo basco saranno le elezioni del 21 ottobre, che non a caso preoccupano e spaventano Madrid. Cosa succederà se PNV e Bildu otterranno la maggioranza assoluta? Sapranno dimenticare la "guerra civile" di queste settimane, messa in atto per conquistare l'egemonia sul movimento nazionalista, e sapranno lavorare insieme per arrivare a un referendum per l'indipendenza? Sapranno usare la crisi economica per esigere a Madrid  maggiore autonomia e poteri regionali che, senza arrivare all'indipendenza, quasi la garantirebbero?
E cosa succederebbe se, vista l'implosione e il fallimento dell'attuale Stato delle Comunidades Autonomas, costrette a chiedere l'intervento di Madrid per risanare i propri bilanci (saprà mai l'Europa di quanto ha bisogno la Spagna, per rimettere, a posto i suoi conti?), i nazionalisti catalani e baschi si alleassero, per cercare insieme la secessione, facendo pinza sul Governo? Un Governo fragile, guidato da un leader indeciso e ormai inviso nel suo stesso partito, ostaggio delle proprie intransigenze della scorsa legislatura, quando la cosa più importante non era il senso dello Stato e della responsabilità quanto la cacciata di José Luis Rodriguez Zapatero. Un Governo, però, che è destinato ad affrontare questi scenari e che deve dimostrare che Madrid è in grado di capire le aspirazioni di Barcellona e di Vitoria e che, addirittura, è capace di reinventarsi e reinventare la Spagna.
A ottobre uscirà un libro che sembra sarà molto utile per intendere il movimento nazionalista catalano, si intitola Victus e racconta i giorni del 1714 della caduta di Barcellona, che portarono all'assestamento definitivo dello Stato borbonico e spagnolo. L'autore è Albert Sánchez Piñol e racconta la sconfitta dei catalani austriacizzanti con lo sguardo di un personaggio storico, Martí Zuviría, ormai anziano ed esiliato a Vienna. A lui l'autore fa dire parole sul rapporto tra catalani e spagnoli che sono ancora valide e che esprimono un concetto che in questi giorni inquieti sembra più reale che mai: España no existe; no es un sitio, es un desencuentro. La Spagna non esiste, non è un posto, è un incontro mancato. La Spagna come incontro mancato è un'idea che, 500 anni dopo la Reconquista e con la peggiore crisi economica mai vista, fa male, fa malinconia e dovrebbe essere uno sprone tremendo, per approfittare di queste difficoltà per rinegoziarla e renderla finalmente un incontro, anche con catalani e baschi, nelle forme che essi sceglieranno. Ma vi lascio il frammento di Victus, che merita una riflessione e che ha anticipato ieri elperiodico.com: "Per i catalani, la Spagna era solo il nome che si dava a una confederazione libera di nazioni; i castigliani, invece, nella parola Spagna vedevano il prolungamento imperiale del braccio di Castiglia. O detto in altro modo, per i castigliani la Spagna era il pollaio e la Castiglia il suo gallo; per i catalani la Spagna indicava solo il palo del pollaio. Da qui la tragedia. Di fatto, quando un catalano e un castigliano usavano la parola Spagna si stavano riferendo a due idee opposte, per questo gli stranieri non capivano niente di niente. Vedete quello che vi dicevo? in realtà la Spagna non esiste; non è un posto, è un incontro mancato".