sabato 20 ottobre 2012

El País licenzia un terzo dei giornalisti per non tagliare gli stipendi dei dirigenti

Quando io ero adolescente, negli anni 80, si andava al liceo con la Repubblica, per dimostrare che si era progressisti, curiosi e aperti. la Repubblica è l'unico quotidiano italiano che, nato nel dopoguerra, ha saputo imporsi e diventare uno dei più influenti e venduti, accanto agli storici Correre della Sera e La Stampa. Ci è riuscita grazie a un'idea progressista dell'Italia, in cui il libero mercato regolato conviva con politiche sociali che favoriscano l'uguaglianza delle condizioni di partenza, per dare poi spazio al merito. Ci è riuscita grazie alle menti più brillanti del giornalismo progressista italiano, Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca, Miriam Mafai prima, Federico Rampini, Conchita De Gregorio poi.
La stessa formula, in Spagna, è stata adottata da El País. Di fatto ho sempre considerato El País come la Repubblica di Spagna e Jesús Polanco, il suo carismatico fondatore, mi ha sempre ricordato un po' Eugenio Scalfari. El País è stato fondato nel 1976 e ha gli stessi anni della Transición. Potremmo dire che ha accompagnato gli adolescenti spagnoli di quegli anni verso un'idea moderna e socialista del loro Paese, legata ai valori progressisti, alla giustizia sociale, all'uguaglianza delle opportunità. In un Paese che usciva da una delle peggiori dittature che il XX secolo europeo possa ricordare, l'arrivo di un quotidiano fresco, irriverente, attento alle pulsioni della cultura popolare, ma anche dotato di idee politiche moderne, laiche, progressiste, era stato un'ulteriore segnale di speranza. El País è stato il giornale della movida, dell'Europa, di Felipe González e degli anni 80. Il giornale del momento migliore della storia della giovane democrazia spagnola, quando era ancora tutto da fare, quando era ancora tutto possibile, quando era facile credere che la Spagna sarebbe stata bella, ricca e invidiabile.
Bene. Dimenticate quel giornale. Quell'El País della movida, che ha fatto innamorare, noi adolescenti degli anni 80, della Spagna, che ci faceva sentire parte della Spagna invidiabile, comprandolo non appena scesi a Barajas, non esiste più.
Non esiste più da molto tempo e chiunque lo legga lo sa. Quante volte, negli anni di José Luis Rodriguez Zapatero, ci siamo sentiti in imbarazzo al leggere gli attacchi al premier, fatti in base alla sua disponibilità di varare una legge che favorisse gli interessi del Grupo Prisa, a cui il quotidiano appartiene, nel mercato radio-televisivo? Come se il valore e i valori di un Governo dipendessero dalla sua volontà di difendere gli interessi di quel quotidiano. E quante volte ci siamo sentiti a disagio al leggere gli attacchi a Presidenti di Governi sudamericani, attenti alla giustizia sociale, ma non sufficientemente agli interessi del Grupo Prisa in quei mercati?
El País è stato il primo quotidiano a convincermi di una cosa che sembra banale: un quotidiano non può appartenere agli imperi mediatici, le cui attività superino le frontiere della carta stampata, perché inevitabilmente non si curerà più degli interessi dei lettori e si occuperà di quelli dei suoi padroni, manipolando l'opinione pubblica (e, dunque, venendo a mancare al suo dovere fondamentale, l'informazione).
E adesso El País tradisce ancora di più il quotidiano irriverente e credibile di 30 anni fa, con una notizia che indigna chiunque sia di sinistra. Si prepara a licenziare un terzo dei suoi giornalisti, ma non ad abbassare gli stratosferici guadagni dei suoi dirigenti, il presidente del Grupo Prisa Juan Luis Cebrian in primis. Lo aveva anticipato qualche mese fa Enric González, una delle firme più prestigiose e più lette del quotidiano (tempo fa conoscevo una persona che lo comprava solo per leggere i suoi articoli). "Un qualunque giorno, in una qualunque impresa, abbasseranno gli stipendi agli operai per finanziare la ludopatia borsatile dei loro padroni" aveva scritto in un articolo che la direzione gli ha censurato, considerando offensivo questo passaggio. Eppure è proprio quello che è successo a El País.
Il quotidiano madrileno non è in perdita, nonostante abbia perso il 43% dei suoi ingressi a causa della crisi economica. Di più, scrive el diario.es che negli ultimi 10 anni El País ha portato 500 milioni di euro di guadagni nelle casse del Grupo Prisa. Ma.
Juan Luis Cebrian, che è stato anche il primo direttore del quotidiano madrileno, ha compiuto alcune operazioni finanziarie sbagliate per ingrandire il Grupo Prisa e ha generato 5 miliardi di perdite. Un perfido ritratto del presidente di Prisa lo ha disegnato qualche giorno fa Maruja Torres, affilatissima firma del quotidiano, chiamata l'Oriana Fallaci di Spagna, per i suoi reportage di guerra: "La storia di El País" ha detto all'inaugurare l'anno Accademico della Facoltà di Comunicazione dell'UAB "è quella di Saturno che divora i propri figli. Cebrián non ha mai accettato di non essere figlio carnale di Polanco. E' rancoroso e snob, ma uno snob senza coscienza. Diceva che stava salvando il giornalismo, che c'era un cambio di paradigma. Bugia. Ha perso 5 miliardi di euro giocando al capitalismo da casinò, comprando radio in Miami e televisioni latinoamericane che non valevano niente. Voleva essere uno squalo di Wall Street, ma è stato una sardinella, che ha fatto tutto male. Si è fregato i guadagni del lavoro di tutti noi nell'avventura del miglior quotidiano della democrazia spagnola. Cebrián è un vorrei ma non posso".
E come risolve le perdite causate dalle sue operazioni spericolate, il buon Cebrián? Licenziando 138 giornalisti, un terzo dei professionisti che lavorano nella redazione di El País. "138 giornalisti ben formati, che sanno di cosa parlano, con capacità critica di opporsi al sistema, saranno licenziati e sostituiti da gente docile, assorbita dal sistema dall'inizio e disposta a fare qualunque cosa per 800 euro al mese" denuncia Maruja Torres. Il talento, il merito e la professionalità eliminati per assicurarsi obbedienza, sottomissione e paura attraverso la precarietà. Lo trovate di sinistra?
Tra i giornalisti che se ne andranno c'è anche Enric González, che non è stato licenziato dal quotidiano, ma ha scelto di andarsene, per evidenti disaccordi con la direzione e ha chiesto di essere dunque inserito nel programma di licenziamenti.
E sì, potremmo anche chiederci dove siano andati a finire i valori progressisti di una testata che licenzia il personale per gli errori dei propri dirigenti. E ci potremmo anche rimanere male al vedere che il cantore della Spagna socialdemocratica si comporta come il Governo Rajoy, licenziando i più deboli, per proteggere i privilegiati e, dunque, dov'è al differenza tra i suoi valori e quelli conservatori? Ma non è tutto.
Il resto è che Juan Luis Cebrián guadagna 14 milioni di euro all'anno e che i fallimenti delle sue operazioni finanziarie non lo hanno spinto a tagliarsi lo stipendio, blindato anzi nei prossimi tre anni. "Non possiamo più vivere così bene come vivevamo" ha detto sfacciatamente ai giornalisti, annunciando il piano di licenziamenti. Qualche giorno fa su Twitter calcolavano che con il suo solo stipendio si potrebbero pagare 400 giornalisti, nella redazione di El País.
Ecco perché El País, tradito dal suo stesso primo direttore e dall'uomo che più dovrebbe amarlo, non è più lo stesso.