Antonio Banderas è stato nominato ieri Figlio Prediletto dell'Andalusia,
insieme ad altri esponenti della cultura e dell'economia che tengono alto il
nome della regione. La consegna di questo riconoscimento, in una cerimonia
solenne a Siviglia, è uno dei momenti più aspettati del 28 febbraio, il Dia de Andalucia, la
Giornata dell'Andalusia, con cui la Comunidad Autónoma celebra la sua identità
e la sua autonomia. Ad Antonio Banderas è toccato pronunciare, anche a nome
degli altri premiati, il discorso di ringraziamento.
E' stato un discorso emozionante, di parole semplici e orgogliose, per esaltare il lavoro di tutti i premiati, siano imprenditori, artisti, cineasti (tra di loro c'è anche Alberto Rodriguez, il regista sivigliano di Grupo 7). Nella parte finale è risultato carico di orgoglio e di animo per l'identità andalusa, una vera e propria dichiarazione d'amore dell'attore alla sua terra, che non ha lasciato indifferente nessuno. Inizia ricordando l'assassinio del 19enne Manuel José Garcia Caparrós, il 4 dicembre 1977, durante una manifestazione a favore dell'autonomia dell'Andalusia. Traduco questa parte finale, per chi ama l'Andalusia. Il discorso completo, davvero bello e appassionato, è, in .pdf, su elcorreoweb.es
E' stato un discorso emozionante, di parole semplici e orgogliose, per esaltare il lavoro di tutti i premiati, siano imprenditori, artisti, cineasti (tra di loro c'è anche Alberto Rodriguez, il regista sivigliano di Grupo 7). Nella parte finale è risultato carico di orgoglio e di animo per l'identità andalusa, una vera e propria dichiarazione d'amore dell'attore alla sua terra, che non ha lasciato indifferente nessuno. Inizia ricordando l'assassinio del 19enne Manuel José Garcia Caparrós, il 4 dicembre 1977, durante una manifestazione a favore dell'autonomia dell'Andalusia. Traduco questa parte finale, per chi ama l'Andalusia. Il discorso completo, davvero bello e appassionato, è, in .pdf, su elcorreoweb.es
"Il 4 dicembre 1977 partecipavo alle prove di un'opera di
teatro con i miei compagni del gruppo indipendente Dintel. Le facevamo in una
casa in rovina del barrio del Perchel. Avevo 17 anni, le tasche vuote, ma
l'anima piena di illusioni e progetti più o meno impossibili. A metà mattina si
iniziarono a sentire, a una certa distanza, gli echi di una moltitudine che poco
a poco si prendeva le strade del centro della nostra città. Le prove iniziarono
lentamente a perdere interesse, mano a mano che sentivamo l'urgenza e la
curiosità di vedere quale avvenimento storico si stesse tenendo a pochi metri da
noi. Vista la mancanza di concentrazione, il regista decise, con intelligenza,
di sospendere le prove e lasciarci andare, una decisione accolta con rumore da
parte di tutti i membri del gruppo.
Uscimmo da lì precipitosamente e ci unimmo al fiume di gente che avanzava con
aria più festiva che rivendicativa. Sorprendeva la quantità di persone che si
era data appuntamento per quella prima celebrazione del Dia de Andalucia e il
carattere allegro della manifestazione. Ricordo di aver visto molti bambini,
alcuni portati a spalle dai padri, così come gruppi di persone accompagnati da
una chitarra, che intonavano canti tipici della nostra terra. Rispetto ad altre
dimostrazioni di strada di cui ero stato testimone, quella aveva un elemento
che la faceva differente, sottolineato dai sorrisi sui volti di tutti, per
l'orgoglio di scendere in strada come andalusi, come popolo che si riconosceva
nelle sue idiosincrasie. Ma la festa non durò molto, poco dopo esserci uniti
alla manifestazione, 10, forse 15 minuti dopo, tutto cambiò. Il posto in cui ci
trovavamo era il Puente de la Prolongacion de la Alameda. Da quella posizione,
e nonostante gli anni passati, questo è quello che ricordo. Prima un dettaglio
insignificante, a cui ricordo di aver prestato attenzione. Una signora, con i
figli per mano, correva in senso contrario ai manifestanti. Al passare vicino
a noi la sentì dire "doveva succedere, doveva succedere". Pochi
secondi dopo, non molti, il numero di persone che iniziavano quella che
interpretai come una fuga, iniziavano lo stesso cammino, in direzione
contraria. I loro volti mostravano non sorrisi, ma paura. A partire da quel
momento, quello che ricordo è una serie di immagini confuse, e rapide, che
probabilmente hanno sofferto logiche imperfezioni, all'essere rimaste per molti
anni nella memoria. Luci azzurre delle camionette degli antidisturbi, corse
disperate, cadute, una bandiera con i colori della nostra terra caduta al suolo
e in cui si attorcigliavano i piedi di qualcuno che correva, un fumogeno tra la
gente che si spingeva, grida in mezzo alla nebbia, che prendeva la gola.
Non lo sapevo in quel momento, ma pochi metri oltre dove io mi trovavo, la vita
di Manuel José Garcia Caparrós era passata dal bianco e verde (i colori della
bandiera andalusa) della mattina al nero eterno dell'irreversibile, di quello
che non ha più soluzione. Era caduto abbattuto da uno sparo, che colpì il cuore
di tutti gli andalusi, tingendo di dolore un popolo che pochi minuti prima
cantava ilusionado l'inizio di un cammino verso un futuro che aveva
ostacoli, momenti chiari e scuri, vicissitudini, ma che era pieno di speranza.
Confesso di sentire un turbamento quasi soprannaturale all'avere prova di
quanto sia paradossale questo momento in cui mi trovo, rispetto a Manuel José.
L'essere stato a pochi metri da lui, quando si è trovato davanti ai suoi ultimi
pensieri, al suo ultimo sguardo a quest'Andalusia che franava intorno a lui, e
tornare a incontrare la sua memoria qui, il giorno in cui entrambi riceviamo il
titolo di Figlio Prediletto della nostra terra, è oggi per me motivo di
riflessione complessa e profonda. Scatena una valanga di domande a cui mi vedo
costretto a rispondere per rispetto a te e al prezzo che hai pagato per essere
sceso in strada, quella mattina del 4 dicembre, a difendere la libertà, il
nome della tua terra e la dignità della sua gente.
Manuel José, oggi so che quello sparo che ti ha ucciso avrebbe potuto
raggiungere chiunque vicino te. Avrebbe potuto raggiungere me e tutto quello
che da allora mi ha riguardato sarebbe stato cancellato. Le cose che ho visto,
la gente che ho amato, la figlia che ho avuto, le battaglie che ho vinto e
quelle che ho perso non sarebbero esistite. Questo è quello che ti è stato
rubato. Per questo oggi ti viene resa giustizia, per questo oggi la tua gente
ti vuole restituire quello che si è stato strappato e lo specchio davanti al
quale, pochi momenti fa ho promesso di spogliarmi, mi restituisce oggi la tua
figura. E mi piacerebbe chiedere il permesso alla tua famiglia, per dirti, in
questo giorno in cui entrambi siamo nominati figli prediletti della nostra
terra, fratello, dammi la mano e torniamo al Dia de Andalucia del 1977, e
completiamo quello che non è stato finito. Usciamo di nuovo per le strade della
nostra terra per gridare quello che non è potuto uscire dalla tua gola. Che
siamo un popolo che respira libertà. Che l'andaluso cammina senza paura di
perdere la sua identità, perché è saldata nella parte più profonda della sua
anima. Che tra l'essere e il non essere, l'Andalusia ha sempre scelto di
essere. Che riconosciamo la nostra imperfezione e in essa vediamo solo uno
stimolo per continuare a crescere. Che in questi giorni torbidi e confusi, non
possiamo correre il rischio di diventare quello che critichiamo. Che per vivere
la vita bisogna guardare in avanti, ma per capirla bisogna guardare indietro.
Per questo mi appoggio a te, Manuel José, e ti dico che in questi momenti difficili
l'Andalusia per me non è una regione o un popolo, un sentimento, un'idea o un
progetto. L'Andalusia è per me, in questi momenti, una necessità. La risposta
alle mie domande più trascendentali. Per questo torno e non mi separo mai del
tutto, perché al sentire il palpitare di questa terra, mi commuovo, capisco il ritmo
della vita e accetto la certezza della morte. Lo dico davanti alla memoria di
un uomo che ha dato la sua vita per un'Andalusia libera, per la Spagna e la
libertà."