Rubén Amón firma oggi su El Mundo una nuova analisi, l'ennesima in Spagna, sul
risultato elettorale italiano. Spunto di riflessione, la copertina di The
Economist, dedicata a Silvio Berlusconi e a Beppe Grillo con il titolo Che
entrino i pagliacci. Amón appoggia sostanzialmente l'idea che i due leader
italiani siano due clowns (come dire di no, del resto?), ma va oltre e volge il
proprio sguardo a sinistra, responsabilizzando il PD del successo elettorale
delle altre due forze.
"In realtà la spiegazione del caos italiano proviene dall'incompetenza
della sinistra (Partito Democratico)" scrive "Perché è tornato a
sottovalutare Berlusconi. Perché ha sprecato un vantaggio di 15 punti. E perché
l'autismo di Bersani è stato travolto dal chiasso di Grillo"
Amón fa risalire le responsabilità del PD nel caos post-elettorale al risultato
delle primarie. E qui, c'è poco da fare, caro Amón, a votare hanno votato gli
elettori e i simpatizzanti del centrosinistra, non la dirigenza. Il risultato
delle elezioni e quello delle primarie, parlano degli italiani non dei loro
dirigenti: quando dopo tutti gli scandali di corruzione di cui le Giunte di
Formigoni sono stati protagoniste, i lombardi votano ancora per il
centro-destra, invece di esigere un cambio, qualunque esso sia, cosa c'è da
dire se non che, evidentemente, amano la corruzione e le infiltrazioni mafiose?
Quando milioni di persone possono scegliere il proprio candidato elettorale
e, invece di affidarsi a proposte alternative, credono ancora nella generazione
che da vent'anni non riesce ad opporsi al berlusconismo, non riesce a ottenere
risultati elettorali che gli garantiscono maggioranze sufficienti per governare
autonomamente, cosa c'è da dire se non che non è la dirigenza del PD votata al
suicidio, ma i suoi stessi elettori?
Secondo Amón "il Movimento 5 Stelle non sarebbe diventato il principale
partito italiano senza la fuga degli elettori del PD. Molto meno ancora se le
promesse di rinnovamento progressista le avesse guidate Matteo Renzi, sindaco
di Firenze e alternativa frustrata nella cucina della burocrazia tricolore. Era
l'antidoto perfetto a Berlusconi. Sia per l'età, 38 anni, sia perché il
Cavaliere non poteva rinfacciargli il suo passato comunista né confrontarsi con
le capacità dialettiche di una novità. Tanto era preoccupato Berlusconi dal dinamismo
di Renzi, un candidato trasversale, con strizzate al liberalismo e senza le
cattive abitudini dell'apparatchik, che aveva deciso di ritirarsi dalla
politica… Fino a quando il PD e i suoi militanti hanno appoggiato la
candidatura di Bersani".
Come è andata dopo, lo sappiamo, e Amón sottolinea "il pareggio tecnico",
con una distanza dello 0,4%, in una stagione che fino a "lunedì è stata la peggiore della storia politica e personale di Berlusconi: la condanna per frode fiscale, il
divorzio da Veronica Lario, lo scandalo delle orge con minorenni, la
sfacciataggine della cultura del libertinaggio".
Berlusconi ha "resuscitato il voto della vergogna", quello che si dà nelle
urne, ma si occulta nei sondaggi, quello che permette l'anomalia berlusconiana,
perché "una vera democrazia contraddice che possa guidarla un magnate
dalla storia stravagante, che la concentrazione di potere e le condanne mettono
sotto sospetto".
Ma è stato il mostro creato da Berlusconi, che "con le sue tv non
controlla l'opinione pubblica, la crea", che ha reso facili le cose alla
sinistra: l'antiberlusconismo ha "narcotizzato la sinistra davanti alla
sua crisi e al fracasso di Grillo nelle piazze d'Italia". Ergo, abbiamo
adesso tre pagliacci, i due che hanno choccato l'Europa e il mondo, e un terzo,
Bersani, "il pagliaccio triste, di aria funeraria e cappello a piramide, che
piange e piange per le battute che gli riservano i pagliacci festivi".