domenica 3 marzo 2013

El Mundo: il successo di Grillo e Berlusconi? Tutta colpa del centro-sinistra

Rubén Amón firma oggi su El Mundo una nuova analisi, l'ennesima in Spagna, sul risultato elettorale italiano. Spunto di riflessione, la copertina di The Economist, dedicata a Silvio Berlusconi e a Beppe Grillo con il titolo Che entrino i pagliacci. Amón appoggia sostanzialmente l'idea che i due leader italiani siano due clowns (come dire di no, del resto?), ma va oltre e volge il proprio sguardo a sinistra, responsabilizzando il PD del successo elettorale delle altre due forze.
"In realtà la spiegazione del caos italiano proviene dall'incompetenza della sinistra (Partito Democratico)" scrive "Perché è tornato a sottovalutare Berlusconi. Perché ha sprecato un vantaggio di 15 punti. E perché l'autismo di Bersani è stato travolto dal chiasso di Grillo"
Amón fa risalire le responsabilità del PD nel caos post-elettorale al risultato delle primarie. E qui, c'è poco da fare, caro Amón, a votare hanno votato gli elettori e i simpatizzanti del centrosinistra, non la dirigenza. Il risultato delle elezioni e quello delle primarie, parlano degli italiani non dei loro dirigenti: quando dopo tutti gli scandali di corruzione di cui le Giunte di Formigoni sono stati protagoniste, i lombardi votano ancora per il centro-destra, invece di esigere un cambio, qualunque esso sia, cosa c'è da dire se non che, evidentemente, amano la corruzione e le infiltrazioni mafiose? Quando milioni di persone possono scegliere il proprio candidato elettorale e, invece di affidarsi a proposte alternative, credono ancora nella generazione che da vent'anni non riesce ad opporsi al berlusconismo, non riesce a ottenere risultati elettorali che gli garantiscono maggioranze sufficienti per governare autonomamente, cosa c'è da dire se non che non è la dirigenza del PD votata al suicidio, ma i suoi stessi elettori?
Secondo Amón "il Movimento 5 Stelle non sarebbe diventato il principale partito italiano senza la fuga degli elettori del PD. Molto meno ancora se le promesse di rinnovamento progressista le avesse guidate Matteo Renzi, sindaco di Firenze e alternativa frustrata nella cucina della burocrazia tricolore. Era l'antidoto perfetto a Berlusconi. Sia per l'età, 38 anni, sia perché il Cavaliere non poteva rinfacciargli il suo passato comunista né confrontarsi con le capacità dialettiche di una novità. Tanto era preoccupato Berlusconi dal dinamismo di Renzi, un candidato trasversale, con strizzate al liberalismo e senza le cattive abitudini dell'apparatchik, che aveva deciso di ritirarsi dalla politica… Fino a quando il PD e i suoi militanti hanno appoggiato la candidatura di Bersani".
Come è andata dopo, lo sappiamo, e Amón sottolinea "il pareggio tecnico", con una distanza dello 0,4%, in una stagione che fino a "lunedì è stata la peggiore della storia politica e personale di Berlusconi: la condanna per frode fiscale, il divorzio da Veronica Lario, lo scandalo delle orge con minorenni, la sfacciataggine della cultura del libertinaggio".
Berlusconi ha "resuscitato il voto della vergogna", quello che si dà nelle urne, ma si occulta nei sondaggi, quello che permette l'anomalia berlusconiana, perché "una vera democrazia contraddice che possa guidarla un magnate dalla storia stravagante, che la concentrazione di potere e le condanne mettono sotto sospetto".
Ma è stato il mostro creato da Berlusconi, che "con le sue tv non controlla l'opinione pubblica, la crea", che ha reso facili le cose alla sinistra: l'antiberlusconismo ha "narcotizzato la sinistra davanti alla sua crisi e al fracasso di Grillo nelle piazze d'Italia". Ergo, abbiamo adesso tre pagliacci, i due che hanno choccato l'Europa e il mondo, e un terzo, Bersani, "il pagliaccio triste, di aria funeraria e cappello a piramide, che piange e piange per le battute che gli riservano i pagliacci festivi".