Ci sono volute 15 edizioni e la prima legge americana che riconosce il
matrimonio per le coppie omosessuali, per una sorta di ritorno alle origini del
tango: ai Campionati
Mondiali in corso a Buenos Aires si sono esibite anche quattro coppie
omosessuali (una sola composta da lesbiche). E, racconta il quotidiano La Nación,
non sono neanche andate male: Alejandro Segovia e Matías Soto, per esempio,
si sono qualificati per le semifinali, con l'ottavo posto su 380 coppie in gara
e sono stati eliminati con un 41° posto, a soli quattro dalla qualificazione
finale. "Era necessario che qualcuno rompesse il ghiaccio" spiega il
29enne Alejandro, tanguero dai 15 anni, al quotidiano porteño "Avevano
già visto ballare noi due nel Metropolitano, un paio di mesi fa. Quindi la
chiave è stata sostenere la nostra proposta con ballo e rispetto del tango,
mantenendo i ruoli di conduttore e condotto, per non confondere la giuria e
ballare come due uomini, che è quello che sappiamo fare bene".
Per il direttore artistico del Campionato Gustavo Mozzi, "la gara cerca di
riflettere l'evoluzione del tango e dei cambi sociali. Per questo adesso
parliamo di Tango Pista e non di Salone, per esempio. Perché il tango si sta
evolvendo ed è logico che generi queste tensioni. E a me piace: le tensioni
dimostrano che il tango è un genere vivo, altrimenti sarebbe solo evocazione di
un genere del passato".
La presenza delle coppie omosessuali ha suscitato quelle tensioni di cui parla
Mozzi anche tra il pubblico, soprattutto quello più tradizionale, anche se poi,
alla fine, è stata la capacità di trasmettere emozioni delle coppie che ha
prevalso sulle altre valutazioni: la qualità dei movimenti, l'eleganza, il
legame con la musicalità, l'abbraccio, spiega Mozzi, "sono parametri molto
importanti, direi inalterabili. In questo senso dipende sempre dalla capacità
dei ballerini e da quello che trasmettono artisticamente".
E poi, in fondo, la presenza delle coppie dello stesso sesso in pista, riporta
il tango alle sue origini: non era cosa rata incontrare nelle prime milongas
della fine del XIX secolo due uomini che ballavano insieme, "sia perché
Buenos Aires era una città di poche donne sia perché serviva come pratica per
poter poi affrontare le ragazze difficili da sedurre".
E sono ancora loro, le coppie omosessuali, che aiutano a battere uno dei grandi
stereotipi del tango, il machismo. Tutti pensiamo che all'esserci un ballerino
che conduce il gioco e i passi e una ballerina che lo segue, in un gioco
sensuale e seducente, il tango sia in qualche fondo una danza machista, con un
dominatore e un esecutore. Ma La Nación ricorda un articolo scritto dal
professore di tango Manuel González, ¿El tango es machista?, in cui spiega che
bisogna tenere ben separati il concetto dei ruoli nel ballo e del machismo:
"E' chiaro che in questa danza, in cui il ballo non si limita a uno spazio
fisico, qualcuno deve guidare la camminata e i movimenti e qualcun altro deve
seguirli. Ed è qui che si forma il conflitto, dato che è più comune che sia
l'uomo che guida e la donna che segue. E' per questo che intelligentemente, in
molti Paesi, ma non in Argentina, si chiama Leader chi guida (in genere l'uomo)
e Follower chi segue, e non uomo o donna. Con questo si può notare che non è
che il tango sia machista, è che a molte persone piace vedere il ruolo di chi
dirige la danza come una figura autoritaria sull'altro e non come una regola del
gioco della danza".
Le coppie omosessuali entrano in gioco a questo punto; il quotidiano Clarín aveva già sottolineato qualche tempo fa come la presenza degli omosessuali stesse spingendo verso un'evoluzione dei ruoli nel ballo ed è nelle milongas da loro frequentate che il tango offre uno scambio di ruoli tra i due ballerini; al
Campionato Mondiale hanno proposto questo stile Claudio Siufe ed Esteban Mioni,
con Claudio che ha utilizzato anche un paio di scarpe rosse con tacco a
stiletto. Secondo lui nelle coppie omosessuali non si può tentare di imitare le
ballerine, per questioni anatomiche: "L'uomo non ha la stessa duttilità
né torsione della donna. Neanche l'abbraccio è uguale, per questo non
pretendiamo di essere quello che non siamo".