Se alla Spagna non bastassero le aspirazioni indipendentiste di Catalogna e Paesi Baschi,
dalle Isole Canarie arriva al Congresso dei Deputati di Madrid la richiesta di
includere l'arcipelago nella lista dei territori autonomi da decolonizzare.
La firma il partito nazionalista Vecinos Unidos Canarios, che nel suo sito web,
spiega le ragioni della richiesta, considerando la Spagna come una "potenza
amministratrice". Insomma, le Canarie sono come Gibilterra, il Sahara
Occidentale o la Polinesia Francese, territori d'oltremare amministrati da
potenze lontane. A dimostrarlo la distanza geografica: le Isole Canarie sono a
circa un centinaio di km dalle coste africane e a ben 1400 dalla Spagna, da cui
sono separate anche da un fuso orario (una hora menos en Canarias, come usano
ripetere sempre nei segnali orari spagnoli).
Per la sua richiesta il partito porta ragioni storiche, culturali ed economiche.
Le prime dimostrano che l'arcipelago era già abitato da V secolo avanti Cristo,
da popolazioni berbere arrivate dal Nordafrica, che svilupparono una propria cultura, basata e adattata
alla realtà climatica delle isole, e fortemente influenzata dalle culture
nordafricane, la Tamazagha in primis, da cui è derivata anche la lingua degli
isolani. Nel XIV secolo, con l'arrivo degli europei, prima con spedizioni di carattere
esplorativo e poi con la depredazione e la riduzione in schiavitù degli
abitanti delle isole, venduti nei mercati mediterranei grazie anche alla
complicità di genovesi, maiorchini e catalani, che si dedicavano al loro
commercio, la storia delle isole cambia. Fino alla conquista con le armi, che
aveva impliciti, "il dominio militare del territorio e la creazione di un
nuovo intorno politico-amministrativo, il rimodellamento della popolazione e dell'organizzazione sociale e il riordinamento delle attività economiche. In
definitiva l'annichilimento del modus vivendi degli isolani". La Conquista
delle isole, con il placet del Papato, che aveva autorizzato la ricerca di fondi
per "l'evangelizzazione e la conversione di Guinea e Canarie", iniziò
con i Re Cattolici. Non fu facile, con violenze, stragi e vendita degli abitanti
autoctoni sul mercato degli schiavi.
E dopo la Conquista, ci furono i piani per eliminare l'identità autoctona e
omologare gli isolani alla cultura castigliana, portata dagli invasori: fu loro
negato il diritto di usare i nomi tradizionali, per esempio, "gli isolani
dovettero rinunciare al loro abbigliamento, ai loro giochi, ai loro credo, alle
loro danze e canti e persino alla loro lingua perché tutto questo era
perseguito dall'Inquisizione". Dovevano essere "più europei degli
europei" e "più cristiani dei cristiani". La lingua dei primi
canarii sopravvive nei toponimi e nei nomi di alcuni strumenti del lavoro
quotidiano. Così come sono sopravvissuti, a volte grazie alla clandestinità,
molti giochi, molte feste e, addirittura, "le tecniche aborigene di
lavorazione della ceramica".
All'essere amministrato dalla Spagna, l'arcipelago non ha diritto a esplorare
autonomamente le proprie risorse naturali, tra cui il petrolio e i giacimenti di
manganesio, ferro e cobalto che si stendono al largo delle sue coste, così come
la gestione della pesca, che "per decenni ha mantenuto migliaia di famiglie
delle isole", è in mano alla Spagna, che "ha deciso la distruzione
delle flotte per la pesca e l'artigianato canario, in favore di altre
Comunidades, e, con essa ha distrutto l'industria conserviera, Mettendo fine in
un attimo a un settore essenziale per un arcipelago che viveva in larga parte
del suo mare".
Il turismo, diventata oggi la principale risorsa economica dell'isola, è
sfruttato "da imprenditori non locali (in larga parte con personale non
locale), che pagano le imposte fuori dalle isole e che portano i turisti
attraverso i tour-operators (cioè, pagano fuori dalle isole)".
Insomma, per Vecinos unidos Canarios ci sono tutti gli elementi per chiedere la
deconolizzazione dalla Spagna. A parte la reazione sorpresa dei media, che hanno
riportato la notizia, al momento non ci sono risposte da Madrid.