domenica 13 ottobre 2013

El Mundo: l'Italia è un elegante portafoglio, la Spagna un orologio senza qualità

Tutto è iniziato al Teatro Real di Madrid, durante la riunione della giuria dei Premi Tiepolo, organizzati dalla Camera di Commercio di Madrid e dalla Camera di Commercio Italiana in Spagna. Ai giurati le due Camere di Commercio hanno regalato un portafoglio e un orologio. Il portafoglio è stato regalato dagli italiani e, sebbene di marca dal nome inglese, The Bridge, portava scritto Made in Italy in varie parti e in vari cartoncini che simulavano le carte di credito, nelle varie tasche ad essere riservate. I giurati non hanno avuto dubbi, insomma, di trovarsi davanti a un elegante prodotto italiano. La Camera di Commercio di Madrid ha regalato un orologio senza marca e senza indicazione del Paese fabbricante, con, in evidenza, solo il marchio dell'Associazione che ha fatto il regalo. Tanto che, approfondendo le ricerche, per scoprire la provenienza dell'oggetto, si è scoperta la sua possibile origine asiatica.
Inizia così, con questo aneddoto, l'ennesimo confronto Spagna-Italia nelle pagine di un media spagnolo. Stavolta è Francisco Pascual, che, nel suo blog di elmundo.es, lamenta come il Governo spagnolo vanti un rapporto confidenziale di Deutsche Bank, secondo il quale la Spagna avrà una posizione di vantaggio rispetto all'Italia nei prossimi anni e come, alla prova dei fatti e dei numeri, l'Italia sia un anelo, un'aspirazione ancora lontana da raggiungere.
I tempi di José Luis Rodriguez Zapatero, che assicurava di aver superato l'Italia per reddito pro-capite e di avere nella mira Francia e Germania, utilizzando addirittura una parola italiana, sorpasso, per sottolineare il successo dell'economia spagnola su quella italiana, sembrano aver lasciato una lezione. Se non ai politici almeno ai media.
Secondo il rapporto di Deutsche Bank, la Spagna ha già praticamente distrutto tutti i posti di lavoro previsti, mentre l'Italia ha ancora 800mila posti di lavoro di troppo. Quello che il Governo spagnolo non dice, ma che Pascual ricorda è che, distrutti i posti di lavoro, l'Italia avrà un tasso di disoccupazione del 15%, che è molto alto e preoccupante, ma è 10 punti più in basso di quello spagnolo, arrivato al 26%. E non è l'unico dato che si dimentica di ricordare la Moncloa, per convincere gli investitori che Spain is better.
Per mettere le cose nel loro contesto, dall'ultimo rapporto del FMI, "risulta che il tasso di disoccupazione della povera Italia non arriva al 12%, che quest'anno il deficit rimarrà ancorato al 3% e che il debito sì supererà il 120%, sebbene, grazie alla tradizionale capacità di finanziamento di questa economia rispetto al resto del mondo, la maggior parte in mani interne". La Spagna "affronta la sua ripresa con un deficit superiore al 6,5%, il tasso di disoccupazione prossimo al 27% e il debito pubblico vicino al 100% e in aumento".
E, dato che il Governo conservatore non ha saputo indicare politiche economiche per rafforzare la ripresa e ha preferito la facile strade delle esportazioni, ottenute con la contrazione dei salari e del consumo interno e non con l'innovazione dei prodotti (a Madrid si contano cortei e proteste per i tagli alla ricerca un giorno sì e l'altro pure), il confronto con l'Italia continua a essere doloroso. "Nel miglior anno esportatore della storia della Spagna, le vendite all'estero sono state quasi del 40% inferiori a quelle dell'Italia. Il valore aggiunto dei prodotti italiani continua a essere il design e la qualità, mentre quello degli spagnoli è l'abbassamento dei costi della forza lavoro".
E' anche per questo, sottolinea Pascual, che dopo le tormente politiche romane delle scorse settimane lo spread italiano è tornato a essere più basso di quello italiano. "Gli investitori internazionali sanno come si struttura un'economia sostenibile nel tempo". E la reale situazione dell'economia spagnola è tutta in un'immagine: "La caduta dei costi del lavoro, in un'economia che non può svalutare la sua moneta e i cui lavoratori sono indebitati, dopo aver comprato la loro casa durante la bolla dei prezzi immobiliari, può essere necessaria per Deutsche Bank e altre banche di investimento, ma ha altri effetti, come che la Spagna sarà l'unica economia avanzata, la cui domanda interna continuerà a essere depressa il prossimo anno".
Non sarà questo un problema dell'Italia, che "deve affrontare un gravissimo problema di produttività, che può farle perdere terreno nei confronti della Spagna, ma il valore aggiunto che dà ai propri prodotti continua a essere la tecnologia e il design".
"Non c'è nessuna legge universale che stabilisca che l'talia sia un elegante portafoglio e la Spagna un orologio senza qualità" ammonisce Pascual, invitando ad approfittare l'opportunità che offre la crisi per cambiare il modo di fare le cose in Spagna e di presentarle al mondo. Perché, se la Spagna non sa approfittare di questo momento, il paragone continuerà a essere quello suscitato dai regali delle due Camere di Commercio.
Italia-Spagna, ancora una volta. Il derby dei cugini poveri del Mediterraneo. Il paragone che mette in evidenza i complessi di entrambe, la mala leche spagnola e la sorpresa italiana.
Quasi più dell'articolo, risultano interessanti i commenti dei lettori. Secondo i cugini, l'Italia non è un Paese di grandi prodotti (ci mancherebbe, mica è la Spagna!), ma è un Paese che si sa vendere ed è orgoglioso di quello che ha (come cambiano le prospettive. proprio le qualità che in Italia si dice dovremmo sviluppare meglio!); lamentano che l'Italia imbottigli l'olio e il vino spagnolo per venderlo come proprio (disonesto ritenere che il Barolo delle Langhe o il Chianti della Toscana sia una produzione spagnola, ma vabbe'); stentano a riconoscerle i primati nell'industria manifatturiera (la seconda d'Europa, dopo quella tedesca) e il valore dei marchi. Molta autocommiserazione, molta rabbia, molti complessi di inferiorità, che danno idea di uno stato d'animo diffusissimo.
E alcune interessanti analisi su quello che è successo in Spagna in questi anni di democracia. C'è stata una Transición politica dalla dittatura alla 'democrazia' (molti spagnoli non metterebbero le mani sul fuoco per la qualità della democrazia in cui vivono), ma non una Transición economica da sol-playa-paella a un sistema solido che punti su ricerca e qualità. Nessun partito politico, progressista o conservatore, nessun leader nazionale, di destra o di sinistra, ha voluto affrontare la vera sfida per il futuro della Spagna e ha saputo andare più in là della coltivazione del proprio orticello e del proprio vantaggio elettorale. Difficile non essere d'accordo, guardando il disastro spagnolo e i partiti che hanno portato allo sfacelo economico e sociale, ma rimane, senza risposta, una domanda che dovrebbero farsi un po' tutti i popoli dell'Europa mediterranea: chi ha votato quella classe dirigente? Quanta consapevolezza esiste, al di là del tifo da Curva Sud, quando ci si reca alle urne?