Tutto è iniziato al Teatro Real di Madrid, durante la riunione della giuria dei Premi Tiepolo, organizzati dalla Camera di Commercio di Madrid e
dalla Camera di Commercio Italiana in Spagna. Ai giurati le due Camere di
Commercio hanno regalato un portafoglio e un orologio. Il portafoglio è stato
regalato dagli italiani e, sebbene di marca dal nome inglese, The Bridge,
portava scritto Made in Italy in varie parti e in vari cartoncini che
simulavano le carte di credito, nelle varie tasche ad essere riservate. I
giurati non hanno avuto dubbi, insomma, di trovarsi davanti a un elegante
prodotto italiano. La Camera di Commercio di Madrid ha regalato un orologio
senza marca e senza indicazione del Paese fabbricante, con, in evidenza, solo
il marchio dell'Associazione che ha fatto il regalo. Tanto che, approfondendo
le ricerche, per scoprire la provenienza dell'oggetto, si è scoperta la sua possibile origine asiatica.
Inizia così, con questo aneddoto, l'ennesimo confronto Spagna-Italia nelle
pagine di un media spagnolo. Stavolta è Francisco Pascual, che, nel suo blog di elmundo.es, lamenta come il Governo spagnolo vanti un rapporto confidenziale di
Deutsche Bank, secondo il quale la Spagna avrà una posizione di vantaggio
rispetto all'Italia nei prossimi anni e come, alla prova dei fatti e dei
numeri, l'Italia sia un anelo, un'aspirazione ancora lontana da raggiungere.
I tempi di José Luis Rodriguez Zapatero, che assicurava di aver superato
l'Italia per reddito pro-capite e di avere nella mira Francia e
Germania, utilizzando addirittura una parola italiana, sorpasso, per
sottolineare il successo dell'economia spagnola su quella italiana, sembrano
aver lasciato una lezione. Se non ai politici almeno ai media.
Secondo il rapporto di Deutsche Bank, la Spagna ha già praticamente distrutto
tutti i posti di lavoro previsti, mentre l'Italia ha ancora 800mila posti di
lavoro di troppo. Quello che il Governo spagnolo non dice, ma che Pascual
ricorda è che, distrutti i posti di lavoro, l'Italia avrà un tasso di
disoccupazione del 15%, che è molto alto e preoccupante, ma è 10 punti più in
basso di quello spagnolo, arrivato al 26%. E non è l'unico dato che
si dimentica di ricordare la Moncloa, per convincere gli investitori che Spain
is better.
Per mettere le cose nel loro contesto, dall'ultimo rapporto del FMI,
"risulta che il tasso di disoccupazione della povera Italia non arriva al
12%, che quest'anno il deficit rimarrà ancorato al 3% e che il debito sì
supererà il 120%, sebbene, grazie alla tradizionale capacità di finanziamento
di questa economia rispetto al resto del mondo, la maggior parte in mani
interne". La Spagna "affronta la sua ripresa con un deficit superiore
al 6,5%, il tasso di disoccupazione prossimo al 27% e il debito pubblico vicino
al 100% e in aumento".
E, dato che il Governo conservatore non ha saputo indicare politiche economiche
per rafforzare la ripresa e ha preferito la facile strade delle esportazioni,
ottenute con la contrazione dei salari e del consumo interno e non con
l'innovazione dei prodotti (a Madrid si contano cortei e proteste per i tagli
alla ricerca un giorno sì e l'altro pure), il confronto con l'Italia continua a
essere doloroso. "Nel miglior anno esportatore della storia della Spagna,
le vendite all'estero sono state quasi del 40% inferiori a quelle dell'Italia.
Il valore aggiunto dei prodotti italiani continua a essere il design e la
qualità, mentre quello degli spagnoli è l'abbassamento dei costi della forza
lavoro".
E' anche per questo, sottolinea Pascual, che dopo le tormente politiche romane
delle scorse settimane lo spread italiano è tornato a essere più basso di
quello italiano. "Gli investitori internazionali sanno come si struttura
un'economia sostenibile nel tempo". E la reale situazione dell'economia
spagnola è tutta in un'immagine: "La caduta dei costi del lavoro, in
un'economia che non può svalutare la sua moneta e i cui lavoratori sono
indebitati, dopo aver comprato la loro casa durante la bolla dei prezzi
immobiliari, può essere necessaria per Deutsche Bank e altre banche di
investimento, ma ha altri effetti, come che la Spagna sarà l'unica economia
avanzata, la cui domanda interna continuerà a essere depressa il prossimo
anno".
Non sarà questo un problema dell'Italia, che "deve affrontare un
gravissimo problema di produttività, che può farle perdere terreno nei
confronti della Spagna, ma il valore aggiunto che dà ai propri prodotti
continua a essere la tecnologia e il design".
"Non c'è nessuna legge universale che stabilisca che l'talia sia un
elegante portafoglio e la Spagna un orologio senza qualità" ammonisce
Pascual, invitando ad approfittare l'opportunità che offre la crisi per cambiare
il modo di fare le cose in Spagna e di presentarle al mondo. Perché, se la
Spagna non sa approfittare di questo momento, il paragone continuerà a essere
quello suscitato dai regali delle due Camere di Commercio.
Italia-Spagna, ancora una volta. Il derby dei cugini poveri del Mediterraneo. Il
paragone che mette in evidenza i complessi di entrambe, la mala leche spagnola
e la sorpresa italiana.
Quasi più dell'articolo, risultano interessanti i commenti dei lettori. Secondo i cugini, l'Italia non è un Paese di grandi prodotti (ci mancherebbe, mica è la Spagna!), ma è un Paese che si sa vendere ed è orgoglioso di quello che ha (come cambiano le prospettive. proprio le qualità che in Italia si dice dovremmo sviluppare meglio!); lamentano che l'Italia imbottigli l'olio e il vino spagnolo per venderlo come proprio (disonesto ritenere che il Barolo delle Langhe o il Chianti della Toscana sia una produzione spagnola, ma vabbe'); stentano a riconoscerle i primati nell'industria manifatturiera (la seconda d'Europa, dopo quella tedesca) e il valore dei marchi. Molta autocommiserazione, molta rabbia, molti complessi di inferiorità, che danno idea di uno stato d'animo diffusissimo.
Quasi più dell'articolo, risultano interessanti i commenti dei lettori. Secondo i cugini, l'Italia non è un Paese di grandi prodotti (ci mancherebbe, mica è la Spagna!), ma è un Paese che si sa vendere ed è orgoglioso di quello che ha (come cambiano le prospettive. proprio le qualità che in Italia si dice dovremmo sviluppare meglio!); lamentano che l'Italia imbottigli l'olio e il vino spagnolo per venderlo come proprio (disonesto ritenere che il Barolo delle Langhe o il Chianti della Toscana sia una produzione spagnola, ma vabbe'); stentano a riconoscerle i primati nell'industria manifatturiera (la seconda d'Europa, dopo quella tedesca) e il valore dei marchi. Molta autocommiserazione, molta rabbia, molti complessi di inferiorità, che danno idea di uno stato d'animo diffusissimo.
E alcune interessanti analisi su quello che è successo in Spagna in questi
anni di democracia. C'è stata una Transición politica dalla dittatura alla 'democrazia'
(molti spagnoli non metterebbero le mani sul fuoco per la qualità della democrazia in cui
vivono), ma non una Transición economica da sol-playa-paella a un
sistema solido che punti su ricerca e qualità. Nessun partito politico, progressista o conservatore, nessun leader nazionale, di destra o di sinistra, ha voluto affrontare la vera sfida per il futuro della Spagna e ha saputo andare più in là della coltivazione del proprio orticello e del proprio vantaggio elettorale. Difficile non essere d'accordo, guardando il disastro spagnolo e i partiti che hanno portato allo sfacelo economico e sociale, ma rimane, senza risposta, una domanda che dovrebbero farsi un po' tutti i popoli dell'Europa mediterranea: chi ha votato quella classe dirigente? Quanta consapevolezza esiste, al di là del tifo da Curva Sud, quando ci si reca alle urne?