domenica 15 dicembre 2013

Il 35% dei catalani favorevole all'indipendenza. Le critiche all'immobilismo di Mariano Rajoy

Vuole che la Catalogna diventi uno Stato? Vuole che sia uno Stato indipendente?
Sono le due domande del referendum a cui i catalani saranno chiamati a rispondere il 9 novembre 2014. Ma sono anche domande piuttosto ambigue, che suscitano la perplessità dei giuristi, perché, all'essere così secche, sono facilmente manipolabili e non aiutano a chiarire la reale volontà dei cittadini. Per esempio, se la maggior parte dei catalani è tentata dal sì alla seconda domanda, lo sarebbe altrettanto se fosse specificato che la Catalogna sarà fuori dall'Unione Europea?
Il professore del CSIC Josep M. Colomer analizza su El Pais le possibilità che aprono le diverse risposte possibili alle domande del referendum. Se vincessero i sì alla prima domanda e i no alla seconda, "si potrebbe interpretare come un appoggio alla formula di tipo federale", su cui sta insistendo il PSOE, davanti all'immobilismo di Mariano Rajoy. Sono formati da Stati federali gli Stati Uniti o la Germania, "ma i votanti dovrebbero considerare anche che alcuni Stati hanno nelle federazioni più poteri e altri meno dell'attuale Catalogna". Il doppio no sarebbe ovviamente una bocciatura della proposta indipendentista, mentre il doppio sì sarebbe un sostegno totale all'indipendenza, anche se "l'appartenenza o meno all'Unione Europea di questo ipotetico Stato indipendente potrebbe essere chiarita durante la campagna e potrebbe alterare il risultato finale". Bisogna infatti considerare che in tutti i sondaggi la proposta indipendentista risulta vincente rispetto allo status quo, ma perde il suo vantaggio davanti alla prospettiva di una Catalogna fuori dall'Unione Europea.
Tutte le combinazioni di risposta hanno una lettura ambigua, proprio per il semplicismo delle domande, così formulate per cercare l'accordo con il maggior numero di forze presenti nel Parlamento catalano. 
El Mundo presenta oggi un sondaggio sul referendum e sulla sfida catalana alla Spagna: il 35,2% dei 1000 catalani intervistati è favorevole al referendum e ad arrivare fino alle ultime conseguenze, il 39,1% non approva la secessione. Realizzato il 12 e il 13 dicembre, subito dopo l'annuncio della data e delle domande del referendum, il sondaggio sostiene che il 43% dei catalani voterebbe sì alla prima domanda, se vuole che la Catalogna sia uno Stato, mentre il 39,1% voterebbe no. L'81,9% del 43% che voterebbe sì alla prima domanda, voterebbe poi a favore di uno Stato Indipendente nella seconda domanda, e il 12,9% voterebbe no, il che vorrebbe dire che questo 12,9% sarebbe favorevole a una qualche federazione con la Spagna. L'inclinazione per l'indipendenza dipende ovviamente dall'appartenenza ai vari partiti: gli elettori dei partiti nazionalisti voterebbero il sì all'indipendenza con percentuali superiori all'80%; il 70,2% degli elettori del Partito Socialista Catalano voterebbe no all'indipendenza; lo farebbe anche il 64,2% degli elettori del PP e il 92,3% di chi vota per Ciutadans. 
L'opzione indipendentista non appare al momento maggioritaria nel referendum, però interessa oltre un terzo dei cittadini di una terra che è comunque fortemente nazionalista. E c'è un dato che unisce favorevoli e contrari all'indipendenza: secondo un sondaggio del Gabinet d’Estudis Socials i Opinió Pública (GESOP) per El Periódico de Catalunya, realizzato anch'esso il 12 dicembre, il 73,6% dei catalani chiede al presidente Mariano Rajoy di autorizzare il referendum. L'idea del 'diritto a decidere', su cui hanno insistito in questi mesi i nazionalisti, ha lasciato un'impronta anche in chi non è favorevole alla deriva indipendentista. E questo è un dato di cui a Madrid non si tiene conto, rischiando di accentuare le frustrazioni catalane.
Le convulsioni catalane, la pace nei Paesi Baschi sono sfide che la Spagna dovrebbe affrontare, per costruire una nuova architettura costituzionale, in grado di guardare al XXI secolo e di accogliere tutti i nazionalismi che formano il Paese sin dall'alba della sua storia. Come dimenticare, del resto, che la Spagna si fonda, sin dalle sue origini, sul dualismo tra le Corone di Castiglia e d'Aragona e che quel dualismo non è mai stato superato, manifestandosi oggi nella rivalità non più con Saragozza, ma con Barcellona, che fu spina nel fianco anche dei sovrani aragonesi?
E' un'occasione storica di grande portata per cambiare il Paese e per far sentire tutti gli spagnoli figli di uno stesso Stato, che li accoglie, difende e tutela la loro diversità e la loro cultura. Ma la filosofia del Presidente del Governo Mariano Rajoy è un'altra ed è ben rappresentata da un SMS inviato mesi fa all'ex tesoriere del PP Luis Bárcenas, accusato di corruzione: bisogna sedersi e aspettare che passi la tempesta. Il che può essere una filosofia per la sopravvivenza politica, ma non per dare futuro a un Paese. E infatti sono molte le voci che si alzano contro l'immobilismo del Presidente, anche nelle stesse file della destra. Se i conservatori chiedono a  Rajoy di fare qualcosa per fermare il referendum, i progressisti chiedono un suo intervento per negoziare nuove formule che includano il nazionalismo catalano nei confini di Spagna. In entrambi i casi si nota l'inadeguatezza dei silenzi del Presidente.
elconfidencial.com, sito web d'opinione in larga parte conservatrice (ma non solo), scrive oggi un articolo intitolato Muévase, señor Rajoy, muévase!, un titolo che non ha bisogno di traduzioni. In esso reclama un intervento del presidente, per fermare il referendum. Se la società catalana sembra "soggiogata da un gruppo di illuminati disposto a mettere la popolazione in un convoglio diretto all'abisso", un gruppo di imprenditori catalani, con forti interessi nell'unione con la Spagna, mostrano un intenso attivismo in favore di una terza via, alcuni ministri sembrano essere favorevoli alla ricerca di soluzioni, "ma Rajoy gioca alla sfinge e fa male a non ascoltarli, perché è estremamente pericoloso". 
Tra i pericoli ci sono le multinazionali trapiantate in Catalogna, "che rappresentano il 26% delle esportazioni spagnole e il 27% delle importazioni, cosa che dà idea di cosa significa in termini economici". Il Presidente si nasconde dietro la Costituzione, che non riconosce alcun tipo di referendum, e gli hanno giustamente fatto già notare che non sempre tutto quello che è legale è anche giusto, per cui bisognerebbe avere una capacità di vedute elastica, aperta verso il futuro. "E' curioso che quando si discute della riforma della Costituzione, si dice, giustamente, che non c'è il necessario consenso delle forze politiche. Ma i consensi non cadono dal cielo, si tessono in modo paziente, facendo politica. Prima che gli eventi precipitino". 
Mariano Rajoy non reagisce, perché pensa che "prima o poi la maggioranza politica che sostiene il referendum imploderà" e sbaglia perché "mano a mano che i mercati vedranno che il PP non potrà confermare la maggioranza assoluta nelle elezioni generali del 2015, tutto sarà più difficile". E' questa la scommessa del blocco indipendentista: sfiancare il Governo centrale, sostiene elconfidencial.com. Un Governo centrale che al momento non sta pensando nessuna contromossa, aspettando gli eventi e spingendo la Catalogna verso l'ennesima frustrazione, da aggiungere alla lista iniziata nel 1714. 
"La Generalitat ha bisogno della bandiera dell'indipendentismo per nascondere la realtà di un territorio bruciato economicamente e per questo continuerà a pedalare per non cadere dalla bicicletta. Una specie di fuga in avanti verso nessuna pare, che porta necessariamente allo scontro. Se qualcuno non vi pone rimedio". Rajoy non sembra essere interessato a essere non tanto chi vi porrà rimedio, quanto chi sarà l'artefice della Spagna del XXI secolo.