Potrei dire che questo grattacielo l'ho visto nascere. E probabilmente ho
accolto la sua costruzione con molta più perplessità e delusione di molti
sivigliani doc.
I sivigliani si dividono in due parti, non so se uguali: quelli che sono
convinti di vivere nella miglior città del mondo, e bisogna davvero essere
stupidi (o invidiosi) per non rendersi conto di quanto Siviglia sia unica e speciale, e quelli che considerano la propria città cristallizzata,
avvitata sulla triade che l'ha resa famosa in tutto il mondo Semana Santa-Feria
de Abril-Rocio e incapace di entrare nella modernità, senza farsi condizionare
dal peso della sua storia e della sua leggenda. Per i primi la Torre Cajasol, firmata dall'architetto argentino Carlos Pelli, è un orrore, per i
secondi è la scossa di cui la città aveva bisogno.
Personalmente non riesco a capire come un grattacielo possa essere un segno di
futuro, a ridosso di un centro storico in cui le case superano a fatica i 4-5
piani. Sarà che, come buona parte delle persone che si sono innamorate di
Siviglia e hanno fatto di tutto per rimanerci o tornarci il più spesso
possibile, per lunghe temporadas, amo l'immagine tradizionale della città: le
architetture basse e bianche, con i balconcini di ferro battuto, le persiane di
paglia e i patios da cui gorgoglia l'acqua di qualche fontana nascosta, le
plazas con le panchine di ferro battuto e azulejos e gli aranci che delineano i
loro contorni. Se Siviglia non fosse questo, non mi interesserebbe; non abiterei
mai nei grandi casermoni dei quartieri periferici, che assomigliano a quelli di
qualunque altra città; mi perderei invece per ore tra San Lorenzo e la Juderia,
per vedere spuntare in ogni caso la Giralda, da qualche parte, e continuerei a
fotografare il tramonto sul Guadalquivir per tutti gli atardeceres del futuro.
Credo di essere più talebana dei sivigliani tradizionalisti nella difesa
dell'immagine architettonica della città e devo avere una formazione
decisamente greco-romana, che vede la bellezza nell'armonia e nell'equilibrio
degli elementi e non nello strappo di un cambio radicale.
Non riesco ad abituarmi al Metropol Parasol della plaza de la Encarnación e
sento orrore ogni volta che torno in città e la prima cosa che vedo è il braccio
inclinato del Puente del Alamillo (lo ammetto, sento una profonda invidia per
chi, tempo fa, da ovunque arrivasse, la prima cosa che vedeva per sentirsi
prossimo alla meta era il profilo mudéjar della Giralda).
Le due città del mio cuore, Torino e Siviglia, sono state sfregiate quasi contemporaneamente
dalla costruzione di una torre che niente ha a che vedere con la loro storia,
la loro cultura, la loro tradizione e il loro patrimonio architettonico. Sarà
per questo che sono un po' choccata dall'insistenza delle varie autorità a
sfigurare il paesaggio cittadino con edifici che violentano proporzioni e
storia. Ma spiegatemi il senso di quest'immagine.
La foto è stata pubblicata da @sevillainsolita su Twitter e penso a quanto
trovavo detestabile la Torre Triana, affacciandomi sul Guadalquivir e vedendola
chiudere l'orizzonte, rotonda, estranea e sproporzionata… Com'è prezioso lo
spagnolo a volte e come sa essere sintetico ed efficace: c'è un proverbio che
dice otra vendrá que buena me hará (verrà un'altra che farà sì che io sembri
buona). Consideravo la Torre Triana un orrore. Invece.