Dell'ennesimo remake di Bodas de odio (Nozze d'odio) non se
ne sentiva la necessità, si era scritto qualche tempo fa, presentando la nuova telenovela della messicana Televisa, Lo que la vida me robó.
L'unica ragione di interesse, a parte immaginarsi volentieri Sebastián Rulli nel personaggio del protagonista, era il tentativo di trasportare la storia della telenovela nel XXI secolo. E, nonostante il grande successo che la telenovela sta riscuotendo nel Messico, si può dire serenamente che il tentativo è fallito. Intendiamoci, non è che la telenovela non sia godibile
e piacevole da seguire, tutt'altro, è una delle migliori produzioni di Televisa degli ultimi anni, ma per appassionarsi bisogna
dimenticare che siamo nel XXI secolo.
La storia originale si svolge nel XIX secolo e racconta della giovane e aristocratica Magdalena
(qui Montserrat), innamorata dell'umile soldatino José Luis e sposata dalla sua famiglia, con l'inganno, al ricco Alejandro Almonte, per evitare la rovina economica; poco dopo il matrimonio Magdalena scopre
che la famiglia le ha mentito e che José Luis non l'ha mai ingannata, mentre
Alejandro scopre che la moglie è innamorata di un altro e che l'ha sposato per interesse. I neo-sposi si trasferiscono nella
hacienda Almonte e qui vengono raggiunti da José Luis, che si fa passare per il
nuovo fattore, conquista la fiducia e la simpatia di Alejandro e cerca di
convincere Magdalena a scappare via con lui. Solo che Magdalena si sta
innamorando del marito, così José Luis se ne va. Poco dopo Alejandro scopre che
il fattore era in realtà l'antico rivale, si infuria, inizia a dubitare della
paternità del figlio che Magdalena sta aspettando, si mette di mezzo il Messico
in fiamme per l'ennesima rivoluzione e Alejandro e Magdalena devono lottare per
il loro amore e per un nuovo Messico.
La trasposizione al XXI secolo ci regala un'eroina che non studia, non lavora
e si passa il tempo su tacchi
improponibili e fasciata in vestiti poco adatti alla vita di campagna. Non si guarda la tv, non
si usa Internet, non si leggono i giornali, e la vita scorre lenta e
sostanzialmente noiosa. Non ci sono stati adattamenti neanche nel triangolo dei
protagonisti: scoperto l'inganno, Alejandro va comprensibilmente su tutte le
furie, ma non accenna agli esami del DNA per scoprire la paternità del figlio
in arrivo (meno male che altri personaggi insistono sulla possibilità).
Insomma, se in Lo que la vida me robó si cerca il XXI secolo, meglio lasciar perdere.
Perché allora continuare a vederla? Perché conta su varie belle
interpretazioni. Su tutte quella di Sebastián Rulli, che era una delle ragioni di curiosità per la telenovela e che interpreta
l'appassionato Alejandro ed è così convincente nel suo ruolo da essersi
meritato un articolo pieno di elogi del giornalista Rubén Aviña, ex columnist di Tv y
Novelas, la più influente rivista messicana del settore. Nel suo blog, Aviña
sottolinea come nelle telenovelas ci siano pochi galanes "con un'identità propria e una
storia alle spalle. Pochi vulnerabili e davvero umani. Pochi come l'Alejandro
Almonte che stiamo vedendo in Lo que la vida me robó, nobile, ma con carattere
e perfino capace di farsi dominare dalla gelosia quando l'occasione lo merita,
quando scrittori e adattatori gli danno le armi per questo; un principe
azzurro capace di trasformarsi in carnefice della propria amata, reagendo come
farebbe chiunque, davanti a certe situazioni, vittima, proprio della sua parte
vulnerabile, che lo allontana dallo stereotipo del solito galán".
Alejandro, secondo Aviña, si è sentito ancora più umano "specialmente quando
lo abbiamo visto piangere e distruggersi dentro, senza perdere mai il suo
coraggio. Un galán che, infine, nonostante i suoi errori e le sue debolezze,
non perde l'atteggiamento dell'eroe e, in fondo, dell'uomo di gran cuore".
Potremmo chiederci cosa ci sia di eroico in Alejandro Almonte, finora, visto
che si è comprato una moglie, non ha lottato per conquistarne l'amore e si è
lasciato dominare dai sentimenti e dalla sete di vendetta, non appena scoperto
l'inganno. Ma è anche vero che si è sentito vicino Alejandro e si è stati dalla
sua parte, più che da quella di Montserrat, proprio nelle puntate in cui ha
scoperto di essere stato ingannato e che José Luis, il rivale d'amore, era quel
nuovo fattore che lui, per questioni generazionali e di condivisione degli
stessi ideali di solidarietà e giustizia, aveva iniziato a considerare un
amico. Che interpretazione, Sebastián Rulli! Che pianti, che occhi rossi, che
gestualità controllata nella finzione dell'irrazionalità, che credibilità
nell'espressione del dolore, della delusione, del tradimento! Che scoperta, questo 38enne argentino che deve il successo a Televisa e al Messico! "Da
semplice galán adesso è un attore capace di mostrare le diverse sfumature, con
un personaggio che è, sicuro, la sua grande opportunità e che lo consacra come
uno dei migliori e più intensi protagonisti melodrammatici, dopo una crescita
evidente nella sua traiettoria nelle telenovelas" scrive Aviña.
"Sebastián è all'altezza di una splendida sceneggiatura e di uno dei personaggi
più completi che gli siano toccati, per invidia di molti che, forse, non
avrebbero potuto interpretarlo come sta facendo lui" conclude.
Al veder recitare Rulli, così intenso, ferito e despechado, ma sempre
muerto de amor per la moglie (esisterebbe il despecho, il dispetto, se non ci
fosse l'amore?), viene in mente William Levy. Pure lui bello e
corteggiato, con nel curriculum molte telenovelas dalla trama dimenticabile,
non appena si è trovato per le mani un personaggio credibile, l'Alejandro
Lombardi di Sortilegio (bisogna state attenti agli Alejandro di Televisa!),
ecco che ha dimostrato le mille sfaccettature di cui è capace. Che non ci sia adesso una La tempestad nel cammino di Sebastián Rulli.