domenica 16 febbraio 2014

La Spagna riconosce la cittadinanza ai sefarditi, ma non ai moriscos. Gli otto secoli musulmani dimenticati

I media spagnoli continuano a  ripeterlo. Il progetto di legge con cui il Governo di Mariano Rajoy intende restituire la cittadinanza spagnola ai sefarditi che ne faranno richiesta, è un fatto di Giustizia. Di Giustizia Storica. I sefarditi sono i discendenti degli Ebrei che nel 1492 furono cacciati dalla Spagna, con il decreto di espulsione firmato dai Re Cattolici, Isabella di Castiglia e Fernando d'Aragona, poco dopo la conquista di Granada. In quegli anni di transizione dal Medio Evo all'Età Moderna, le Monarchie, che cercavano di imporsi al sistema feudale, iniziarono a creare gli Stati nazionali, basati sull'omogeneità etnica e religiosa. Gli Ebrei, seppure commercianti e artigiani di grande importanza nell'economia spagnola, non potevano far parte del progetto.
La diaspora sefardita toccò il Nord Africa, la Francia, l'Italia e, soprattutto, le terre dell'Impero Ottomano. E in qualunque terra siano stati portati i sefarditi in questi secoli di esilio, non hanno mai dimenticato la Spagna, le sue tradizioni, le sue abitudini: parlano persino lo spagnolo. Uno spagnolo antico, arricchito di termini dei Paesi in cui hanno abitato, che chiamano ladino e che è perfettamente comprensibile dagli spagnoli contemporanei.
Per gli Ebrei sefarditi, il riconoscimento della Spagna è una sorta di ritorno a casa, la fine della nostalgia che tanto ha dato alla musica e alla letteratura sefardita.
In Israele c'è molta agitazione per questa notizia e i media locali cercano di moderare gli entusiasmi e di spiegare che si tratta di un progetto di legge. Bisogna essere prudenti e aspettare, insomma. In Spagna c'è una certa perplessità: e se i 3,5 milioni di sefarditi decidessero di stabilirsi di nuovo nella Penisola? Come assorbire l'impatto del loro arrivo in tempi di crisi economica? La concessione della cittadinanza suscita sempre una certa gelosia e una certa diffidenza. Comprensibili, del resto. Personalmente non amo che i pronipoti argentini di qualche nonno piemontese o napoletano, che non parlano neanche l'italiano e che vogliono i passaporto per volare nell'Unione Europea, possibilmente in Spagna per questioni linguistiche, possano poi votare in Italia e decidere il destino politico di un Paese di cui non hanno idea. La stessa cosa succede a vari spagnoli, parlando dei sefarditi.
Ma non c'è solo questa questione.
Nel 1612, poco più di 400 anni fa, la Spagna ha cacciato anche gli ultimi moriscos residenti nel proprio territorio. I moriscos sono i discendenti dei musulmani, che abitavano le terre spagnole dopo la Reconquista. Guardati con sospetto, costretti alla conversione, poco creduti anche dopo la conversione, furono cacciati definitivamente sotto il regno di Felipe III. La Spagna perse così centinaia di abili contadini e artigiani, che lasciarono spopolate le terre del sud, ripopolate con contadini fatti arrivare dalla Cantabria, dalla Castiglia e da altre regioni del Nord. I moriscos si stabilirono soprattutto nel Marocco e nel Nord Africa, per questioni religiose e linguistiche, dato che la loro lingua materna era l'arabo. Ma anche loro non smisero mai di rimpiangere Al Andalus. E, anzi, sono i promotori di buona parte della cultura andalusí: musicisti, ballerini, ricercatori della cultura comune di Andalusia e Marocco, arrivano anche dal lato africano del Mar Mediterraneo. A Siviglia non è difficile assistere a concerti e a spettacoli di artisti marocchini, che riprendono le fila della cultura andalusí. Per loro, però, non si parla di riconoscimento della cittadinanza. Eppure anche loro parlano uno spagnolo perfetto, pure loro rimpiangono la patria perduta, pure loro guardano con affetto alla Spagna. Addirittura, alcuni di loro conservano le chiavi delle case di Granada e dell'Andalusia, che gli antenati furono costretti a lasciare, durante la Reconquista o con la cacciata definitiva, nel XVIII secolo.
Perché gli Ebrei sì e i Musulmani no? Lo sfondo è evidentemente politico ed è anche sintomo dell'incapacità spagnola di fare i conti con la propria storia.
Secondo il professore di Diritto Civile dell'Università di Córdoba Antonio Manuel Rodriguez, la Spagna non considera come propri gli otto secoli di storia musulmana sul suo territorio. Nonostante, si aggiunga tra parentesi, siano stati proprio quei secoli a darle i monumenti di cui va maggiormente, e giustamente, fiera, l'Alhambra di Granada e la Moschea-Cattedrale di Cordoba, quando si tratta di vendere il Paese al turismo internazionale. Abderraman III (Córdoba, 891), Maimonide(Córdoba, 1135) e Averroè (Córdoba, 1126) sono tanto ispanici quanto Seneca (Córdoba, 4 a.C.), ricorda il professore. "Il fatto è che dove esiste la stessa ragione, esiste lo stesso diritto. E' una rivendicazione non dal vittimismo, ma dalla giustizia. Il riconoscimento alla comunità sefardita è simbolico, necessario e giusto. Lo è anche fare lo stesso con chi ha mantenuto la propria identità morisco andalusí nell'esilio, lo è verso di loro, ma soprattutto verso di noi, in un esercizio di ricostruzione della memoria collettiva" dice Rodriguez a elconfidencial.com.
"La concessione ai sefarditi mi rende felice, come morisco: perlomeno l'hanno fatta a metà degli espulsi. Ma non è logico che la diano a loro e a noi no. Non cerchiamo la nazionalità per una questione economica, ma morale. La mia cultura è spagnola, ma in arabo" dice il 66enne marocchino Abdelgafar Elakel a elconfidencial.com, che agginge un dettaglio: "Lo dice ridendo e non in arabo, ma in perfetto spagnolo".