sabato 1 febbraio 2014

Muore Luis Aragonés, l'allenatore che ha dato alla Spagna lo spirito vincente

A volte la storia è ingiusta. Molto ingiusta. Oggi la Spagna ha perso Luis Aragonés, morto a 75 anni per una leucemia, a Madrid. E' l'allenatore con cui la Nazionale di calcio ha iniziato a vincere e a battere ogni record. E' stato nel 2008, in Austria-Svizzera. La Spagna arrivava con i soliti blablabla di favorita numero 1 e neanche si ascoltava più, nelle sue radio e nelle sue tv, la solita cantaleta (cantilena). Ma nell'Europeo del 2008 era successo qualcosa di magico: Luis Aragonés aveva adottato il tiki taka, passaggi brevissimi per garantirsi il controllo della palla, dalla difesa fino al gol, senza lasciare respiro agli avversari, senza permettere loro strategie di difesa. Aragonés aveva avuto anche il coraggio di lasciare a casa alcune delle bandiere del calcio spagnolo, a cominciare da Raúl, il capitano del Real Madrid, che tutto aveva vinto con i merengues e niente con la sua Nazionale. Raúl Selección! era stato il grido di battaglia dei madridisti per mesi, per fare pressioni sul CT (e ancora adesso, quando sento il nome dell'ex capitano, mi viene automaticamente da aggiungere Selección!). Ma Aragonés niente, Raúl a casa e una nuova generazione in campo. Con lei uno spirito nuovo, più consapevole, più umile, più determinato. 
La svolta, quella che ha cambiato la Spagna del calcio degli ultimi anni, era arrivata ai quarti di finale. Contro l'Italia. Avevo sentito la partita per radio, su un autobus che da Malpensa mi riportava a Torino, di ritorno da Siviglia. Era andata come vanno (quasi) sempre le partite contro la Spagna, pareggio e parità di forze in campo. Poi c'erano stati i rigori e la Spagna aveva vinto. Era dagli anni 80 che la Spagna non riusciva a superare i quarti di finale. Erano l'incubo della Selección, la fine di tutti i sogni di gloria orgogliosamente coltivati. Essere riusciti a vincerli, per di più contro l'Italia, storica bestia nera degli spagnoli, mai battuta in incontri ufficiali, era stata come una liberazione. La fine di un incubo nazionale, festeggiato quasi più della successiva vittoria in finale, per tutti i freni psicologici che portava con sé. A rompere quell'ostacolo, a dare forza, sicurezza e consapevolezza ai giocatori era stato Luis Aragonés, con la sua calma, le sue parole, la sua idea del calcio. Da quel momento, da quella notte del 22 giugno 2008, in cui si è liberata dell'incubo dei quarti, contro la più odiata delle bestie nere, più niente ha fermato la Spagna, che ha travolto tutti i record e si è aggiudicata, di seguito, due Europei e un Mondiale. Nessuno mai, prima, era riuscito a vincere tanto in così poco tempo. 
Io non so cosa abbia fatto prima Luis Aragonés, non conosco i dettagli della sua carriera, che non è passata per il Real Madrid, e chissà se questo conta, ma so come l'ha trattato la Spagna poi, lasciandolo a casa subito dopo la conquista degli Europei, permettendo la sua fuga in Turchia, per affidare la Nazionale al madridista Vicente del Bosque. 
Come sanno essere ingrati, i Paesi. La Spagna vincente di questi anni è una creazione di Luis Aragonés, ma il Premio Principe delle Asturie e qualunque altro premio dato alla Nazionale in questi anni, è stato ritirato da Vicente del Bosque. E io di Vicente del Bosque ho un solo ricordo, a parte le dichiarazioni boriose. La finale degli Europei del 2012. Ancora una volta Spagna-Italia. La Spagna vince per 2 a 0, meritatamente, perché non è colpa sua se il CT italiano manda in campo gli uomini stanchi della solita epica semifinale contro la Germania (no, non ci sarà mai un'Italia-Germania che non sia emozionante), per un malinteso senso di gratitudine (lo stesso che mantiene l'Italia appesa alla sua gerontocrazia). E' così malconcia, l'Italia, che il giocatore dell'ultimo cambio si infortuna pochi minuti dopo essere entrato in campo, così la Nazionale gioca tutto il secondo tempo in 10, in inferiorità numerica. Del Bosque, a un quarto d'ora dalla fine di una partita che sta meritatamente vincendo e controllando, manda in campo due giocatori freschi, contro i quali l'Italia, in inferiorità numerica e senza alcuna possibilità di effettuare cambi (per infortunio, non per espulsioni), non può fare niente. Finisce 4 a 0 per la Spagna, l'unica volta in cui la Spagna ha travolto l'Italia. Tranquilli, appena ci provano, a vantarsi, spiego loro concetti sconosciuti al loro CT, quali lealtà, nobiltà, sportività. 
La differenza tra Luis Aragonés e Vicente del Bosque è tutta in quelle due partite, i quarti di finale della liberazione, dell'entusiasmo, della nuova pagina di storia, e la finale dell'assenza di lealtà e sportività verso una squadra in inferiorità numerica, già sconfitta.
Mi spiace molto che il suo Paese non abbia dato a Luis Aragonés il posto che si merita, che lo abbia subito fatto fuori dalla Nazionale per dare il posto a un madridista, che solo oggi, negli editoriali che raccontano la sua morte, ricordi che è l'uomo che ha dato alla Nazionale lo spirito vincente (è anche quello che ha iniziato a chiamarla la Roja, la Rossa), quello da cui è iniziato tutto.
Que descanse en paz, Luis.