mercoledì 10 settembre 2014

La Diada della Catalogna, tra indipendentismo e scandali, in attesa del referendum

Non solo l'11 settembre di New York (2001) o l'11 settembre di Santiago del Cile (1973). C'è un altro 11 settembre, tutto europeo, in Catalogna, che ricorda la presa di Barcellona da parte delle truppe spagnole, nel 1714, e la fine del sogno dell'indipendenza catalana. Da qualche anno la Diada, la Giornata di Festa della Catalogna, è diventata uno dei momenti più importanti nella lotta per l'indipendenza, fino all'apoteosi dello scorso anno, con la catena umana che, dalla frontiera francese a quella valenciana, ha voluto ricordare un'analoga manifestazione delle repubbliche baltiche, per la propria indipendenza.

Sono state queste manifestazioni di massa, insieme alla crisi economica, a trascinare CiU, Convergencia i Uniò, il partito nazionalista moderato che ha quasi sempre governato la Catalogna democratica, su posizioni sempre più indipendentiste. Fino a stabilire un referendum sull'indipendenza per il 9 novembre 2014. Il referendum è incostituzionale: la Costituzione spagnola non prevede i referendum, né consultivi né abrogativi. A Madrid non si stancano di ripeterlo e il buon Rajoy, che non muove un dito per risolvere le questioni nazionalistiche basche e catalane, continua a dire, come un disco incantato, che bisogna rispettare la legge (che poi la società catalana sia spezzata in due su indipendentismo e spagnolismo e che sia però compatta a sostenere il diritto di diecidere e, dunque, il diritto di votare al referendum, è cosa che non lo riguarda).

Si dice 11 settembre, dunque, ma si intende 9 novembre. Difendono il diritto a decidere volti notissimi della Catalogna, a cominciare da Pep Guardiola, che da Monaco di Baviera si è espresso addirittura in favore dell'indipendenza. Non tutti sono così pronti a sfidare apertamente Madrid come lui, ma in tanti, presentatori televisivi, giornalisti, atleti e attori, chiedono sì, il diritto di decidere.

Vincerebbe il sì all'indipendenza, se Madrid dovesse mai accettare il referendum del 9 novembre? Questo è tutt'altro discorso: in tutti i sondaggi, la Catalogna appare divisa esattamente a metà e non è detto che i nazionalisti vogliano essere indipendenti. Sulla Catalogna stanno piovendo, così come sulla Scozia, le minacce dell'Unione Europea e dei mercati; i catalani vengono terrorizzati con apocalittiche previsioni economiche, dall'uscita dall'euro all'impossibilità delle imprese catalane di reggere da sole, fuori dalla UE e dalla moneta unica, la concorrenza globale. Ma i catalani non dovrebbero guardarsi solo dalle diffidenze e dalle minacce di Madrid e di Bruxelles. In realtà dovrebbero guardare con molta più diffidenza e timore alla propria classe dirigente, che, dopo aver mostrato per decenni la propria mediocrità, si trova adesso coinvolta in scandali di corruzione non così diversi da quelli di Madrid.

Mister 3%. Potrebbe essere chiamato così Jordi Pujol, storico dirigente di CiU, a lungo presidente della Generalitat. Quest'estate ha ammesso quello che da anni non era più un segreto: all'estero ha una quantità non precisata di milioni di euro, mai dichiarati al fisco spagnolo, provenienti, ha sostenuto, da un'eredità familiare mai regolarizzata. La confessione è stata fatta probabilmente per pressioni di partito, probabilmente per cercare di salvare uno dei figli, al centro di varie indagini giudiziare per corruzione; fatto sta che, qualunque sia la ragione, ha messo in grande imbarazzo CiU e i suoi dirigenti, figli politici di Pujol.

Ieri i media spagnoli raccontavano come fosse lui in persona a reclamare per sé il 3% dei contratti che la Generalitat firmava con imprese e società: chi rifiutava di versargli l'obolo veniva minacciato di essere escluso da futuri appalti. Così funzionava la Catalogna sotto la presidenza di Jordi Puyol, durata oltre vent'anni, dal 1980 al 2003. Era un segreto di Pulcinella, dicono oggi a Barcellona, dove si racconta come CiU abbia sempre gestito in questo modo la Generalitat, forte della propria maggioranza assoluta, della sostanziale assenza di alternative e di una notevole indulgenza di Madrid, per la quale era meglio il nazionalismo corrotto di CiU che l'indipendentismo repubblicano (Felipe González ha appena detto che Jordi Pujol non era un corrotto, costringendo il neo-Segretario del PSOE Pedro Sánchez a correre ai ripari e a chiarire che per il PSOE un signore che esige il 3% per sé a ogni contratto firmato come funzionario pubblico è un corrotto).

A quali dirigenti dovrebbe guardare la Catalogna in vena di indipendenza, se il suo partito più importante è stato guidato per decenni da un politico corrotto e dai suoi figli politici? Se ne parla in vista del 9 novembre 2014 e in vista della Diada di domani, che a Barcellona dovrà formare una grande V. V di voto, di Volontà, di Vittoria, Diritto di decidere e indipendenza senza però programmi e dirigenti definiti. Mentre Madrid continua a dire che farà rispettare la legge e che la Catalogna non sarà la Scozia (ma se avesse il diritto di decidere, sia aggiunto, sarebbe meglio, anche perché non è detto che il risultato sarebbe la vittoria degli indipendentisti).