giovedì 15 febbraio 2007

La Spagna divisa al processo per gli attentati dell'11 marzo 2004

Quasi tre anni dopo gli attentati che hanno sconvolto la stazione di Atocha, a Madrid, lasciando 191 morti, è l'ora della giustizia. Oggi è iniziato il processo ai 29 imputati, sono previste 650 testimonianze e le analisi di 98 periti. Sarà il processo più mediatico, più seguito e più polemico della storia del Paese.
Da quel maledetto 11 marzo 2004 sono iniziati tutti i guai dell'attuale Spagna.
Subito dopo gli attentati, il Partido Popular, allora al governo, tentò di addossarne la responsabilità all'ETA. Per una sola ragione. Tre giorni dopo, il 14 marzo, ci sarebbero state le elezioni generali che il PP, secondo i sondaggi, avrebbe vinto; se fosse passata la versione di una pista araba collegabile alla guerra in Iraq, voluta dal premier Aznar ma invisa alla maggioranza degli spagnoli, il risultato delle elezioni avrebbe potuto essere catastrofico.
I tre giorni tra l'attentato e le elezioni furono convulsi e nessuno dei due partiti principali si comportò limpidamente: José Maria Aznar chiamò i direttori dei giornali per convincerli delle responsabilità dell'ETA, impose agli ambasciatori all'estero di accreditare questa come unica ipotesi possibile, lasciò per molto tempo gli spagnoli nell'incertezza (per sapere cosa succedeva in Spagna bisognava guardare Euronews perché TVE, saldamente nelle mani del PP, nicchiava). Da parte sua il PSOE, intuita l'enorme opportunità, agì in maniera non sempre etica: iniziò a martellare con la pretesa della verità quando oggettivamente neanche il governo la conosceva ancora, lasciando immaginare possibili menzogne governative, e, soprattutto, nella giornata di riflessione, in cui sono proibite manifestazioni, convocò con gli sms una riunione di popolo "spontanea", davanti alla sede del PP; lo slogan più gentile verso Aznar fu "Aznar asesino", in riferimento alla guerra in Iraq.
Il 14 marzo il PP perse le elezioni e iniziò l'epoca di Zapatero. Il premier può piacere o meno, ma ha vinto le elezioni. Il PP fa ancora fatica ad accettarlo e lo accusa implicitamente di essere alla Moncloa grazie al sangue di 191 vittime. Poco dopo l'insediamento del governo socialista fu decisa una Commissione di Inchiesta Parlamentare sugli attentati, un po' come quella creata dal Congresso USA dopo l'11 settembre. Solo che gli americani hanno lavorato per evitare che una tragedia del genere si possa ripetere, analizzando i punti deboli delle strategie di difesa e di sicurezza del Paese per rinforzarli. In Spagna, da buoni latini, socialisti e popolari si sono impegnati solo ad accusarsi a vicenda di nascondere la verità all'opinione pubblica. Il discorso più nobile e più commovente di quei giorni è venuto da Pilar Manjón, madre di uno dei ragazzi morti ad Atocha, che tra le lacrime ha ricordato la tragedia di perdere un figlio: "Voi parlate di numeri, ma quei numeri erano nostro figlio, nostro padre, nostro marito. Sono usciti di casa e non sono più tornati". Una delle sue tante frasi che hanno testimoniato l'enorme distanza tra il dolore delle vittime e l'indifferenza di chi le considera strumento di lotta politica. A causa delle reciproche accuse tra PP e PSOE la Commissione non è arrivata ad una conclusione unitaria.
Da allora la Spagna è spaccata.
Colpa anche delle teorie del complotto appoggiate dal PP e dalla stampa che lo affianca. Secondo queste ipotesi la pista islamica degli attentati è falsa e i terroristi che qualche giorno dopo si sono suicidati sono stati "suicidati"; scopo degli attentati era solo e semplicemente la sconfitta elettorale del PP. Tra i punti che appoggiano la teoria ci sono gli errori e le ambiguità nell'identificazione degli esplosivi utilizzati, la mancanza di terroristi suicidi, tipici della strategia di Al Qaeda, lo zainetto inesploso, il cui cellulare non avrebbe mai potuto farlo esplodere avendo un'altra SIM. E così via.
Insomma l'11 marzo sarebbe non un attentato di matrice islamica ma un colpo di Stato per impedire che il PP seguisse al potere. Non credo mai alle teorie dei complotti (JFK lo ha ammazzato Lee Oswald, Marilyn è morta per un overdose di barbiturici e Lady D per un incidente stradale) e fatico a immaginarmi Zapatero che mette esplosivi sui treni per arrivare al potere. Perché, alla fine della fiera, l'accusa sostanziale, lanciata dai giornali e dalla potente radio COPE, appartenente ai Vescovi, è questa. E la domanda è una sola: ma se è vero, se ci sono le prove di un coinvolgimento dei servizi segreti spagnoli e di simpatizzanti socialisti, invece di intorbidire il clima, andare dai magistrati che indagano, no?
Sia come sia, è indubbio che dall'incapacità del PP di accettare la sconfitta elettorale e dall'arroganza con cui il PSOE lo accusa di ogni nefandezza compiuta nei tre drammatici giorni tra gli attentati e le elezioni, la Spagna si è drammaticamente spaccata ed è incapace di ricostruire una unità su qualunque argomento. La stessa Associazione delle Vittime del Terrorismo si è spaccata in vari tronconi, il principale dei quali, agisce come testa d'ariete del PP. Tra i più importanti quotidiani del Paese, El Mundo ed El Pais, è iniziata una guerra senza quartiere per accreditare la teoria complottistica o la versione ufficiale. Per molto tempo il gioco è stato in mano a El Mundo, che svelava gli ambigui legami tra i minatori asturiani che hanno fornito l'esplosivo degli attentati, poliziotti e uomini di Stato; poi El Pais si è stufato e ha contrattaccato, rivelando come il minatore José Emilio Suárez Trashorras, in carcere per aver consegnato l'espolsivo ai terroristi, abbia detto in un colloquio ai genitori "Se El Mundo continua a pagare, io gli racconto anche la Guerra Civile". Reciproco scambio di accuse tra i due quotidiani e nulla di fatto.
Il danno prodotto dagli attentati dell'11 marzo si è visto dopo l'attentato dell'ETA all'aeroporto di Madrid, quando i due principali partiti sono stati incapaci di partecipare alla stessa manifestazione per dire no alla violenza terroristica, giocando sulle sfumature delle parole utilizzate negli slogan. "Questa è la vittoria dell'ETA, chissà come starà godendo a vederci così!" mi ha detto un amico spagnolo amareggiato e molto arrabbiato.
Non so se il processo che inizia oggi a Madrid riuscirà a riportare nel Paese la serenità necessaria per vincere la sfida con l'ETA. Sarà già tanto se la sua sentenza, prevista tra quattro o cinque mesi, sarà accettata con rispetto da tutte le parti coinvolte.
Posso solo aggiungere che è sorprendente vedere un Paese che davanti a prove così dure come un attentato terroristico pesca nel torbido per accusare l'altra parte delle peggiori nefandezze, che è incapace di esprimere unità e solidarietà solo per dimostrare che è più duro e puro dell'odiata controparte. E no, che nessuno mi dica che in Italia succede lo stesso. Quando si trova davanti a grandi prove l'Italia ritrova la sua unità, la sua dignità e il suo orgoglio. In nessun Paese si sono viste ben tre manifestazioni diverse, criticatissime per non essere sufficientemente dure da chi non vi ha partecipato, per dire no al terrorismo. In Spagna è successo.