martedì 29 maggio 2007

Cosa vedere a Málaga (pensando ad Antonio Banderas)

Le ampie avenidas che accompagnano il mare e le strette callecitas con le verande in ferro battuto. La folla cosmopolita della Plaza de la Marina e i vecchi dai capelli bianchi seduti con la solita cervecita nei dehor del centro. Che bella che è Málaga, con questa luce del sud che sa già di estate, il cielo azzurro d'Andalusia e le palme che il vento agita e confonde con il mare.
Uno crede di andare a Málaga e che il primo pensiero sia per Pablo Picasso, nato qui 125 anni fa (tranquilli, l'anniversario non è sfuggito alla città, che lo ricorda in tutti i teloni che nascondono le facciate in restauro). Invece no. A volte possono di più cultura televisiva e dittatura dei mezzi di comunicazione. Così a Málaga si trova a pensare ad Antonio Banderas.
Non solo il fascinoso attore è nato qui, ma è anche rimasto legato alla sua città con la passionalità che solo certe persone del sud sanno mantenere con la propria terra: ogni anno torna per la Semana Santa e partecipa come costalero alle processioni, portandosi dietro Melanie e la famiglia americana, che con americana sorpresa segue la religiosità del profondo Mediterraneo; ogni estate si stabilisce per un paio di mesi nella villa di Marbella, a una cinquantina di km da Málaga, e si nasconde sotto un casco da motociclista per sfuggire ai paparazzi sulle strade della Serrania della sua adolescenza. Segue da vicino i giovani autori della sua città, è tra i finanziatori della sua vivace vita culturale ed è a Málaga che ha girato e ha dedicato il secondo film da regista, El camino de los ingleses, che chissà se vedremo mai in Italia, visto che è così personale che lo stesso Banderas dubita venga distribuito in Europa e negli USA.
La Málaga degli anni '70, che sfuggiva al franchismo con l'arte, è diversa dalla cosmopolita città del XXI secolo. La Málaga di oggi ha ancora ad ogni lampione gli stendardi elettorali di Fernando de la Torre, il sindaco popolare che ha visto rinnovato il suo mandato con percentuali che in Italia si considererebbero bulgare. Strano pensare a una delle città più orgogliosamente di sinistra governata dalla destra con maggioranza assoluta. Paradossi di questo tempo.
Questa Málaga odierna è bella, sa di esserlo, si offre ai turisti della Costa del Sol con sicurezza e senza ritrosia. Il Teatro Romano, la Cattedrale barocca mai terminata, l'Alcazaba sulla collina del Gibralfaro, che domina la città. 2000 anni di storia in un fazzoletto di terra. Al Teatro Romano si legge che fu scoperto casualmente, che durante gli scavi del primo Novecento furono fatti danni irreparabili alla struttura e che negli anni '60 e '70 fu protagonista dell'antifranchismo cittadino, ospitando spettacoli che le autorità guardavano con sospetto e boicottavano (sarà stato durante uno di quegli spettacoli che il giovane Antonio ha scoperto la militanza politica e la passione per l'arte?). La cosa più interessante che si scopre al Teatro è che per valorizzarlo negli anni '90 le autorità cittadine decisero di abbattere l'adiacente Casa della Cultura, in modo da recuperare le antiche strutture di contorno; ci furono grandi polemiche, ma alla fine la Casa fu abbattuta. A Málaga sanno stabilire priorità e cosa valorizzare.
Nei pressi del Teatro c'è l'Alcazaba, l'antica fortezza araba, costruita nel IX secolo sulla collina che domina la città e adattata alla sua topografia. Si arriva all'interno attraverso una serie di porte che, in caso di assalto, avrebbero rallentato gli invasori. Passeggiare tra le mura fortificate e la collina è un tuffo nel Mediterraneo. Sulla sinistra la città moderna, con la plaza de toros, i giardini, gli edifici liberty e il fantastico Paseo del Parque, una macchia di verde e di palme tra la collina e il mare, la cui vista è filtrata da una serie di moderni edifici troppo alti; verso sud il porto con le sue navi da crociera che scaricano americani e nordici e, sullo sfondo, gli orrori architettonici di Torremolinos, purtroppo visibili e prima immagine della cementificata Costa del Sol (che panorama avrà visto il giovane Antonio le volte che si è arrampicato qui, in quegli anni 70 che non avevano ancora distrutto una delle più belle coste spagnole?).
Sull'altro lato, la collina dell'Alcazaba, con i cipressi e i pini, che si slanciano verso il cielo, i fiori di giacaranda e i giochi d'acqua delle fontane. Poi si arriva al palazzo vero e proprio, che riporta nel cuore dell'Al-Andalus, con le simmetrie e gli archi a ferro di cavallo finemente decorati, con le vasche e i gorgoglii dell'acqua che rinfrescano le idee e danno allegria. Verrebbe voglia di rimanere ore a passeggiare in questo spazio senza tempo: l'architettura gentile di Al Andalus sa donare una grande serenità e una dolce malinconia.
Dopo una mattinata nel cuore dell'antica Andalusia araba ci si siede ad un tavolino di un bar nella deliziosa plaza del Obispo, davanti alla Cattedrale incompiuta e si legge su El Pais l'intervista a un Iman appena arrestato in Catalogna in una retata anti Al Qaeda. Si lamenta della Spagna che ha cancellato il suo passato islamico e, per esempio, non studia Averroè nelle scuole. Gli spagnoli che dimenticano parte del loro passato, gli arabi che intendono recuperarlo con la violenza. Triste il destino di Al Andalus.
Si alza lo sguardo verso la fontana della plaza, due turisti si fanno una foto. Ma ad Antonio Banderas sarà mai successo di stare seduto qui, respirare quest'armonia barocca e meridionale e innamorarsi di una ragazza vista attraversare velocemente la piazza?