domenica 11 maggio 2008

La nascita di Emmanuel, figlio dell'ostaggio delle FARC Clara Rojas, nella selva colombiana

Della nascita di Emmanuel Rojas, nella selva colombiana, si era saputo attraverso il libro del giornalista Jorge Enrique Botero Ultimos días de la guerra. La conferma della sua esistenza l'aveva data il poliziotto John Pinchao, fuggito dalle mani delle FARC circa un anno fa. Non si conosceva la versione di Clara Rojas, la candidata alla vicepresidenza della Colombia, che fu sequestrata con Ingrid Betancourt e che ha avuto Emmanuel dalla relazione con un guerrigliero. Il quotidiano di Buenos Aires Clarin pubblica oggi il suo racconto. E' piuttosto lungo, ma dice tante cose.

"All'inizio neanch'io ero sicura di essere incinta. Con le malattie e le privazioni della selva i sintomi non sono mai molto chiari. Avevo vari sintomi, ma non la certezza. Quando passarono i mesi mi dissi che potevo essere incinta. I compagni di prigionia mi consigliarono di fare la prova. Chiesi di parlare con Martin Sombra, il capo guerrigliero allora nostro responsabile e oggi in carcere. Gli chiesi che mi comprassero una prova di gravidanza, di queste che vendono le farmacie per fare la prova dell'urina. La feci e fu positiva. Il tipo si preoccupò e volle sapere chi era il padre. Gli dissi che non era un suo problema e che erano fatti miei. Loro non hanno idea di chi sia il padre e rispettarono il mio silenzio. Gli dissi che loro trattavano i parti delle donne nella selva come quelli di una vacca, ma io ero primipara e avevo quarant'anni, che poteva essere una cosa molto delicata, che le donne e i bambini potevano morire se, in un caso come il mio, non c'era la necessaria assistenza. Sombra mi disse che avrebbero compiuto ogni sforzo e questo mi diede persino l'illusione che mi avrebbero liberato.
Quando ebbi la certezza di essere incinta non pensai più di scappare, con Ingrid ci avevamo provato cinque volte, perché loro minacciavano che se ci avessi riprovato il bambino avrebbe pagato le conseguenze. Inoltre dopo ogni tentativo di fuga le condizioni peggioravano, ci legavano alle catene e questo poteva esser pericoloso per me.
Allora capii che tutto quello che avessi cercato di fare doveva avere l'obiettivo di salvarci entrambi. Scrivevo continuamente chiedendo alla Croce Rossa, scrissi alla Segreteria generale delle FARC, quando mi tolsero Emmanuel, chiedevo che liberassero almeno il bambino. Scrivevo tanto che finirono col togliermi la biro e allora mi toccava fargli la lagna. Appena fui consapevole che avrei avuto un figlio mi resi conto che avrei dovuto lottare come una gatta selvaggia per salvare il mio bambino, altrimenti saremmo morti entrambi. Per questo feci tutto il possibile per stare calma durante la convivenza. E una volta che divenne ingestibile vivere con gli altri, chiesi che perfavore mi togliessero dal gruppo.
Quando ero di sette mesi mi misero da un'altra parte e questo credo che mi salvò la vita perché potevo stare in pace, pregare, pensare, non avevo rabbia, ero nelle mani di Dio. Mi isolarono per farmi stare tranquilla, perché nel gruppo si crea molta tensione. Ero sola, nel cortile degli animali, dove loro hanno le galline. Erano le mie vicine degli ultimi mesi della gravidanza, ma almeno lì ero tranquilla.
In quella solitudine mi prepararono un lettino e misero una plastica che mi circondava e mi proteggeva. Era una fortuna perché così ho sentito come se avessi la mia casa, mi alzavo presto, mi preparavo, pulivo, lavavo le cosine del bimbo, stendevo e mentre si asciugavano i vestitini potevo cucire, facevo i pannolini con le lenzuola. Passano i giorni, prego, cammino un po' per rimanere agile, cammino la mattina per venti minuti e nel pomeriggio per altri venti. E siccome ho le tinozze piene di acqua, le uso tutte, mi faccio il bagno la mattina e anche la sera, una cosa che mi rilassa molto. Non avevo gente addosso e questo mi dava più intimità, più riservatezza.
Anche se sono sempre stata sana, sapevo che potevo dover affrontare qualcosa di molto grave durante il parto. Quando mi resi conto che si stava avvicinando il giorno, glielo dissi e loro mi informarono che avrebbero chiamato un medico. Che non arrivò mai. Iniziarono i dolori e la dilatazione non era sufficiente. Sono primipara e risultai anche molto stretta. Feci tutti gli sforzi, ma passò un giorno e mezzo in un lavoro di parto molto doloroso, ma dopo 36 ore ero esausta, completamente distrutta, vennero e mi dissero che dovevano farmi un cesareo.
C'erano vari guerriglieri intorno a me, uomini e donne, adesso non voglio ricordare i loro nomi. Chiamarono la Segreteria per chiedere il permesso per aprirmi e quando lo ebbero l'incaricato impallidì per lo spavento. Portarono un libro di medicina che spiegava come si faceva un cesareo. Me lo mostrarono prima di farmi l'anestesia.
L'infermiere che fece l'operazione mi disse che aveva studiato medicina per vari anni, che per laurearsi gli mancava solo il giuramento d'Ippocrate. Inoltre i guerriglieri non hanno paura del sangue. Sono abituati: se qualcosa si scuce, loro lo ricuciono. Siccome non c'era un bisturi, credo che abbiano usato coltelli e machete. Prima li disinfettarono con acqua e sapone e dopo con una candela passata a filo e quindi con l'alcol. Avevano filo chirurgico, questo sì, dato che devono cucire molte ferite.
Avevano anche qualche antestetico, che mi misero in vena per addormentarmi. Eravamo al coperto, avevano fatto una specie di impalcatura di legno, ma il suolo era comunque di fango, tutto circondato di plastica e fuori c'erano le tinozze con l'acqua per lavare me e il bambino. Mi fecero l'anestesia intorno alle due del pomeriggio e mi risvegliai intorno alle sette, le otto. Lo so perché lo chiesi. Quando mi risvegliai stavano finendo di cucirmi. Mi dissero, non si muova Clara, perfavore, non si muova, il suo bambino sta bene. Me lo mostrarono, lo sentì piangere e mi sentii più tranquilla.
Non ho mai potuto allattarlo, non avevo latte, ero molto magra. Ebbi un'infezione incredibile, nei giorni seguenti ebbi una febbre altissima e l'antibiotico arrivò cinque giorni dopo. Mi gonfiai tanto che pensavo di avere due gemelli e che mi avevano lasciato l'altro dentro. Mi davano l'antibiotico e mi facevano vedere il bambino varie volte al giorno.
Il bambino nacque molto magro, aveva freddo, faceva molto freddo perché era aprile e pioveva tutto il tempo. Avevamo così tanto freddo che ci misero in un posto chiuso di legno, che era dove avevano l'infermeria e tutti ci prestarono coperte e asciugamani, così facemmo delle tendine perché non entrasse tanto freddo. Non c'era latte in polvere e al bambino davano gocce di aguapanela (una specie di acqua zuccherata NdRSO). Oltre al freddo aveva un braccino libero, come staccato. Un giorno una guerrigliera mi portò un vestitino ricamato, non mi disse chi lo mandava, ma io riconobbi lo stile di Ingrid. Lo misi al bambino e lo conservo ancora come un tesoro.
Per alcuni giorni sono stata al bordo della morte. Entrambi. Anche il bambino, per le ore della durata del parto e perché al tirarlo fuori gli fecero male. Lei sta vedendo un miracolo, due miracoli. Io rimasi pelle e ossa, sembravo una radiografia. Un giorno venne Martín Sombra e al vedermi così magra mi disse: "Lei deve mangiare Clara, perché così va all'altro mondo". Mi davano siero e vivevo di quello, ma quella volta lui mi dette un uovo di gallina perché lo succhiassi.
In tutti i casi quando uno sente piangere un bambino e lo vede dormire, si anima, lotta per vivere. Dopo venti giorni iniziarono a volare gli elicotteri. Mi dissero che dovevamo andare e che dovevo camminare. Mi portavano in barella, ma mi consigliarono di camminare, ma poco dopo l'inizio della marcia caddi svenuta.
Lì, caduta nel fango sentii che passava la fila degli altri sequestrati incatenati, li sentivo da lontano. Loro sentivano il bambino piangere e io sentivo le catene che passavano nell'oscurità. Dopo questo svenimento dovettero portarmi in barella e lo stesso Martín Sombra dovette ricucirmi vari punti, senza anestesia, perché si erano aperti e non potevano farmi l'anestesia perché si doveva poter scappare in qualuqnue momento per la pressione dell'esercito.
Dopo successe quello che tutto il mondo sa. La gestione del presidente Hugo Chávez, la liberazione, il bambino che non appariva. Ci separarono otto mesi dopo la sua nascita, sono stata quasi tre anni senza di lui. Loro mi avevano detto che sarebbe stato solo per quindici giorni e per curargli il braccino. Per questo permisi che lo portassero via. Ma non ebbi mai più sue notizie sicure. Pensavo che era nella selva con qualche altro gruppo. Pensavo che poteva essere in un altro accampamento o in un villaggio vicino con qualche famiglia indigena, cose del genere. Chiedevo lo consegnassero alla Croce Rossa o a mia madre. Gli chiedevo come potevano tenere un bambino come prigoniero politico. Era la cosa più assurda del mondo.
In quel momento Bienestar Familiar lo aveva già riscattato e lo teneva in una casa-famiglia di Bogotà, ma io non lo sapevo, non lo sapeva nessuno, neanche la guerriglia, che non si era più interessata a lui.
Da quando ci siamo riuniti, quattro mesi fa, il bambino ha risposto incredibilmente bene, è una benedizione. Deve recuperare ancora il braccino, ma è un bambino allegro, molto attaccato a me e a ma madre, un bambino felice e io sono dedicata a lui, ad amarlo e che lui mi ami, al nostro futuro. Adesso ci dobbiamo operare entrambi, ma non sono cose gravi. Al bambino manca la mobilità del braccio, non ha avuto l'attenzione necessaria per risolvere tutto. Ha bisogno di un'operazione e io anche, tra le altre cose per cucire bene quello che è stato chiuso male dopo il cesareo.
Emmanuel è nato come in un presepe, siamo entambi vivi per miracolo e io posso solo ringraziare Dio. La mia maggiore preoccupazione sono quelli ancora sequestrati nella selva. Alla guerriglia chiedo che liberino tutti, a cominciare da Ingrid, e al governo dico che, essendo il padrone di casa, potrebbe essere più generoso. Nient'altro".