venerdì 16 maggio 2008

Turisti a Córdoba, l'antica capitale di Al-Andalus

Arrivando da Siviglia c'è un grande toro di Osborne in cima a una collina, poi, dopo la curva, la piana che accoglie l'antica capitale degli Omayyadi. Córdoba si presenta così, con ampli viali di palme ed eleganti condomini anonimi che nascondono i gioielli architettonici del centro storico.
In Andalusia i cordobesi non godono di grande fama. Li considerano rancorosi, invidiosi e amareggiati. Avrebbero anche buone ragioni per esserlo: l'Alhambra di Granada è il monumento più visitato di Spagna, Siviglia, che ha avuto un ruolo marginale nell'avventura di Al-Andalus, è la capitale dell'Andalusia, e Córdoba, che fu il vero cuore pulsante della civiltà musulmana in Spagna, la città "in cui c'era la luce per le strade mentre il resto dell'Europa era sprofondato nel Medio Evo", è rimasta senza riconoscimenti visibili. Nonostante la splendida Mezquita. Come dare torto ai cordobesi?
Non chiedere mai indicazioni di strade a un cordobés! mi avevano raccomandato a Siviglia, non te le daranno mai corrette. Pensavo fosse l'esagerazione di un'antica rivalità. Ma per tre volte ho potuto constatare che è vero. Perciò, se andate a Córdoba, munitevi di piantina e cavatevela da soli. Oltretutto non c'è niente di più affascinante che perdersi nelle callezuelas, le stradine di casette bianche, scoprendo patios profumati, in una primavera tiepida e promettente.
La stazione degli autobus è accanto alla moderna stazione dell'AVE. Poco dopo, un ampio viale e un parco di aiuole e tombe romane portano verso il centro cittadino e la grande Mezquita. Il suo campanile, un tempo minareto, indica il cammino, apparendo di tanto in tanto a chiudere la prospettiva di antiche case dalle inferriate in ferro battuto, ingentilite da cascate di fiori. Poi c'è il flusso dei turisti, mano a mano sempre più intenso, a rassicurare. C'è allora il tempo di guardarsi intorno. E di scoprire i mali del turismo globalizzato, che vuole le città andaluse tutte uguali, trasformate in vetrine di prodotti di pelle, grandi tori di Osborne ovunque, dalle tazze ai poster, traje de flamencas dai colori e pois sgargianti e cappelli cordobesi a profusione. Non pensate di trovare qualcosa di diverso a Córdoba: come Siviglia, Granada, Málaga o Cadice cercherà di vendervi qualche manufatto made in China spacciato per typical Spanish. E' solo nei bar, che rimandano gli echi di qualche corrida o di qualche conversazione dal pesante accento andaluso, che si può incontrare la città.
L'impatto con la Mezquita arriva all'improvviso, a chiudere l'ennesima calle in discesa. La guida della Lonely Planet, che avevo con me la prima volta che sono andata a Córdoba, invitava a non visitare la Mezquita appena arrivati in città. Dedicatevi prima ad assaporarla, girate lungo il suo perimetro esterno, apprezzate i suoi mosaici, che riproducono i principali argomenti ornamentali dell'arte araba, perdetevi a guardare le deliziose facciate degli edifici che la circondano, raggiungete il vicino ponte romano sul Guadalquivir per ammirarne la prospettiva. Ma non entrate.
Riservatevi la Moschea come ultimo monumento da visitare a Córdoba, affinché l'attesa aumenti l'intensità dell'emozione. Ho seguito il consiglio e invito a seguirlo.
Il mio primo monumento cordobés è stato la cittadella di Medina Zahara, costruite a 8 km dalla città dal califfo Abd al-Rahman III per la favorita Zahra (Medina Zahara significa la città di Zahra e siccome Zahra è il fiore d'arancio, diventato azahar in spagnolo e zagara in italiano, significa la città del fiore d'arancio). Doveva essere la città del piacere, della bellezza, dell'otium e del potere del califfo, appena proclamatosi indipendente dalla comunità musulmana. In realtà durò poco più della vita di Abd al-Rahman: le rivalità interne del regno, le lotte per il potere decretarono presto la sua decadenza e la sua fine. Non se ne ebbe neanche memoria fino al secolo scorso, quando iniziarono i grandiosi scavi non ancora terminati (è stato scoperto solo un terzo di quella che fu una delle più belle città dell'Al-Andalus).
A Medina Zahara bisogna andare con un viaggio organizzato, non solo per questioni logistiche (ci si potrebbe arrivare solo se automuniti), ma anche per conoscere le tante leggende che raccontano le guide, competenti e appassionate (non tutti i cordobesi sono invidiosi e rancorosi). Come quella del califfo che vedeva la sua favorita sempre triste, perché ok, Córdoba era deliziosa, ma lei sentiva la mancanza della sua Sierra Nevada. Fino alla fioritura dei ciliegi, sulle colline che si perdono verso l'Estremadura: il califfo la portò alla finestra e le mostrò quell'immensa distensa bianca che sembrava neve e la sua bella tornò a sorridere. Anche i califfi avevano un cuore romantico.
Delle tre grandi terrazze su cui era costruita la città e che dalla collina scendono verso la piana del Guadalquivir, quella centrale conserva la spettacolare sala del trono: con i suoi mosaici dorati e gli archi a ferro di cavallo bicolori riprende i motivi che si ritrovano nella Mezquita. Poche sale al mondo rendono il senso della regalità e della maestosità come la Sala del Trono di Medina Zahara.
Ritornati a Córdoba ci sono l'antica Sinagoga (se le code permettono) e l'Alcazar, il cui giardino di acque e di fiori è preziosissimo, soprattutto nelle stagioni calde, quando si apprezzano ancora di più i giochi d'acqua cari agli arabi. Mentre la Mezquita è sempre lì, che si lascia intravedere, tra viuzze affollate e patios avvolgenti.
Quando la passeggiata tra i negozi di souvenir e il giro delle tapas d'ordinanza in qualunque città andalusa si possono considerare conclusi, quando la Córdoba contemporanea, di ampli viali, Corte Inglés ed eleganti piazze in cui attardarsi a bere un tinto de verano, ha mostrato tutto il suo encanto e la sua estraneità alla città medievale, pochi isolati più giù, allora si può entrare nella grande Moschea. Si è accolti dalla penombra di centinaia di colonne, una dietro l'altra, una diversa dall'altra, sormontate da archi a ferro di cavallo e la cui prospettiva è interrotta di tanto in tanto da qualche altarino cristiano piazzato a caso. Se c'è un posto al mondo dove l'invadenza cristiana è più evidente, fastidiosa e dolorosa, è la Mezquita di Córdoba.
Al centro della costruzione c'è la Cattedrale barocca, elegante e grandiosa come richiesto. Sarebbe anche bella, se non fosse al centro di un altro monumento. Rende assolutamente condivisibili le celebri parole di Carlo V agli architetti: "Avete distrutto qualcosa di unico per costruire qualcosa che si trova ovunque". Lungo il perimetro interno della Mezquita, sul lato opposto all'ingresso c'è il preziosissimo mihrab, che indica la direzione de La Mecca ed è il luogo più sacro. A Córdoba è coperto da un'elegante cupola dorata, con una struttura raffinatissima, a ottagono, che è stata ripresa dal Guarini per la cupola della Chiesa di San Lorenzo, a Torino. Nella penombra si vedono camminare famiglie di turisti europei e americani, giovani con lo zaino intenti a leggere la guida, musulmani africani e orientali con figli al seguito e guida in mano, giovani musulmani con gli occhi chiusi concentrati nella preghiera, perché, anche se consacrato tempio cristiano, la Mezquita continua ad essere un luogo sacro e di preghiera anche per i musulmani. Uno dei posti più intensi che si possano visitare.
All'uscita, il Patio de los Naranjos, il Giardino degli Aranci che caratterizza tutte le antiche moschee andaluse e, che invita al riposo, alla lettura e anche alla contemplazione. Lungo i muretti che delimitano il cammino, si siedono in tanti, prima di uscire e di tornare a Córdoba.