domenica 3 maggio 2009

Cosa abbiamo fatto per meritarci Los abrazos rotos?

"Visto che questo film gioca al cinema nel cinema, c'è solo una spiegazione possibile per capire perché Almodóvar abbia firmato una stupidaggine di queste dimensioni: che come è successo al suo protagonista, un regista che ha sedotto l'amante del produttore che paga il film per soddisfare il suo capriccio di essere attrice, il cornuto mecenate, arrabbiato e desideroso di vendetta, gli abbia tolto il film per montarlo a casaccio, utilizzando i peggiori ciak per distruggere il suo prestigio e rovinare quello che sarebbe stato un capolavoro. Così si spiegherebbe l'esistenza di questo pretenzioso, vuoto, noioso, falso, scritto male e pessimamente diretto e peggio interpretato film che segna il punto più basso della declinante carriera di un Pedro Almodóvar che sembra incapace di recuperare lo stato di grazia comica di Cosa ho fatto io per meritare questo? o Donne al bordo di una crisi di nervi, che contano già un quarto di secolo sulle spalle, o lo stato di grazia melodrammatica di Matador, Tutto su mia madre o Parla con lei. Magari, come succede nel film, tra molti anni Almodóvar scoprirà le migliori riprese di Los abrazos rotos, le monterà con un senso e otterrà che sia questo grande film tragico, romantico e appassionato che ci hanno annunciato con grande dispiego di pubblicità, ma non abbiamo visto da nessuna parte nelle due noiose ore passate guardandola. Dato che Pedro Almodóvar si autoproduce, e per questo controlla dall'inizio alla fine le sue opere, questa ipotesi metacinematografica dedotta dal suo stesso film, ha poche probabilità di essere vera".
A una critica così demoledora, letta pochi giorni fa su Malaga Hoy, credo di aver poco di aggiungere. Ho visto Los abrazos rotos (Gli abbracci rotti in Italia) e non mi è piaciuto. Non so spiegare perché non mi sia piaciuto.
Non ho riconosciuto Almodóvar in nessun momento. Mancano la freschezza del primo Almodóvar e l'equilibrio melodrammatico dell'ultimo. Mancano totalmente questi personaggi dell'universo almodovariano, fatto di prostitute innamorate di gay, di transessuali che inseguono amori impossibili, di persone che nella loro diversità colpiscono e si fanno amare per la loro umanità, dimostrandoci che l'importante è saper amare. Mancano i suoi colori, la sua vivacità, i suoi guizzi.
La storia è facilissima e si svolge in due tempi diversi, che si sovrappongono, nell'attualità seguiamo la vita di uno scrittore cieco che ritrova l'ultimo corto girato prima di perdere la vista e con l'aiuto della sua assistente lo rimonta così come gli sarebbe piaciuto montarlo all'epoca; nel passato ritroviamo lo scrittore non ancora cieco e regista di un cortometraggio, finanziato dall'amante della protagonista: regista e attrice si innamorano, fuggono insieme alle Canarie per vivere il loro amour fou fino a quando un incidente automobilistico provocato dal produttore geloso causa la morte di lei e la cecità di lui; la confessione finale dell'assistente dello scrittore-regista, che rivela di essere in qualche modo complice del produttore a causa della gelosia, rimette le cose al proprio posto: il regista-scrittore fa la pace con il mondo e rimonta il suo cortometraggio perché "ci sono dei film che bisogna sempre completare, richiedano il tempo che richiedano" (cito a memoria).
In nessun momento si parteggia per i due amanti in fuga, Penélope Cruz e Lluis Homar, anzi, ci si chiede continuamente cosa lei, giovane e bella, possa trovare in lui, maturo e non particolarmente stimolante, e cosa lui ci possa trovare in lei, ambiziosa e per questo un po' puttana; in più l'interpretazione di entrambi, Cruz e Homar, ci regala due personaggi spenti e privi di alcun carisma che possa spiegare questo amour fou e in nessun momento si vede nei loro gesti e nei loro sguardi questa follia dell'anima che è l'amore, soprattutto se proibito e pericoloso. Blanca Portillo, che interpreta l'assistente di Homar, si passa tutto il film con la faccia truce che non si capisce perché, fino alla confessione/liberazione finale. Forse l'unico che si capisce perché sia sempre feroce è José Luis Gomez, pazzo della Cruz fino al punto di improvvisarsi produttore, accontentare le sue ambizioni e, allo stesso tempo, tenerla sotto controllo: si capisce perché lui era il suo capo e ci aveva provato inutilmente, poi lei si era dovuta prostituire per necessità e lui aveva voluto essere suo cliente, per averla, finalmente; chiaro che con queste basi non si va molto lontano e che lui stia sempre sul chi vive, mettendole persino alle costole il proprio figlio, armato di una telecamera con cui la riprende continuamente e i cui filmati si fa interpretare da una lettrice delle labbra ingaggiata per carpire i discorsi dell'amante con le persone incontrate.
Nel frattempo si intravedono storie che dovrebbero aggiungere melò e che sanno di telenovela messicana (non tutte le telenovelas sono uguali, si parlerà presto anche di questo in Rotta a Sud Ovest), tipo che il figlio gay del produttore vuole che lo scrittore cieco gli scriva la sceneggiatura del film o la vera paternità del figlio di Blanca Portillo (che mentre lei lo rivela diventa prevedibile come una telenovela messicana, per l'appunto). Però non ci si appassiona a niente. Rimangono freddi e spenti gli attori sullo schermo (se attaccano di nuovo che la Cruz merita l'Oscar anche per questo film rimango più che basita), mentre noi sotto, a guardarli, ci passiamo il tempo a chiederci, ma quando finisce? Oppure, come suggerisce molta critica spagnola giocando con la filmografia del gran manchego: Cosa abbiamo fatto per meritarci questo?
Los abrazos rotos non è andato benissimo ai botteghini spagnoli e non ha convinto la critica locale. Adesso lo aspetta la prova di Cannes. Suerte, ma la Palma d'oro no, por favor.