
Nel suo curriculum ci sono varie presenze in nazionale nelle categorie inferiori e, soprattutto, una finale di Coppa UEFA, nel 2007, persa ai rigori con il Sevilla, e la Copa del Rey, vinta nel 2006 contro il Zaragoza. Poco meno di un mese fa, il 18 luglio, era stato nominato capitano dell'Espanyol, una scelta dell'allenatore Mauricio Pochettino che era stata approvata all'unanimità dallo spogliatoio. E Dani, che si sentiva a disagio alle conferenze stampa, "non perché le detesti, ma perché mi vergogno", e che aveva lavorato per perdere la timidezza che lo faceva arrossire davanti all'osservazione di un giornalista, aveva ricevuto la nomina con orgoglio e responsabilità. A 26 anni era il simbolo dell'Espanyol, una delle sue immagini più carismatiche e un esempio vivente dell'utilità di un vivaio attento a ciò che avviene in città e dintorni, e lo sapeva: "Dovrò sforzarmi per mantenere l'armonia, non nascondermi quando le cose andranno male, ascoltare i desideri del gruppo e lottare per gli interessi comuni" aveva detto commentando il suo nuovo ruolo di capitano. E aveva aggiunto qualcosa che spiega cosa significa essere gli "altri" di una città: "Ma esigerò a tutti lavoro, aiuto al compagno e generosità nello sforzo. Siamo l'Espanyol e bisogna uscire, grattare e dimostrare il nostro orgoglio".
Come Antonio Puerta, morto quasi due anni fa, lascia una compagna, Jessica, incinta di 7 mesi, che lo ha sentito morire al telefono e che, preoccupata, ha dato per prima l'allarme ai compagni dell'Espanyol in albergo con Dani, e una città, Barcellona, choccata. Il Barcelona, in tour negli Stati Uniti, non si è limitato alle condoglianze di circostanza e ha giocato l'ultima partita americana prima del ritorno in Spagna con il lutto al braccio. Il Valencia e l'Arsenal, incontratisi in un'amichevole di preparazione al campionato, hanno reso omaggio al capitano scomparso con un minuto di silenzio. Che agosto la smetta di essere così crudele con il calcio spagnolo.