mercoledì 19 agosto 2009

Paz sin Fronteras a L'Avana: Miguel Bosè, la pace non è redditizia

Credo sia chiaro che mi sta appassionando tutta la dinamica scatenata dal concerto Paz sin Fronteras a L'Avana, il 20 settembre. Mi piace l'attenzione con cui i media spagnoli seguono la vicenda (fondamentalmente mi piace il legame che la Spagna ha mantenuto con le ex colonie, dedicando sempre molto spazio a quello che succede a sud del Rio Grande, sia a livello politico che culturale, sociale ed economico). Oggi è El Pais che si occupa del concerto habanero di Juanes. Lo fa con un bell'articolo firmato da Miguel Bosè, un uomo, un mito, una garanzia; un bravo ragazzo del '56 che non tradisce mai idee e amici e che non delude chi lo ama sin dall'adolescenza e continua a credere che vale sempre la pena battersi per un'idea.
Poi c'è una bella intervista a Juanes, che racconta l'assedio a cui è sottoposto, la preoccupazione per Karen, la moglie incinta di otto mesi, che non può più ormai lasciare Miami per la più tranquilla e natia Colombia in attesa che passi l'uragano, e la determinazione di chi si sente nel giusto. Traduco entrambi gli articoli in due post, uno di seguito all'altro.
Iniziamo con Miguel Bosè, che in spagnolo potete leggere qui

La nostra intenzione era dare un concerto per la pace in plaza de la Revolución a L'Avana, un posto riservato alle grandi occasioni. Semplicemente questo.
Tempo fa con Juanes e altri musicisti abbiamo creato una piattaforma chiamata Paz sin Fronteras. Vogliamo che le costituzioni democratiche riconoscano il diritto fondamentale degli individui a vivere in pace; il diritto alla cultura della pace. Sembra una stupidaggine, ma non lo è. Crediamo che se si riconosce questo diritto, qualunque cittadino del mondo potrà almeno reclamare che si rispetti. Noi impieghiamo l'unica arma alla nostra portata, la musica. E agiamo in modo preventivo. Abbiamo fatto un concerto a Cúcuta (Colombia). Le relazioni diplomatiche tra Venezuela, Ecuador e Colombia si sono irrigidite e noi siamo andati lì con un messaggio di musica, per evitare il peggio.
Così L'Avana ci è sembrata un buon posto per reclamare la pace come una necessità di benessere e comprensione sociale, di assenza totale di conflitti. Non solo come qualcosa di opposto alla guerra né come qualcosa di edulcorato che chiedono le Miss nei concorsi di bellezza. Il fatto è che la guerra è redditizia in tutti i sensi, anche mediaticamente. La pace non tanto.
Quando decidemmo per L'Avana, pensavamo che avremmo ricevuto adesioni di tutti i tipi. Invece ci dicevano: "Come vi viene in mente fare un concerto a Cuba?" Sono già quattro mesi di un grandissimo mal di testa. Riceviamo minacce e pressioni di gruppi dell'esilio di Miami con un grande potere. Per noi che viviamo da questo lato dell'oceano non è difficile. A me gente importante ha detto di non macchiare il mio nome e non so che altro. Ma in Florida la pressione è enorme. Per quanto detto, capiamo che molti dei musicisti che vivono a Miami, che all'inizio avevano detto che si sarebbero esibiti, come Enrique Iglesias, Maná o Ricky Martin, abbiano poi deciso di non partecipare. C'è stata una riunione al vertice a Miami, tra musicisti, gente delle case discografiche e ognuno ha dato le proprie ragioni. Altri, come Olga Tañón, Calle 13 o Hierbabuena (un gruppo newyorkese con una cantante cubana) si sono aggiunti.
Abbiamo l'appoggio dell'Amministrazione di Obama e c'è una delegazione di Paz sin Fronteras a Cuba che sta negoziando con le autorità per evitare che ci sia una strumentalizzazione del nostro messaggio. Vogliamo che sia un concerto bianco. Il resto è propaganda e dobbiamo evitarla. In questo preciso momento ci troviamo in una situazione di impasse; se non siamo capaci di creare un cartello equilibrato, in cui siano rappresentati artisti del regime come Silvio Rodríguez o los Van Van e quelli che si oppongono ad esso, niente di quello che stiamo facendo avrà senso.
Non abbiamo mai pensato che le cose sarebbero andate in questo modo. Ci sono state situazioni molto sgradevoli, soprattutto per i colleghi che vivono a Miami. Juanes è lì perché sua moglie sta per partorire e per indicazione medica non può viaggiare a Medellín. Altrimenti avrebbero lasciato la città finché tutto si calmava. Poco tempo fa uno signore di 75 anni, cubano del primo esilio, li stava aspettando sulla porta di casa e li ha insultati. A lui ha detto di tutto, persino assassino. Un ragazzo cubano si è messo di mezzo e ha contenuto l'aggressore. Dopo ha supplicato Juanes di fare questo concerto a L'Avana, che era necessario per tutti.
Questa è la divisione di Miami. Le giovani generazioni cubane che vivono in Florida non possono più ascoltare lo stesso messaggio di rancore. E' un messaggio di dolore, di gente che ha sofferto con la  revolución e ha tutto il diritto di continuare a sentire questo dolore, ma dovrebbe però permettere che le cose evolvano. Proprio adesso, in questo momento preciso, in cui Obama è disponibile a chiudere Guantánamo, a togliere qualcosa dell'embargo, noi celebreremo questo concerto. La riconciliazione, dopo tanto tempo di litigi, non può tornare indietro.