giovedì 29 luglio 2010

La crisi colpisce i giovani architetti spagnoli, costretti a lavorare quasi gratis

La crisi economica assume un altro colore e un altro sapore quando i numeri diventano volti e persone. Per questo El Pais sta incontrando persone che hanno perso il lavoro a causa di una crisi che sta falcidiando le loro speranze di futuro. Questa è la storia di un giovane architetto, mi ha colpito perché, pur senza la sua passione, ho fatto i suoi stessi studi e ho visto lo stesso sfruttamento di cui lui parla in un altro settore e in un altro Paese, nel giornalismo e in Italia. E' la stessa incapacità di scommettere sui giovani e di investire sul loro talento, la stessa voglia di sfruttare l'entusiasmo e la voglia di fare, senza alcuna visione di futuro, basandosi solo sul guadagno del momento. Accomuna non solo l'Italia e la Spagna, ma tutto il mondo latino, dove lo sfruttamento vale più del merito, dove la richiesta di stipendi degni si vende come poca voglia di lavorare. Poi si chiedono perché i migliori se ne vanno, perché quelli che restano non si impegnano più del necessario. E, la cosa le fa girare, c'è chi ha la faccia tosta di chiamare, chi vuole lavorare con uno stipendio dignitoso e fatica a mantenersi da solo, bamboccione, invece di assumersi la responsabilità di non avergli preparato un futuro degno. L'articolo è lungo, ma Ricardo e quelli come lui, meritano si legga fino alla fine. E che abbiano fortuna, alla faccia dei loro Paesi ingrati e incapaci, e di chi li giudica, avendo fallito.

Ricardo Paternina appartiene a questa generazione di giovani spagnoli super-preparati che, alla fine degli studi, ha incontrato un panorama lavorativo tanto effervescente quanto desolante, in cui tutta la sua preparazione si è tradotta in stipendi non mileuristas, ma vicini al salario minimo professionale, con l'aggravante di avere "moltissima responsabilità senza alcuna tutela". Gli stessi giovani che, abituati con la forza a guadagnare una miseria, a giornate di 12 ore, a giorni incatenati senza dormire per finire le consegne e a fine settimana senza remunerazione, sono finiti disoccupati, in una situazione angosciante, a cui non vedono via d'uscita e che fa loro ricordare gli anni di lavoro in condizioni lamentevoli come "il paradiso". Il suo caso è doppiamente ingiusto, dato che la precarietà lavorativa si produceva in un settore prospero, quello del mattone, che viveva gli anni del successo inarrestabile. Fino a quando si è arrestato e ha cancellato letteralmente dalle mappe migliaia e migliaia di muratori, pittori, falegnami, idraulici, elettricisti, architetti, costruttori, promotori, case immobiliari...
Nato a Santander, ha studiato gran parte del suo corso, Architettura, in Donosti, a cui si sommano un anno di formazione in Olanda e un altro in Inghilterra. "Sono sei anni di studi, un altro per la tesi, mille corsi, quattro anni di dottorato...". Ha terminato gli studi nel 2006, si è trasferito a Madrid e da allora ha "lavorato e si è preparato moltissimo" in tutti i tipi di studi "grandi, medi e piccoli", in cui è arrivato a realizzare "progetti molto potenti, di grande livello", toccando tutti i punti della sua professione: progetti di esecuzione, ristrutturazioni, edifici di alloggi, centri della gioventù, "molti tipi di edifici in Paesi esotici ed emergenti del Medio Oriente"... Preferisce non fare nomi perché sa che "non gli piacerebbe" quello che ha da dire e non vuole neanche "criminalizzare" alcuni studi e "scusare" altri, quando la situazione è comune a tutti.
"All'inizio hai tanta ilusión che accetti qualunque cosa, quando mi stancavo dello sfruttamento, andavo da un'altra parte, cercando migliori condizioni e di avere una prospettiva globale dell'architettura", spiega seduto sulla terrazza del suo appartamento, in affitto e condiviso, a Lavapiés, il quartiere più multiculturale di Madrid. Per sfruttamento intende il pane di ogni giorno di migliaia di professionisti del suo settore, che lavorano come se fossero dipendenti in studi che, invece, non fanno loro un contratto, ma pagano un fisso mediante fatture e li obbligano a diventare autonomi e a pagarsi la sanità, senza extra, senza vacanze, senza diritti alla disoccupazione, con licenziamento libero e senza costi... Sono i falsi autonomi.
Nel suo viaggio attraverso tutti i mondi e sottomondi dell'architettura ha guadagnato "un minimo di 900 euro lordi al mese e un massimo di 1800", anche se la media era intorno ai 1200-1400. Ma sottolinea la sfumatura del "lordi" e fa un esempio tirato fuori dal combattivo blog arquitectosexplotados. "Nell'ipotetico caso di un lavoratore per conto d'altri e di un falso autonomo, entrambi guadagneranno 1700 euro al mese, che al secondo si riduce a 792 euro al mese, perché sono 12 stipendi, non 14, deve pagarsi la sanità o l'iscrizione all'Ordine degli Architetti, un'assicurazione nel caso rimanga senza lavoro..." "Conosco molti colleghi che sfiorano il salario minimo, mentre io in Olanda sono arrivato a guadagnare come borsista, come borsista!, 2500 euro netti" sottolinea indignato, senza abbandonare il suo tono educato e tranquillo, per aggiungere che tutti i suoi amici e conoscenti si trovano nella stessa situazione, che non ha mai visto un'ispezione di lavoro in nessuno degli uffici per i quali è passato e che non conosce alcun collega che abbia denunciato la situazione.
Come esempio paradigmatico del fenomeno, "un cocktail molotov a cui si arriva sommando l'abbondanza di collettivi con onorari liberalizzati e un complessissimo Codice Tecnico dell'Edificazione", Ricardo ricorda lo slogan che lo studio londinese dello spagnolo Alejandro Zaera Polo ha usato per reclutare borsisti, "che stanno ancora peggio" dei falsi autonomi. Diceva direttamente: "Abbiamo bisogno di schiavi". La cosa peggiore di questa situazione è che è "completamente generalizzata" e molti architetti consolidati anche se volessero trattare meglio i propri lavoratori, non lo fanno perché "perdono il vantaggio competitivo rispetto agli altri". "Nei concorsi pubblici fanno punteggio i ribassi degli onorari e sono arrivato a vederli fino del 45%. Come fanno? Tagliano gli stipendi pagati agli schiavi. Si nutrono di gente che possono mandare via perché c'è sempre gente dietro disposta a inghiottire tutto senza lamentarsi perché non ha un paracadute". Riccardo non accusa né scusa nessuno in questo circolo vizioso: "Abbiamo colpa tutti, quelli che propongono queste condizioni e quelli che le accettano". Era, a suo giudizio, un'epoca di "perfetta asimmetria" in cui un'ingente quantità di guadagno rimaneva "nelle mani di pochissimi". 
Però in questo stato di cose "si è prodotta la crisi", detto questo con un mezzo sorriso ironico, che lo ha trovato in uno studio importante in cui lavorava da un anno e mezzo. "Finirono i lavori e noi ce ne siamo dovuti andare" in strada, lui e altri 10 colleghi. Da gennaio 2010 è ufficialmente disoccupato, come altri 3576 colleghi, anche se dubita molto di questo dato perché nel suo settore c'è "molta economia sommersa", "Molti uffici aperti senza lavoro" e molta gente che "sopravvive male". In questi sei mesi non ha ricevuto "neanche una chiamata" dall'Inem, dove, questo sì, gli hanno fatto i complimenti per il suo magnifico curriculum e per la sua specializzazione. Nel suo settore l'ultima cosa che gli hanno offerto e a cui si è negato "per principio" è uno stipendio da "3 a 5 euro l'ora e senza contratto", quando "una domestica guadagna 12 euro e con contratto". "Mi rifiuto di continuare a collaborare alla svalutazione dell'architettura, ad accettare uno stipendio tanto più basso di quello di qualunque altro professionista, preferisco lavorare in qualunque altra cosa che mi permetta guadagnare per vivere e avere tempo per continuare a cercare lavoro nel mio settore, per continuare a fare tesi e altri corsi". Di fatto è appena tornato da un corso a Santander e continua a presentarsi a concorsi e a diversificare il suo curriculum, per comprendere altri campi legati all'architettura come il disegno grafico, di mobili, calcolo delle strutture, installazioni... "L'idea è non fermarti, continuare a fare architettura in una qualunque delle sue forme".
Per sopravvivere, accetta lavori occasionali, dando informazioni in uno stand della fiera Ifema. "non mi cadono gli anelli, né devo vergognarmi di niente" sostiene con una coerenza e una dignità incredibili, le stesse che l'hanno portato a cercare qualche aiuto statale. Nella sua innocenza pensava che un giovane disoccupato, ma senza diritto ad avere la prestazione di disoccupazione, figlio di genitori divorziati e con una madre che non lavora, che ha studiato tutta la sua carriera scolastica con borse di studio, senza risparmi né proprietà, avesse diritto a qualche sussidio. "Ma mi hanno detto di no, che non sono alcolizzato né drogato, né ex carcerato né un pericolo per la società". Così, ragazzo, cavatela da solo. In questo "inferno", in cui nessuno ti aiuta "perché si suppone abbia una capacità bestiale di trovare lavoro, però quando c'è", ha considerato anche l'idea di andare alle mense sociali, ma i suoi amici l'hanno aiutato e dissuaso. Ricardo, che condivide l'appartamento con una sceneggiatrice, anche lei disoccupata, e per cui paga 370 euro al mese più le spese, non capisce il paradosso di un Paese in cui "alcune persone acquisiscono una grande quantità di conoscenze e lavorano per chi non le ha, molti di loro senza alcuna etica e che per di più si sono arricchiti", dice riferendosi ad alcuni promotori e costruttori "opportunisti e approfittatori" che hanno favorito la cattiva immagine che si ha dell'edilizia.
Non capisce neanche come sia possibile che "un idraulico senza alcuna formazione" ti faccia un "pasticcio tremendo in casa" con il silicone e "mettendo i tubi dove non deve" e prenda "un onorario esorbitante". "Chiunque guadagna più di te, un cameriere, un muratore" si lamenta. Ma soprattutto sente "rabbia" contro lo Stato: "Tra tutti paghiamo molto tempo, denaro e sforzo nella formazione degli universitari, perché costa molto di più di quello che si paga con l'iscrizione, e dopo non si è creata una struttura per mantenerli in un Paese che li espelle". Interrogato se, sapendo quello che sa e dopo sei mesi disoccupato, ristudierebbe architettura, ride, per la prima volta durante l'intervista, e assente con il capo. Questa stessa domanda se l'è fatta mille volte. "Sì, senza dubitarlo un minuto, la mia è una vocazione fino alla fine, costi quello che costi. E' quello che mi piacerebbe fare per vivere, anche se se lo chiedi a molti altri direbbero di no".
Cosa si potrebbe fare per migliorare questa nera prospettiva, con professionisti disoccupati e uno stock di 800mila alloggi invenduti? "In primo luogo legalizzare la situazione lavorativa degli architetti che lavorano per gli altri, chiarire i loro diritti e obblighi, pagare loro un salario degno, e aprire nicchie lavorative per ricollocare i professionisti eccedenti. Ci sono sempre cose da fare, mancano strutture sociali, ristrutturazioni di appartamenti... l'architetto deve spingere la città e mantenerla in un'evoluzione costante. Sull'eccedenza di alloggi, per iniziare non è neanche reale, non è che non ci sia domanda, ma non a questi prezzi, anche se io non sono né politico né economista".
"Viviamo un'instabilità bestiale. Hanno distrutto tutte le nostre aspettative, ci hanno lasciato senza possibilità di accedere a quello di cui abbiamo bisogno" confessa in tutta la sua crudezza e facendosi improvvisato portavoce dei trentenni, per sottolineare che in Spagna "l'orologio biologico umano non coincide con quello lavorativo, cosa che porta allo scoraggiamento e alla depressione". La sua speranza è avere "una vita stabile, semplice e tranquilla, dedicata all'architettura e con un posto in cui poter vivere". Il suo sogno, aprire uno studio e avere questo "primo incarico di un progetto intero in cui poter esprimere", alla fine, tutte le sue conoscenze "in qualcosa di costruito". Sa che è difficile, tra le altre ragioni per l'investimento iniziale che richiede, per "la complessità e il lavoro ingente addizionale" che ha introdotto il Codice Tecnico dell'Edificazione e perché i professionisti devono pagare l'assicurazione della responsabilità civile per 10 anni. "Questo ti obbliga ad assicurare una cartella di clienti che ti permetta di coprire queste spese per 10 anni" spiega. A settembre farà "un ultimo tentativo" con il suo migliore amico, anche lui architetto, con cui cercherà di avviare una delle sue molte idee, come "mettere su un'impresa di accessori per l'architettura" e presentarsi ai concorsi. Se non funzionerà, se non potrà "esercitare la sua professione degnamente", se ne andrà in altri Paesi come l'Olanda, la Germania o la Svizzera, dove sarà trattato "meglio".