E' arrivata a Chihuahua, nella notte messicana, la Caravana por la Paz con Justicia y Dignidad, partita da Città del Messico alcuni giorni fa per fare tappa in alcune delle città più colpite dalla violenza e dall'insicurezza, come Morelia, Monterrey o Torreón, fino ad arrivare nello Stato di Chihuahua e nella sua ultima città di frontiera, Ciudad Juárez, la città più violenta del Messico. E proprio nella città di frontiera la Caravana incontrerà anche i messicani che si sono rifugiati negli Stati Uniti per scappare dalla violenza: "Vogliamo si sappia che anche se ci hanno costretto a lasciare il nostro Paese e ci siamo rifugiati in un altro, non significa che la lotta per la giustizia sia finita" ha detto da El Paso, la città statunitense dirimpettaia di Ciudad Juárez, Juan Frayre, figlio di Marisela Escobedo, la donna uccisa alcuni mesi fa per aver insistito a cercare giustizia per la figlia 16enne, assassinata dall'ex fidanzato malavitoso.
A guidare la Caravana de la Paz c'è Javier Sicilia, il poeta diventato un vero e proprio simbolo della dignità del Messico per milioni di compatrioti. Il figlio Juan Francisco è stato torturato e ucciso, senza un perché, alcuni mesi fa, a Cuernavaca, e da allora Sicilia si è messo alla testa di un movimento che chiede giustizia per gli assassinati dalla delinquenza e la fine dell'impunità dei colpevoli (nel Messico il 95% dei delitti rimane impunito, anche per le connivenze delle forze di sicurezza con i delinquenti).
Il viaggio della Carovana della Pace è stato un viaggio nel Messico profondo e per bene, che ha avuto per la prima volta, finalmente, l'opportunità di esprimere il proprio dolore, la propria rabbia e la propria sete di giustizia. Le storie raccolte dalla Carovana durante il viaggio, negli atti e nelle riunioni pubbliche organizzati nelle città toccate, parlano di una violenza inaudita, di interi paesini presi in ostaggio dai narcos e di decine di cittadini trattati quasi come chiavi. Lungo la strada che porta da Zacatecas a Durango, capitali degli omonimi Stati centro-settentrionali del Messico, centinaia di persone dei paesini attraversati, si sono riversate per le strade, per raccontare la propria storia e la propria paura. Un video di El Universal, raccoglie le testimonianze degli abitanti di Vicente Guerrero, un paesino preso in ostaggio dai narcos, in cui tutti cercano di essere in casa entro l'imbrunire per evitare sparatorie e in cui ogni sera le donne aspettano con ansia il ritorno degli uomini e dei figli, prima che la notte prenda il sopravvento. In questo paesino può anche capitare, testimonia una donna, che chiamino a casa chiedendo alla padrona di cucinare per una quarantina di sicari e se non lo si fa, la pena è la morte. Ma il passaggio della Caravana por la Paz ha aiutato a superare la paura e a denunciare la situazione ai media, perché denunciarlo alle autorità è una perdita di tempo: "Qui non c'è l'autorità" denuncia una donna nel video di El Universal "nessuno vuole fare il poliziotto c'è troppa paura". Anche a Durango, grazie alla Caravana, centinaia di persone hanno lasciato la paura a casa e sono scese in strada, in piena notte, per chiedere pace e libertà.
"Abbiamo perso la paura" ha commentato Javier Sicilia, al vedere tutto quello che ha messo in moto l'assassinio di suo figlio e il suo rifiuto di accettarla come un'altra morte senza colpevoli. "I racconti raccolti da Sicilia e dai suoi compagni rivelano la profondità della tragedia vissuta e svelano sia l'inefficacia della polizia che il fallimento assoluto della strategia voluta dal governo federale contro il crimine organizzato, in particolare il narcotraffico, così come gli elevati livelli di corruzione esistenti in tutte le corporazioni della polizia e gli scontri dei funzionari federali integranti il Gabinetto di sicurezza pubblica, rivelati in tutte le loro dimensioni dai funzionari nordamericani nei loro rapporti ai loro superiori immediati al Dipartimento di Stato, alla cui guida c'è l'ex candidata alla presidenza Hillary Clinton" scrive il quotidiano di Ciudad Juárez El Diario, in un articolo intitolato La Caravana del Dolor. E' un articolo bello, struggente e interessante, perché parla del Messico per bene che le cronache tendono a nascondere, richiamate soprattutto dalla violenza. "Il dolore, per disgrazia, non è solamente quello dei congiunti della guerra dei signori della morte, come li ha chiamati Sicilia, ma anche quello causato dai delitti commessi da loro contro il resto della società e da quelli provocati o realizzati dalle forze dell'ordine, di tali dimensione che hanno provocato la più ampia corrente di rifiuto ai governanti, alla classe politica, ai gruppi di polizia e, soprattutto, ai delinquenti, che hanno rotto tutti i limiti con questa ondata di violenza. Gli effetti delle politiche economiche depauperanti si erano manifestati praticamente in tutte le nazioni subordinate, ma in nessuna con la magnitudine con cui si manifestano adesso nel Messico: neanche in Colombia la tragedia prodotta dai signori della morte e dall'azione di governo, ha acquistato i livelli raggiunti qui. Qui si sono uniti due fattori, chissà quale più esplosivo: l'immenso sfruttamento della classe egemone su quelle subordinate e il traffico della droga verso gli Stati Uniti. E' stata la tormenta perfetta: miseria galoppante, disoccupazione massiccia, alti livelli di disuguaglianza sociale e lotta dei gruppi criminali per le rotte e i territori della droga. Se qualche ingrediente mancasse, c'è l'irrazionale testardaggine della classe governante per mantenere una politica economica depauperante, non solo per gli individui, ma per l'intera società. E poi dobbiamo aggiungere l'incessante barbarie dei signori della morte (e in molti casi di elementi dei gruppi di sicurezza pubblica). Contro tutti si alza lo sforzo di uomini come Sicilia, che possono raggiungere il più ampio sostegno della società messicana, perché non si tratta solo di condividere il dolore, che è molto, ma di trasformarlo in proposta di vita, di riabilitazione, di speranza, di rigenerare nella società le più elevate aspirazioni e superare tutto quello che è successo e tutti quelli che, con le loro azioni e altri con le loro omissioni, si oppongono. E' di tale trascendenza, o può esserlo, la mobilitazione che oggi tocca Chihuahua, che altri temi estremamente caldi, dovranno aspettare. Per adesso, benvenuti caravaneros, costruttori della pace, con molta dignità e più giustizia".
Quando si legge della violenza crudele e inaudita di cui sono vittime i messicani, quando si vede che lo Stato manca nei suoi livelli più elementari, le forze di sicurezza e la giustizia, in larga parte corrotte, ci si chiede come possa risorgere un Paese, a cosa possono affidarsi i cittadini per bene, cosa si può fare per evitare che iniziative come quelle di Javier Sicilia, capaci di dimostrare l'esistenza di una maggioranza schiacciante silenziosa e onesta, scompaiano inghiottite nell'indifferenza di una classe politica mediocre e collusa, vengono in mente Felipe Gonzalez, Mario Vargas Llosa e tutti coloro che sostengono la legalizzazione della droga.
Il quotidiano Milenio intervista oggi Joel Ortega Juárez, uno dei leaders degli studenti massacrati a Città del Messico il 10 giugno 1971, per chiedere, anche loro, giustizia, libertà e dignità. 40 anni dopo Ortega presenta il suo libro, 10 de junio: ganamos la calle!, in cui rivendica quel movimento studentesco, che insegnò ai messicani che le strade appartengono al popolo (un concetto ripreso in questi mesi anche sulle rive del Mediterraneo, da Tunisi, Bengasi, Il Cairo e Damasco, passando per Madrid, Parigi, Atene e Istanbul). "Per finire questa supposta guerra contro i narcos bisogna legalizzare le droghe" dice a proposito delle richieste di un cambio di strategia nella lotta ai narcotrafficanti "Tutti parlano dei cárteles, nessuno degli statunitensi, neanche delle autorità gringas che permettono il passaggio della droga alla loro frontiera". Ma la legalizzazione della droga incontra enormi resistenze nel Cono Sur: il neo presidente del Perù Ollanta Humala e il presidente della Colombia Juan Manuel Santos si oppongono fermamente alla misura, nonostante i loro Paesi siano i principali produttori della cocaina consumata in Europa e negli Stati Uniti. Nella legalizzazione c'è una dimensione etica che non tutti i Governi sono disposti ad affrontare.
Blog sulla Spagna e sull'America Latina: cinema, politica, cultura, letteratura, telenovelas, turismo e varia attualità del mondo in lingua spagnola