La violenza del narcotraffico, l'impunità, la corruzione, i 40mila morti in 4 anni. Non è questo il Messico che vogliamo, hanno assicurato in migliaia, riempiendo lo Zócalo di Città del Messico. Erano in 200mila secondo il Movimiento Por la Paz con Justicia y Dignidad che ha organizzato questa Marcia per la Pace, poco più della metà secondo le forze di sicurezza. Di sicuro erano molti di più di quanti entrambi si aspettassero e hanno riempito la piazza più grande del Messico come poche volte si è visto.
Erano i messicani onesti, i genitori e i familiari di giovani mai tornati a casa, di persone uccise senza un perché a un crocevia, di adolescenti dalla vita normale comparsi torturati e uccisi in qualche casolare. Migliaia di persone stanche dell'impunità dei delinquenti, della corruzione della Polizia che non indaga, del 90% degli omicidi che rimane senza soluzione. Hanno seguito l'appello di Javier Sicilia, un poeta piuttosto apprezzato, che, alla fine di marzo, è diventato uno di loro: suo figlio, il 24enne universitario Juanelo, è stato torturato e ucciso insieme ad altre sei persone, a Cuernavaca. Sicilia ha deciso che l'assassinio di suo figlio non sarebbe entrato nel conto dei 40mila morti in 4 anni, causati dalla guerra dichiarata dal Presidente della Repubblica Messicana Felipe Calderón al narcotraffico e che sarebbe servita almeno a risvegliare la coscienza civile del Messico.
Alcuni giorni fa ha iniziato il suo cammino a piedi, da Cuernavaca a Città del Messico. Ha percorso 80 km in quattro giorni, in un crescente appoggio popolare, accompagnato da altri genitori e da altre vittime degli omicidi senza un perché. E' l'altro volto del Messico. Quello che non si arrende alla violenza, all'impunità e al narcotraffico. Quello che chiede istituzioni libere dalla corruzione, finalmente democratiche, e giustizia per le vittime di tanta violenza. E' il Messico maggioritario, perché poi, quando l'attenzione dei media si concentra soprattutto sulla violenza e sull'insicurezza, sulla corruzione e sull'impunità, si arriva facilmente alle generalizzazioni e si dimenticano i cittadini onesti, quelli che continuano a credere che il proprio Paese può avere un futuro migliore e ha enormi potenzialità frustrate. "Ci ha sopraffatti la corruzione, le istituzioni sono marce, dai partiti fino al Governo Federale. Per questo il crimine campa bene, per questo ci sta rendendo vili. Non è questo il Messico che vogliamo, non è questa la nostra guerra, però questi sono i nostri morti" ha detto il poeta durante il cammino.
E in questi quattro giorni di marcia si sono unite a lui migliaia di persone e la coscienza civile del Paese ha trovato un leader di riferimento, per tornare a farsi sentire. Ha avuto protagonismo una società che rifiuta di essere manipolata e di essere strumentalizzata. Se Felipe Calderón ha iniziato questa guerra, mettendo in campo l'Esercito contro il narcotraffico, non sono senza responsabilità i partiti dell'opposizione, il più importante dei quali, il PRI, ha governato per decenni. "Non chiediamo solo che Calderón ci ascolti e ci riceva, abbiamo richieste anche per i partiti d'opposizione e i loro dirigenti. Calderón ha 40mila morti e una cattiva strategia di guerra, ma la merda l'hanno creata loro, la distruzione delle istituzioni è iniziata con loro e continuano a fare omissioni, a comportarsi come delinquenti. Questo è per tutti i partiti, non capite male" ha detto Sicilia, quando dal PRI hanno cercato di simpatizzare con la sua battaglia.
Sullo Zócalo si sono ascoltate le storie drammatiche di persone che hanno perso i loro cari, senza sapere perché. Sono state 71 storie che hanno dato per una volta voce al dolore e al trauma che queste morti significano per migliaia di famiglie; quando un numero diventa una persona, con il suo intorno di affetti e calore, le cose cambiano. La manifestazione ha dimostrato al presidente Calderón e ai politici che la versione ufficiale non è vera: i 40mila morti non sono solo il risultato della lotta al narcotraffico e le vittime non sono solo delinquenti e narcos morti in regolamenti di conti. No. Ci sono molte migliaia di persone oneste, assassinate senza avere alcun rapporto con il narcotraffico e anzi, magari avendo ideali e aspirazioni per un altro Messico. E' a queste famiglie e a questi morti che le autorità devono rendere giustizia. Innanzi tutto riconoscendo che non sono delinquenti e che la lotta al narcotraffico non può essere impostata con una violenza generalizzata sulla società.
"Con questa marcia stiamo dicendo che il Messico è in piedi, che non ha paura, che difenderà sempre i figli e le figlie di questo Paese, che non saremo ostaggi né dei criminali né dei politici" ha detto il poeta dallo Zócalo. E ha anche assicurato, nonostante le grida che chiedevano l'uscita di scena di Calderón, che la manifestazione non era contro il presidente: "Non deve avere paura dei cittadini, quello che deve fare è ascoltarci".
Il Movimiento Por la Paz con Justicia y Dignidad ha presentato sei richieste per un accordo che aiuti a superare l'impasse in cui si trova il Messico e a superare la violenza in cui il Paese è caduto. Tra le prime cose, c'è una riforma dell'istruzione, in modo da offrire un futuro migliore ai giovani ed evitare che possano cadere nella tentazione del denaro facile della criminalità, la lotta alle disuguaglianze sociali, tra le più alte dell'America Latina, la fine dell'impunità e della corruzione nelle forze di polizia e nelle istituzioni. Javier Sicilia non scherza: nel suo discorso ha invitato alla disobedienza civile se, entro tre mesi, non si vedranno le prime riforme e i primi risultati: "Dobbiamo avere le palle necessarie per non arrenderci, per non pagare le tasse e farlo tutti, per circondare il Senato e la Camera dei Deputati fino a quando non ci daranno retta". Il prossimi appuntamento è per il 10 giugno, a Ciudad Juárez, la città più violenta del Paese. Lì ci saranno le prime valutazioni degli effetti di questa manifestazione per la pace nel Messico.
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