giovedì 25 agosto 2011

La esclava de Córdoba di Alberto S. Santos, sullo sfondo di Al Andalus

Non ho ancora deciso se La esclava de Córdoba (La schiava di Cordova) dell'esordiente scrittore portoghese Alberto S. Santos mi è piaciuto, ma penso che chi ama Al-Andalus ed è interessato alle radici musulmano-cristiane della Spagna dovrebbe leggerlo. Non so se è uscito anche in italiano, in una rapida ricerca su Google non ho trovato articoli in italiano, per cui deduco che non sia ancora stato tradotto.
Nel Corte Inglés madrileno in cui l'ho comprato alcuni mesi fa, mi ha attirato il testo del quarto di copertina: "Con La esclava de Córdoba Alberto S. Santos ci invita ad effettuare un affascinante cammino nella Penisola iberica del primo millennio, terra di selvagge scaramucce religiose e crudeli assaltanti, ma anche di condottieri leggendari, valorosi cavalieri e uomini di Dio amanti del sapere. Attraverso Ouroana conosceremo, inoltre, un Al Andalus tanto oscuro nei suoi intrighi politici quanto ricco e bello nel suo crogiolo di culture". Al-Andalus è una parola magica per chi si muove tra Siviglia, Córdoba, Granada e il Mediterraneo. Mezzo millennio dopo la sua caduta è ancora ovunque, in questa terra che continua a conservare il suo nome, seppure spagnolizzato. Non sono solo la Mezquita, il Real Alcázar o l'Alhambra. Sono anche le parole che continuano ad affiorare nello spagnolo, l'impianto delle case e delle città, l'architettura dei cortijos perduti nella campagna, le spezie e il profumo dell'azahar. L'Andalusia è intrisa delle tre culture che hanno fatto di Córdoba la città più raffinata e colta del Medio Evo europeo. E non si può rimanere indifferenti, attraversando la campagna andalusa e perdendosi tra antiche moschee diventate chiese e in fortezze militari diventati castelli in qualunque cittadina del sud (Al Andalus non è solo Córdoba-Siviglia-Malaga, è anche Jerez de la Frontera, El Puerto de Santa Maria, Carmona...). Impossibile, dunque, resistere alla promessa di un viaggio nella Spagna del primo millennio. Poi.
Ouroana è una nobildonna cristiana, il cui padre, Munio, è governatore di Anégia, al confine tra gli attuali Portogallo e Galizia. Vive in una Penisola non ancora divisa tra portoghesi e spagnoli, le cui lingue iniziano appena a differenziarsi, e divisa, invece, tra il nord cristiano e il sud musulmano. Un nord chiaramente più rozzo e meno elegante, con costumi in cui si mescolano il cristianesimo e il substrato celtico. A Córdoba è appena salito al potere Almansor, ambizioso primo ministro del giovanissimo califfo, che usa abilmente la religione e la politica per espandere il proprio dominio su tutta la penisola iberica e assicurarsi il potere in Al Andalus. Le continue scorribande con cui terrorizza le popolazioni cristiane e viola chiese e monasteri hanno fatto sì che nella Spagna del nord il suo nome sia sinonimo di crudeltà, lutto e terrore.
Almansor, Córdoba e Al Andalus entrano nel mondo di Ouroana quando viene rapita da un gruppo di briganti e venduta come schiava. Finisce in una famiglia dell'alta società cordobese e, poco a poco, si adatta alla sua nuova realtà. Anche perché presto il suo cuore inizia a battere per il coetaneo Abdus, figlio dei suoi padroni. E perché il suo cuore inizi a battere per Abdus, non si sa. Il testo ci dice che trovavano conforto nelle loro conversazioni, ma cosa si dicano in queste conversazioni non lo sappiamo, così rimaniamo estranei ai meccanismi dell'attrazione tra i due. Ci crediamo sulla parola.
Ed è questo il problema del libro. E' una descrizione di straordinaria bellezza di Al Andalus. I dettagli di tutte le cure di bellezza a cui le donne dell'alta società musulmana avevano accesso, con unguenti, profumi e novità provenienti da Baghdad e Damasco, considerate le Parigi e le New York dell'epoca (e non si può non sorridere pensando a come passa la gloria del mondo). Il mercato, con le sue merci provenienti da porti esotici, con i suoi mercanti giudei e italiani, i suoi profumi di spezie. Davvero sembra di stare a Córdoba e respirarne gli odori e il calore. Così come quando Alberto S. Santos torna al Nord, per raccontarci la disperazione di Munio e Valida, i genitori di Ouroana, e di Ermigio, il braccio destro del governatore, che avrebbe dovuto vegliare sulla sicurezza della giovane, sembra davvero di muoversi in un mondo selvaggio, fatto di grandi fiumi, di montagne innevate e strade solitarie. Lo scrittore portoghese ha detto in un'intervista di aver cercato di "scrivere scene e capitoli brevi, di dargli un ritmo molto cinematografico, che portasse il lettore ad addentrarsi in questi posti geografici e che collocasse i personaggi nelle diverse location". E l'intento è perfettamente riuscito. La descrizione dei luoghi è tale che se ne sentono anche i profumi. Ermigio, che parte a cercare la sua principessa rapita, diventa compagno di viaggi del mercante giudeo Ben Jacobs, che lo introduce in un mondo nuovo:  ha amici in ogni porto, conosce i segreti di ogni città, non giudica abitudini e culture, purché gli permettano di continuare i suoi affari. Poi incontra Ibn Darraj, poeta e mistico che gli lascia riflessioni enigmatiche sui due mondi che convivono nella Penisola Iberica. Le conversazioni tra questi personaggi, che parlano di mondi lontani, che riflettono sull'influenza delle religioni sull'apertura delle società, su tolleranza e progresso e aprono una finestra sul mondo culturale e filosofico di Al Andalus, sono decisamente affascinanti, ma non servono alla trama.
A volte si ha l'impressione che l'esile storia di Ouroana, sia una scusa per mostrare tutta l'ammirabile erudizione di Alberto S. Santos su Al Andalus. Perché la storia della principessina cristiana due volte rapita dai musulmani, innamorata e ricambiata dal giovane arabo da cui la separano lingua, cultura e religione, in fondo sa di melensa telenovela messicana, grazie all'inesistente approfondimento psicologico dei personaggi e alle evoluzioni a cui non si assiste e bisogna accettare come dati di fatto, perché così ti dice l'autore. Per non parlare delle incredibili casualità dei campi di battaglia, che è bene non raccontare. Ouroana è stata consacrata alla luna dalla sua nanny e al sole dal padre e per tutto il libro l'autore vuole farci credere che la sua vita è gestita dalla contrapposizione dei due corpi celesti: ma non si capisce come e perché dovrebbero lottare la sole e la luna per appropriarsi del controllo di un'insignificante schiava cristiana di Córdoba. Insomma, i personaggi del libro sono una serie di occasioni perdute.
Ed è questo che mi fa dubitare. Mi è piaciuto La esclava de Córdoba? dovessi pensare alla trama, ai sentimenti non spiegati di Ouroana e Abdus, alle lunghe pagine di descrizioni erudite che allungano il brodo, ma non servono per l'evoluzione della storia, direi di no. Dovessi pensare a tutto quello che le conversazioni e le descrizioni raccontano della raffinata Al Andalus e del barbaro mondo cristiano, direi di sì. Comunque è un libro che intrattiene nei lunghi pomeriggi estivi e aiuta a conoscere meglio, in modo piacevole, Al Andalus. Il che è un pregio importante.

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