mercoledì 24 agosto 2011

La lotta di una madre per una Legge di Morte Degna, in Argentina

Il Beppino Englaro d'Argentina è una donna di 37 anni, dalla bellezza serena e gentile, incorniciata da lunghi capelli castani. Si chiama Selva Herbón e ieri si è riunita con la Commissione Salute del Senato per chiedere una Legge di Morte Degna. Al Parlamento argentino sono stati presentati ben otto progetti per la gestione della fine della vita, ma nessuno è arrivato al dibattito in aula. Probabilmente ci voleva un caso mediatico, come quello della piccola Camila, o una madre determinata a mettere fine alle sofferenze della figlia e ad assumersene i costi mediatici, fisici ed emotivi come Selva. Perché in questi casi ci vuole sempre un genitore pronto a lottare per un figlio, sia Beppino in Italia o Selva in Argentina.
Alcuni giorni fa la signora Herbón ha dato il via alla sua lotta con una lettera aperta scritta ai deputati argentini. In essa descrive la situazione di sua figlia Camila, 2 anni e 3 mesi passati in un letto, collegata ai macchinari che la mantengono in vita: "La situazione che stiamo vivendo come famiglia è logorante e dolorosa, considerando che abbiamo una bambina di 2 anni e 3 mesi in stato vegetativo permanente. La situazione di mia figlia è irrecuperabile e irreversibile e c'è un vuoto legale che impedisce ritirarle il sostegno vitale. Hanno dato parere sulla situazione di Camila i comitati di bioetica della Fundación Favaloro, dell'INCUCAI, il Ministerio de Justicia y Derechos Humanos e il Centro Gallego, quest'ultimo è dove si trova attualmente ricoverata mia figlia. Tutti sono d'accordo nel dire che la cosa migliore è limitare lo sforzo terapeutico e ritirarle il sostegno vitale, ma nessun medico vuole staccarla dal respiratore perché dicono che c'è un vuoto legale che trasformerebbe l'atto in omicidio. Per questo vi supplico, nella mia condizione di madre, guardando al mio e a molti altri casi, perché si apra un dibattito in Parlamento, così come si è aperto nel seno della nostra società all'essere stati resi pubblici i casi di Melina González e Camila Sánchez. Queste situazioni di vuoto legale sono quelle che richiedono urgenza perché il loro ritardo vulnera i diritti umani e impedisce a una famiglia di optare per la protezione di questa legge". Nella lettera Herbón si ripara da eventuali obiezioni cattoliche citando il Catechismo: "Interrompere questi trattamenti è rifiutare "l'accanimento terapeutico". Con questo non si pretende provocare la morte, si accetta di non poterla impedire".
La storia di Camila, che i suoi genitori vogliono staccare dal respiratore "per mettere fine al suo martirio", è presto detta: durante il parto ha avuto un arresto cardio-respiratorio, i tentativi di rianimazione sono durati venti minuti. Ma, nel frattempo, il cervello della neonata ha subito danni irreversibili: Camila non vede, non sente, non si muove e non prova emozioni. "Non ha mai potuto parlare, camminare, piangere o ridere" dicono i suoi genitori. E' semplicemente attaccata a un respiratore, in stato vegetativo irreversibile e permanente, e nessun medico osa staccarla, in assenza di una sentenza giudiziaria o di una legge.
Selva Herbón, sostenuta dal marito Carlos, che ha però scelto il secondo piano, probabilmente anche per proteggere l'altra figlia della coppia, Valentina, di 8 anni, ha deciso di lottare non per una sentenza, ma per una Legge di Morte Degna, in modo che tutti i cittadini argentini che si trovano nelle sue condizioni abbiamo una protezione legale quando chiedono di staccare il respiratore. "Una sentenza inizia e finisce con Camila" dice a Clarín "Io, arrivati a questo punto, sono convinta che mia figlia sia venuta al mondo per qualche ragione, magari è per questo, per avere questa legge".
Ieri i senatori argentini hanno ascoltato non solo la sua testimonianza. Con lei c'era anche Susana Bustamante, la mamma di Melina González, una ragazza di 19 anni che per prima ha posto all'Argentina la questione di una Legge che offra ai malati la possibilità di scegliere una morte degna. Da quando aveva 3 anni la giovane soffriva di una malattia degenerativa del sistema nervoso, che nei suoi ultimi mesi di vita le procurava dolori insopportabili; a gennaio di quest'anno ha chiesto ai medici di sedarla, in modo da soffrire il meno possibile, fino alla morte e ha invano chiesto una legge che la tutelasse in questa sua richiesta. Alla sua morte, il 1° marzo, il quotidiano Página 12 ha scritto: "Da venerdì, Melina era entrata in un sonno più profondo. I medici che la seguivano le avevano concesso la medicazione per una "sedazione palliativa". Se avessero accettato la sua volontà prima, le avrebbero evitato quasi un mese di dolori intensi e profonde angosce, specialmente di notte, come lei stessa ha raccontato in una commovente conversazione con questo quotidiani, mercoledì della scorsa settimana. In un rapporto datato 4 febbraio, il Comitato di Bioetica dell'ospedale pediatrico aveva argomentato che il suo quadro non era terminale, così da giustificare che venisse addormentata fino a perdere coscienza. Affermava anche che la sua richiesta era contaminata dai forti dolori che sentiva, che non la lasciavano pensare con lucidità".
Che un Comitato di Bioetica arrivi a spiegare a un individuo che se chiede di essere sedato perché soffre troppo è perché i dolori non lo lasciano pensare con lucidità è talmente contraddittorio che si commenta da solo. Ma che questo Comitato abbia più potere sulla vita di una persona della stessa persona, spogliata dei propri diritti su se stessa e sul proprio corpo, dimostra quanto sia importante che una Legge sulla Morte Degna protegga i cittadini da qualunque fanatismo e obblighi a compiere la loro volontà, in un momento così intimo e così intoccabile come la fine della vita.
La testimonianza delle due mamme ha commosso i senatori argentini, che hanno promesso di riunire le proposte presentate finora in un solo progetto, da discutere in aula prima della fine dell'anno. Che l'Argentina sia più fortunata dell'Italia.