sabato 17 settembre 2011

Il subcomandante Marcos e Javier Sicilia, l'incontro che non c'è stato nel Chiapas

Alla fine l'incontro tra Javier Sicilia e il subcomandante Marcos non c'è stato. A rifiutarlo è stato il leader zapatista, che non si fida di questo poeta, in viaggio da mesi attraverso il Messico, stanco di guerre e ingiustizie e disposto a parlare con tutti, anche con i traditori dirigenti politici di Città del Messico, la cui parola, il Chiapas lo sa, se la porta via il vento.
"E' tempo, care sorelle e cari fratelli zapatistas, di fare la pace, e la pace non si può fare senza ascoltare il battito del cuore della patria; di questo cuore che batte al nord, al sud, all'est e all'ovest, alla sinistra, alla destra, in basso e in alto, in tutti i posti in cui un uomo e una donna di buona volontà hanno deciso di rifondare la nazione e nell'amore, che supera l'odio, di creare un mondo che comprenda molti mondi" ha detto Javier Siclia ai membri della Junta de Buen Gobierno di Oventic, una delle culle dell'Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN). All'incontro, avvenuto nella sede della Junta, non sono stati ammessi i giornalisti e gli stessi membri della Caravana, in gran parte vittime della violenza della criminalità, sono entrati solo in base a una lista di nomi controllata dagli zapatistas. Sicilia ha ricordato con parole liriche la lotta delle comunidades indigenas per la loro autonomia ("17 anni fa avete reso consapevole la nazione di questo disprezzo ancestrale e, al farlo, al mostrarlo con il simbolo dei senza volto, non solo ci avete fatto sentire vergogna del nostro oblio, del nostro debito storico con i primi dei nostri abitanti, ma, con una dignità esemplare, avete riempito di contenuto una nazione che, divorata dalla sua schiavitù dell'economia e dell'amministrazione istituzionale della vita, aveva perso di vista la sua dignità e, come in altri tempi, nei tempi in cui i barbuti arrivarono dal mare e li spogliarono della loro prima storia, li aveva lasciati morire di malattia, di spoliazione, di fame e di disprezzo"), il tradimento del Governo, che non ha rispettato gli Accordi di San Andrés, per inserire nella Costituzione i diritti degli indigenas, il disinteresse dell'opinione pubblica messicana ("noi senza sapere bene cosa avevamo guardato e ci avevano rivelato, siamo tornati a sottometterci al gioco dello Stato, alla corruzione dei governi, alla simulazione di una transizione democratica che avrebbe aperto il cammino agli interessi globali") e le spietate conseguenze per l'intero Messico ("La conseguenza di questa dimenticanza, di questo non aver capito, ha strappato ancora di più il tessuto sociale della nazione, ci ha reso tutti miserabili, ha chiuso il presente ai giovani, ha favorito il crimine e ha esaltato la corruzione. In queste condizioni, il governo, il cui partito aveva issato la bandiera della transizione democratica, ha deciso, nel nome degli interessi globali dei nordamericani e del loro consumo di droga, scatenare una guerra contro il narcotraffico, costata oltre 60mila morti, oltre 10mila desaparecidos e oltre 120mila profughi, criminalizzati da uno Stato che fino a date recenti, non aveva voluto assumere la sua responsabilità. Alle colpe ancestrali verso i popoli indigeni si sono sommati adesso le colpe verso tutta la nazione".
Sicilia è tornato a insistere su un concetto già espresso: il riconoscimento dell'autonomia degli indigenas, del loro diritto alle loro tradizioni e all'autogestione non comporta la balcanizzazione del Paese, come temono a Città del Messico: "E' il crimine a balcanizzarci, non le autonomie".
Il Messico celebra in questi giorni la sua indipendenza e lo fa con tutto l'orgoglioso nazionalismo di cui è capace. Il 15 settembre, ovunque ci sia un messicano, si celebra il Grito, il grido lanciato dal padre Miguel Hidalgo, che nel 1810 diede il via alla lotta contro gli spagnoli: si grida tre volte Viva il Messico e si celebrano gli eroi che diedero la patria. Il Grito della Caravana de la Paz, nel cuore meridionale e indigenas di questo Paese millenario e mosaico di decine di culture e di lingue, è stato speciale.
Sicilia ha recitato una poesia scritta dagli zapatistas nel settimo anniversario del loro sollevamento: "Resistimos a la muerte que mata matando/ Resistimos a la muerte que mata olvidando/ Resistimos a la muerte/ Vivimos/ Aquí estamos/ Así está mandado por nuestros más primeros: / Que el 7 se abra a nuestro latido/ Que eco se haga/ Y puente/ Y camino/ Y lugar/ Y casa/ Para que viva el corazón primero de esta patria/ Para que nunca más el silencio sea cómplice del crimen/ Para que la palabra no se pierda entre el ruido/ Para que la soledad sea derrotada y no haya fronteras para el esperanza/ Para que los pies de todos tengan el paso digno/ Para que nadie quede sin lugar para sembrar la memoria/ Para que todos puedan entrar y salir y las paredes no sean cárceles sino cobijo/ Para que este país llamado México nunca vuelva olvidar a quienes por ellos y con ellos es/ Para que quien antes estuvo fuera y perseguido dentro se esté y con todos y devuelva la memoria/ (…)/ El tiempo marca ya el tiempo de los más pequeños" (Resistiamo alla morte che uccide uccidendo / Resistiamo alla morte che uccide dimenticando /Resistiamo alla morte / Viviamo / Siamo qui / Così è stato stabilito dai nostri antenati / Che il 7 si apra al nostro battito / Che si faccia eco / E ponte / E cammino / E luogo / E casa / perché viva il primo cuore di questa patria / Perché mai più il silenzio sia complice del crimine / Perché la parola non si perda tra i rumori / Perché la solitudine sia sconfitta e non ci siano frontiere per la speranza / Perché i piedi di tutti abbiano il passo degno / Perché nessuno rimanga senza posto per seminare la memoria / Perché tutti possano entrare e uscire e le pareti non siano carceri, ma nido / Perché questo Paese chiamato Messico non torni mai a dimenticare per chi e con chi è / Perché chi prima è rimasto fuori e perseguitato, sia dentro e con tutti e ritorni la memoria / (...) / Il tempo marca già il tempo dei più piccoli).
La notte del 15 settembre, nel Teatro Hermanos Domínguez di San Cristóbal de las Casas, Sicilia ha chiesto cinque minuti di silenzio invece del tradizionale Grito perché "non si può gridare viva México né pronunciare il nome degli eroi che ci diedero la patria", vista la situazione del Paese. "Questo silenzio grida che la nostra Indipendenza è tradita, è umiliata e le grida dell'indipendenza che le autorità gridano oggi nelle piazze vuote è una bugia che umilia tutti noi messicani".
Que viva México, señor Sicilia, que viva su pais, terra di mille rivoluzioni frustrate e sempre in cammino, senza rinunciare mai, figlio dell'anima più ribelle e più ammirabile di Latinoamérica. Che la pace sociale, dal Chiapas a Ciudad Juárez, aspetti finalmente alla fine di questo lungo cammino, che il Messico ha ripreso, grazie anche a persone come lei, ancora una volta indomabile e ansioso di giustizia sociale e libertà.