domenica 8 gennaio 2012

In 100mila a Bilbao, per i diritti degli etarras in carcere

So che a volte mi ripeto, ma davanti alle immagini di manifestazioni come quella di ieri a Bilbao mi chiedo come possa un partito di Governo come il PP pensare di infischiarsene delle istanze della società basca e contnuare a essere ostaggio della sua destra radicale e dei rancori delle vittime più estremiste.
Almeno 100mila persone sono scese ieri in strada a Bilbao per chiedere una diversa politica penitenziaria, in favore degli etarras in carcere. Lungo i 2 km dell'itinerario previsto, raccontano i testimoni, non si muoveva foglia: "Eravamo talmente in tanti che non è stato possibile marciare, non c'era spazio" ha detto uno dei partecipanti. E le foto e i video sono lì, a raccontare una delle più grandi manifestazioni che si siano viste in Euskadi negli anni della democrazia. Questo perché l'indipendentismo è cosa dei terroristi e non un sentimento diffuso in buona parte della società basca (no, non mi stanco neanche di ricordare che oltre il 40% dei baschi vota per partiti nazionalisti, intorno al 30% si muove il PNV, il Partito Nacionalista Basco, mentre la galassia della izquierda abertzale, la sinistra repubblicana e indipendentista, raccoglie intorno al 20% dei voti; alle scorse elezioni nazionali la izquierda abertzale è diventata la prima forza politica basca, con il 25% dei voti).
La marcia di Bilbao ha dovuto superare le strette maglie imposte dal giudice Fernando Grande-Marlaska, che ha dato l'autorizzazione al suo svolgimento solo a precise condizioni: i terroristi in carcere non dovevano essere chiamati "prigionieri politici", non dovevano essere mostrate loro foto e i manifestanti dovevano marciare in silenzio. Sono stati rispettati quasi tutti i punti: non c'è stato il silenzio richiesto, sono stati urlati in maniera isolata alcuni slogan, e qualcuno ha parlato di "prigionieri politici". Ma in linea di massima, gli abertzales hanno rispettato le regole imposte da Madrid per autorizzare la loro manifestazione.
La situazione degli etarras in carcere e una nuova politica pentienziaria a loro favore sono i grandi nodi da risolvere per arrivare "a una pace duratura e giusta". Lo ammettono un po' tutte le forze politiche, meno il PP, secondo il quale l'ETA deve consegnare le armi, chiedere scusa, consegnare i propri membri alla giustizia affinché si facciano processare e accettino i verdetti che verranno loro imposti, poi pace per tutti e si apre una nuova pagina. Ovviamente se oltre il 40% dei cittadini si riconosce nei valori nazionalisti e indipendentisti e se circa il 20% ha votato per formazioni vicine all'ETA, il discorso non è così semplice né può essere risolto in maniera così grossolana.
Ne sono consapevoli gli altri partiti democratici. A cominciare dal PNV, in competizione con la izquierda abertzale nella nuova pagina che la fine dell'ETA ha aperto nel nazionalismo basco, e lo stesso PSE (il Partito Socialista Basco), che chiedono infatti a Madrid una politica penitenziaria più consona al momento. E cosa dovrebbe prevedere questa politica? Prima di tutto l'avvicinamento di tutti i carcerati dell'ETA a Euskadi, quindi la liberazione dei terroristi con malattie in fase terminale, poi la concessione della libertà agli etarras che hanno già compiuto due terzi o tre quarti della condanna, infine la fine della dottrina Parot, che inasprisce le pene degli etarras e impedisce che siano trattati come gli altri carcerati. E' proprio per questa dottrina che i terroristi malati e quelli che hanno già compiuto buona parte della condanna non vengono liberati, così come prevede la legge per gli altri carcerati.
Sono misure davvero così inaccettabili per uno Stato di Diritto, davanti a un'organizzazione terroristica battuta da tutti i punti di vista e che ha già ammesso la propria sconfitta? Soprattutto sono inaccettabili davanti a una società come quella basca che comunque nei valori del nazionalismo e dell'indipendentismo si riconosce in larga misura? A occhio sembrerebbe di no: sono misure ragionevoli, che non mettono in dubbio la vittoria dello Stato sul terrorismo e che non mettono in discussione né il compimento delle pene né permettono l'impunità. Eppure.
Da Madrid il silenzio del Governo è assordante. Mariano Rajoy ha dato prova della sua arroganza nel dibattito d'investitura, poco prima di Natale, l'ultima volta che si è visto in Parlamento, dicendo al portavoce di AMAIUR, la formazione della izquierda abertzale a cui si è anche impedito di avere gruppo proprio, che né lui né la Spagna devono niente agli abertzales. Considerando che li ha votati il 25% dei baschi, non è male il rispetto che il Premier ha per i rappresentanti del popolo, legittimamente eletti, e per i cittadini che li hanno eletti. Alcuni osservatori sostengono che Rajoy si dedicherà alla questione basca dopo il Consiglio Europeo del 30 gennaio. Farà molte cose, dopo quel Consiglio Europeo: apparirà finalmente davanti agli spagnoli per spiegare loro l'aumento delle tasse, rifiutato persino nel discorso d'investitura, per rimangiarsi la parola neanche una settimana dopo, i dolori tagli alla spesa pubblica e il congelamento di stipendi e benefits degli impiegati pubblici. E si occuperà anche della pace nei Paesi Baschi. Si spera con maggior senso comune di quello mostrato finora, con meno supponenza e con maggior capacità di dialogo e di ascolto. "La pace si fa con i nemici, non con gli amici. Dovrà parlare con noi" gli ha ricordato il portavoce di AMAIUR in Parlamento, dimostrando maggiore saggezza di lui.
Le foto della marcia di Bilbao, dall'impressionante galleria fotografica di elmundo.es